Penale

La Cassazione torna a pronunciarsi sulla Responsabilità Penale dell'amministratore di fatto per reati tributari

Nota a sentenza: Cass. Pen. Sez. II, 27 settembre 2022, n. 36556

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di Fabrizio Ventimiglia e Giorgia Conconi*

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte torna ad occuparsi della responsabilità penale dell'amministratore di fatto in relazione ad illeciti fiscali affermando che "con specifico riferimento alla categoria dei reati tributari, ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto", non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma è comunque necessaria una significativa e continuativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale".

Questa in sintesi la vicenda processuale.

La Corte d'Appello di Milano confermava integralmente la sentenza di prime cure con la quale era stata affermata la responsabilità di un amministratore di fatto in relazione ai reati di cui agli artt. 2, 4, 8 e 10 D.lgs. 74/2000 nonché di cui all'art. 648 ter 1 c.p. Contro la pronuncia di secondo grado l'imputato ricorreva per Cassazione rilevando, in particolare, l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla qualifica di amministratore di fatto al medesimo attribuita.

La Cassazione ha ritenuto infondato il suddetto ricorso, cogliendo l'occasione per ribadire il perimetro della responsabilità dell'amministratore di fatto in relazione ai reati tributari, chiarendo nello specifico quali siano i poteri di gestione al ricorrere dei quali vada immune da censure l'attribuzione della ridetta qualifica soggettiva.

In motivazione la Corte, ha, anzitutto, avuto modo di richiamare il dettato normativo di cui all'art. 2639 c.c., che, come noto, equipara l'amministratore di diritto a colui che – pur non investito della predetta carica – risulti esercitare in maniera continuativa i poteri inerenti alla funzione di amministratore, rammentando quel filone giurisprudenziale che, in virtù della richiamata disposizione, richiede, ai fini della qualifica di amministratore di fatto, che le suddette funzioni siano svolte in maniera continuativa e significativa attraverso l'esercizio di un'attività gestoria sistematica.

In conformità al richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte ha, pertanto, enunciato il principio di diritto per cui "ai fini dell'attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" di una società, può essere valorizzato l'esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati".

Ebbene, sulla base di quanto osservato dagli Ermellini, anche per quanto concerne i reati tributari – specularmente ai principi di diritto chiariti in tema di reati societari e fallimentari – ai fini della attribuzione della qualifica di amministratore a un soggetto non formalmente investito di tale carica, è necessaria – e sufficiente – la sussistenza, da accertare caso per caso, di indicatori dell'esercizio sistematico e significativo da parte dello stesso dei tipici poteri di gestione, la cui rilevanza sarà oggetto di valutazione del Giudice a quo.

*a cura dell'Avv. Fabrizio Ventimiglia e della Dott.ssa Giorgia Conconi (dello Studio Legale Ventimiglia)

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