La class action nel processo tributario
Il ricorso cumulativo e collettivo nel processo tributario e l'evoluzione giurisprudenziale in materia di class action nel diritto tributario
Il ricorso cumulativo e collettivo nel processo tributario
Il ricorso cumulativo si differenzia in ricorso cumulativo "proprio" e in ricorso cumulativo "improprio". Il ricorso cumulativo in senso proprio è quello con cui il contribuente impugna contestualmente più atti impositivi emessi nei suoi confronti dall'Amministrazione Finanziaria.
Nello specifico, con il ricorso cumulativo "proprio" si possono proporre più azioni contestualmente: tali azioni possono essere diverse tra loro (di annullamento, di accertamento) o tipologicamente identiche (ad esempio due azioni di annullamento), ma comunque collegate dall'interdipendenza logica fra gli atti e dall'identità dell'oggetto.
Di converso, il ricorso cumulativo improprio è quello con cui più soggetti/contribuenti impugnano con un unico ricorso più atti; è il ricorso presentato da più soggetti contro atti diversi dell'Amministrazione Finanziaria.
Ciò posto, il ricorso cumulativo si distingue dal ricorso collettivo per il fatto che quest'ultimo è proposto da più soggetti che impugnano con un unico ricorso uno stesso provvedimento impositivo che riguarda tutti.
In altri termini, il ricorso collettivo è un ricorso presentato da più soggetti, con identità di petitum e di causa petendi: esso dà luogo ad una ipotesi di cumulo soggettivo ed è ammissibile se le posizioni dei vari ricorrenti sono sostanzialmente omogenee e non in contrasto tra loro.
L'evoluzione giurisprudenziale in materia di class action nel diritto tributario
In prima battuta, il Supremo Consesso si è pronunciato in riferimento alla proponibilità di ricorsi cumulativi in ambito processual-tributario con la sentenza n. 21955/2010, ritenendo ammissibile il ricorso cumulativo proposto da più contribuenti laddove le diverse istanze siano fondate su una medesima questione di diritto.
Tale sentenza si pone in senso del tutto conforme alla funzione nomofilattica della Cassazione, espressamente prevista dall'art. 65 della legge sull'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), che attribuisce alla Corte il compito di "garantire l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale".
Più nel dettaglio, il riconoscimento della legittimità di ricorsi cumulativi nell'ambito del processo tributario, laddove sussistano identiche questioni di diritto, appare rientrare in toto nell'ambito della funzione nomofilattica della Cassazione finalizzata a fornire indirizzi interpretativi "uniformi" per cercare di mantenere l'unità dell'ordinamento giuridico - e, quindi, la certezza del diritto - attraverso una giurisprudenza il più possibile uniforme.
Più nel dettaglio, il principio di diritto de quo trae origine dal rigetto del ricorso proposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dall'Agenzia delle Entrate per la riforma della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che aveva rigettato l'appello dell'Ufficio locale della stessa Agenzia contro la pronuncia di primo grado che aveva accolto il ricorso cumulativo di diversi contribuenti contro il silenzio-rifiuto formatosi su istanze di rimborso Irap relative agli anni di imposta 1998, 1999 e 2000.
Più in particolare, tre professionisti avevano proposto un ricorso cumulativo avverso i dinieghi opposti dall'Amministrazione Finanziaria alle richieste di rimborso dell'Irap che gli stessi contribuenti avevano prudenzialmente liquidato nelle proprie dichiarazioni dei redditi in relazione ad attività di lavoro autonomo che, tuttavia, ritenevano non autonomamente organizzate ai sensi del combinato disposto degli artt. 2, co. 1 e art. 3, co. 1, lett. c), D.Lgs 15 dicembre 1997, n. 446 e, dunque, non assoggettabili all'applicazione dell'Irap.
Nel giudizio sottoposto all'esame del Collegio di legittimità, l'Agenzia delle Entrate ha eccepito la violazione e falsa applicazione dell'art. 29, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 103 e 104 Cost.
A tal proposito giova rammentare che:
• l'art. 29, D.Lgs. 546/1992 disciplina la riunione di distinti ricorsi, laddove gli stessi abbiano lo stesso oggetto o siano comunque tra loro connessi;
• l'art. 103 c.p.c. disciplina l'istituto del litisconsorzio facoltativo, in base al quale "più parti possono agire o essere convenute, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l'oggetto o per il titolo dal quale dipendono (...)";
•l'art. 104 c.p.c., infine, prevede che "contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande, anche non altrimenti connesse (...)".
Nello specifico, a parere dell'Amministrazione Finanziaria, il ricorso cumulativo doveva essere considerato inammissibile e, di conseguenza, doveva essere considerata erronea la sentenza che aveva respinto il relativo motivo di appello, assumendo che "i tratti di comunanza delle rispettive materie del contendere si riducono al rilievo che si discute in tutti e tre i casi di Irap", ovvero una medesima questione di diritto.
Precisamente, nella sentenza in esame (Cass. n.21955/2010), il Supremo Consesso non ha voluto porre in discussione il principio affermato in precedenza dai giudici di legittimità nella pronuncia n. 10578/10, secondo il quale nel processo tributario non è, di regola, ammissibile il ricorso collettivo (proposto da più parti) e cumulativo (proposto nei confronti di più atti impugnabili), essendo necessaria, per la configurazione del litisconsorzio facoltativo, la comunanza delle questioni sia in diritto, sia in fatto.
Sulla base di tale assunto la Suprema Corte (Cass. n.21955/2010) ha concluso che nel caso de quo deve tuttavia rilevarsi che la contestazione dell'Ufficio rispetto alle istanze di rimborso proposto dalle contribuenti si fonda - come risulta anche dal ricorso - su questioni di diritto, e non di fatto, comuni alle contribuenti, cosicchè il richiamo alla necessaria identità in fatto delle questioni appare in concreto ultroneo.
Con specifico riguardo alla fattispecie in oggetto, la questione di diritto sottoposta all'esame della Cassazione si fondava su fatti di causa che non erano in contestazione e che, inoltre, erano del tutto idonei a dimostrare la non assoggettabilità ad Irap delle attività esercitate dai professionisti ricorrenti.
Difatti, come evidenziato dalla Corte, l'accertamento del requisito dell'autonoma organizzazione "spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato" e, nel caso di specie, l'Amministrazione Finanziaria non aveva censurato in alcun modo la motivazione della sentenza impugnata.
Tanto chiarito, i giudici di legittimità hanno ribadito nella sentenza n.21955/2010 taluni principi già affermati nella sentenza n. 10578/2010, in base ai quali:
• il procedimento tributario così come delineato dal D.Lgs. 546/1992, non contiene alcuna norma in ordine al cumulo dei ricorsi, prevedendo solo all'art. 14, l'ipotesi del litisconsorzio necessario, se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, nonché l'intervento, volontario o per chiamata, dei soggetti che insieme al ricorrente sono destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso;
• le norme del Codice di procedura civile sono applicabili nel processo tributario, in quanto compatibili con lo stesso, per l'espresso richiamo contenuto nell'art 1, co. 2, D.Lgs. 546/1992;
• inoltre, sulla base dell'insegnamento delle Sezioni Unite della stessa Cassazione, l'ipotesi di litisconsorzio tributario si configura sempre che "per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'amministrazione finanziaria, l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato" (Cass., Sez. Un. n. 1052/2007).
E'la domanda "a determinare l'oggetto del processo e, quindi, a costituire, in ultima analisi, il parametro per valutare la inscindibilità della causa tra più soggetti e ciò, in quanto il processo tributario è strutturato secondo le regole proprie del processo impugnatorio di provvedimenti autoritativi" (ex plurimis, Cass., nn. 9999/2006, 3532/2006, 28680/2005);
• il carattere impugnatorio proprio del processo tributario si risolve nella necessità di un nesso tra il singolo atto autoritativo di imposizione e la contestazione del singolo contribuente che, pur non ostacolando in linea di principio l'applicabilità dell'istituto del litisconsorzio facoltativo improprio previsto all'art. 103 c.p.c., ne limita però l'applicazione.
Nello specifico, la Suprema Corte con la sentenza n. 10578/2010 ha precisato che "se nell'ipotesi del litisconsorzio facoltativo improprio, disciplinato dalla processualistica civile, le cause possono avere tra loro un rapporto di mera affinità derivante dalla comunanza anche parziale di una o più questioni, nel processo tributario, l'indispensabilità dello specifico e concreto nesso tra atto e/o oggetto di ricorso D.Lgs. n. 546/1992, ex art. 19, e la contestazione del contribuente, richiesta invece dalla peculiarità del relativo giudizio, postula necessariamente che intercorrano, tra le cause, questioni comuni non solo in diritto ma anche in fatto e che esse non siano soltanto uguali in astratto ma consistano altresì in un identico fatto storico da cui siano determinate le impugnazioni dei contribuenti".
In sintesi, a parere della Suprema Corte solo nell'ipotesi in cui "i provvedimenti impugnati, pur formalmente autonomi, si risolvano nel loro concreto articolarsi in un unico fatto storico nei confronti dei più contribuenti, e questi versando in un'analoga situazione muovano anche solo in parte identiche contestazioni, può ritenersi che la definizione delle questioni comuni abbia carattere pregiudiziale rispetto alla decisione di tutte le cause, così da consentire l'ammissibilità, nel processo tributario, di un ricorso al tempo stesso collettivo (proposto da più contribuenti) e cumulativo (nei confronti di più atti impugnabili)".
Al contrario, concludeva la Cassazione in merito alla fattispecie allora sottoposta al suo esame, nella specie "difettavano invece i presupposti richiesti ostandovi la concreta diversità delle situazioni di fatto e di diritto in cui versavano i numerosi ricorrenti, ben diciassette, i quali non solo svolgevano, alla stregua della documentazione in atti, professioni ed attività diverse, con un'organizzazione lavorativa, volta per volta diversa, che comportava indagini di fatto differenti in relazione al diverso articolarsi delle vicende concrete, ma avevano presentato le richieste di rimborso separatamente, in date diverse, con riferimento ad anni di imposta differenti, e soprattutto con riferimento a silenzi-rifiuti maturatisi in momenti e con modalità storicamente diversi nonché in ordine a situazioni dissimili".
Lo stesso principio è stato enunciato dai giudici di legittimità nella sentenza n. 15582/2010 in cui è stato ripreso il principio ermeneutico affermato dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 13916/2006 e Cass. n 3692/2009, secondo cui "il ricorso cumulativo contro una pluralità di sentenze emesse in materia tributaria, anche se formalmente distinte perché relative a differenti annualità, è ammissibile quando la soluzione, per tutte le sentenze, dipenda da identiche questioni di diritto comuni a tutte le cause, in modo da dar vita ad un giudicato rilevabile d'ufficio in tutte le controversie relative al medesimo rapporto d'imposta (Cass. S.U. 13916/2006; 3692/2009, in parte motiva), tale ammissibilità, come si è detto, nella fattispecie non ricorre, riguardando le sentenze, cumulativamente impugnate, anni d'imposta e tributi differenti, rispetto ai quali vengono conseguentemente proposti quesiti di diritto che non sono comuni a tutte le controversie".
Con la pronuncia n. 4490 del 22 febbraio 2013, i giudici di legittimità hanno superato il rigore interpretativo delle sue precedenti decisioni in tema di litisconsorzio facoltativo nel processo tributario e hanno sancito la piena applicabilità in predetto processo dell'art. 103 c.p.c.
Difatti, nelle precedenti pronunce, il Supremo Consesso se pure non escludesse tout court l'applicabilità dell'art. 103 c.p.c. nel processo tributario, in linea generale, la riteneva sussistere al ricorrere di specifiche e stringenti condizioni.
Precisamente, in tale pronuncia ( Cass.n.4490/2013) la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: "Nel processo tributario, non prevedendo il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alcuna disposizione in ordine al cumulo dei ricorsi, e rinviando il suo art. 1, secondo comma, alle norme del codice di procedura civile per quanto da esso non disposto e nei limiti della loro compatibilità con le sue norme, deve ritenersi applicabile l'art. 103 cod. proc. civ., in tema di litisconsorzio facoltativo, conseguendone l'ammissibilità della proposizione di un ricorso congiunto da parte di più soggetti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa".
I giudici di legittimità hanno ritenuto ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile nel processo tributario l'articolo 104 c.p.c., il quale consente la proposizione contro la stessa parte, e quindi la trattazione unitaria, di una pluralità di domande anche non connesse tra loro, con risultato peraltro analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi anche soltanto soggettivamente connessi (ex articolo 29, D.lgs n. 546 del 1992 ).
In senso conforme si era già espressa anche la sentenza delle S.U. n. 3692 del 2009, benchè relativa a un precedente non esattamente in termini, essendosi con detta sentenza ammesso il ricorso cumulativo non avverso una pluralità di atti di accertamento, bensì avverso più sentenze emesse in procedimenti formalmente distinti ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d'imposta.
Tale assunto delle Sezioni Unite è stato ribadito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 22657/2014, ove è stato ribadito che il rimando alle norme civilistiche da parte dell'art. 1 D.lgs n.546/1992- che prevede l'applicazione dell'art. 103 c.p.c. in tema di litisconsorzio facoltativo-persegue il presupposto di evitare il formarsi di giudicati anche solo logicamente contraddittori.
Precisamente, nel caso oggetto di esame della citata pronuncia (Cass. n. 22657/2014), le sentenze appellate erano relative ad autonomi procedimenti che sebbene fossero riferiti a più persone fisiche, erano tutti emessi in relazione a plusvalenze realizzate dalla vendita di terreni edificabili in comproprietà dei tre contribuenti. Si è così realizzata, di fatto, l'identità dei presupposti impositivi e delle questioni di diritto trattate. Da qui la conferma della legittimità dell'impugnazione cumulativa.
Successivamente, i giudici di legittimità, nella sentenza n. 17497 del 2 settembre 2015, in tema di ricorso cumulativo hanno in via preliminare affermato che la nozione di "causa inscindibile" di cui all'art.331 c.p.c., comprende non solo le ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche le ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, le quali si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio di primo grado.
Tanto premesso, la Suprema Corte con la pronuncia n. 17497/2015 ha statuito che in tema di contenzioso tributario, in caso di litisconsorzio processuale, che determina l'inscindibilità delle cause anche ove non sussisterebbe il litisconsorzio necessario di natura sostanziale, l'omessa impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti non determina l'inammissibilità del gravame, ma la necessità per il giudice d'ordinare l'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. civ., nei confronti della parte pretermessa, pena la nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza che l'ha concluso, rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità.
Da tanto ne discende in maniera evidente che, nel caso oggetto della citata sentenza (Cass. n. 17497/2015), sulla questione della validità della notificazione delle cartelle presupposte all'iscrizione ipotecaria impugnata va evitata la formazione di giudicati diversi nei confronti del concessionario della riscossione e nei confronti dell'ente impositore (in senso conforme si sono espressi i giudici di legittimità nelle pronunce n. 10934/15 e n. 24868/13, in cui i giudici di legittimità hanno affermato che anche nei predetti casi di specie le parti, pur non essendo litisconsorti sostanziali, devono considerarsi, qualora entrambe abbiano preso parte al giudizio di primo grado, litisconsorti processuali, insieme al contribuente, nel giudizio di secondo grado).
Quanto affermato dalle prime pronunce della Cassazione è stato confermato nelle recenti decisioni.
Il Supremo Consesso nella sentenza n. 33425 del 27 dicembre 2018 ha stabilito che: "In materia tributaria è ammissibile, fermi restando gli eventuali obblighi tributari del ricorrente, in relazione al numero dei provvedimenti impugnati, il ricorso cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima "ratio", in procedimenti formalmente distinti ma attinenti allo stesso rapporto giuridico d'imposta, pur se riferiti a diverse annualita', ove i medesimi dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dare vita ad un giudicato rilevabile d'ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d'imposta" (Cass. n. 4595 del 2017).
Alla luce di tanto, nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, il ricorso cumulativo è ammissibile attesa la coincidenza delle parti e delle questioni di diritto oggetto di controversia, nonche' delle relative soluzioni prospettate dalla CTR.
In un'altra recente ordinanza, la n. 10150 dell'11 aprile 2019, la Corte di Cassazione ha ribadito l'ammissibilità sia del ricorso cumulativo, cioè proposto contro più atti impugnabili, sia del ricorso collettivo, cioè proposto da più parti. Unica condizione è che il giudizio abbia ad oggetto delle identiche questioni dalla soluzione delle quali dipenda la decisione finale del giudice sulla causa.
Giova precisare che in ambito tributario, come anzidetto, per quanto attiene al cumulo dei ricorsi, non essendo previsto espressamente nulla dalla disciplina che ne regola il contenzioso (D.Lgs. n. 546/1992), deve ritenersi applicabile l'art. 103 c.p.c., in tema di litisconsorzio facoltativo: ne consegue l'ammissibilità della proposizione di un ricorso congiunto da parte di più soggetti, anche se in relazione a distinti atti impositivi, ove lo stesso abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui risoluzione dipende la decisione della causa.
Nel caso oggetto della citata sentenza (Cass. n. 10150/2019) non poteva trovare peraltro applicazione nella specie il principio seguito dalla CTR secondo il quale nel processo tributario, di regola, non sarebbe ammissibile il ricorso cumulativo né collettivo essendo necessaria, per configurare un litisconsorzio facoltativo, la comunanza delle questioni sia in diritto che in fatto. Invero la contestazione del Comune delle richieste di rimborso proposte dai contribuenti si fondava solo su questioni, comuni ai ricorrenti, di diritto e non di fatto: pertanto il richiamo alla necessaria identità in fatto delle questioni risultava ultroneo.
In ultimo, il Supremo Consesso nella recente sentenza, la n. 8329 del 29 aprile 2020 ha affrontato la questione riguardante la necessità o meno di integrare il contraddittorio in appello nei riguardi delle parti presenti in primo grado ma non evocate in giudizio.
I giudici di legittimità, in via preliminare, hanno affermato che si deve, aver riguardo al carattere scindibile o inscindibile delle cause o alla loro dipendenza ai sensi degli articoli 331 e 332 c.p.c., mentre, al di fuori di tali distinzioni, nessun rilievo specifico assume di per sè il riferimento al litisconsorzio necessario processuale.
Difatti, in tema di contenzioso tributario, l'art. 53, comma 2 D.lgs n.546/1992 , " secondo cui l'appello deve essere proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili, ai sensi degli articoli 331 e 332 c.p.c., con la conseguenza che, in presenza di cause scindibili, la mancata proposizione dell'appello nei confronti di tutte le parti presenti in primo grado non comporta l'obbligo di integrare il contraddittorio quando, rispetto alla parti pretermesse, sia ormai decorso il termine per l'impugnazione (Cass. 27 ottobre 2017, n. 25588) che ha ritenuto esente da critiche l'omessa integrazione del contraddittorio in appello nei confronti del concessionario del servizio di riscossione, convenuto nel giudizio di primo grado insieme all'Amministrazione finanziaria, tenuto conto che l'impugnazione aveva ad oggetto solo l'esistenza dell'obbligazione tributaria e che il termine per impugnare era gia' decorso)".
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*A cura di Maurizio Villani, Avvocato Tributarista in Lecce, Partner 24 ORE Avvocati - Studio Legale Tributario Villani