La colica renale dell'imputato non lo costringe a comparire in giudizio
Si trattava di un malore invalidante che costituiva impedimento assoluto a comparire
Il riposo assoluto prescritto all'imputato per una grave colica renale rappresenta un motivo per non comparire in giudizio. E' quanto precisa la Cassazione con la sentenza n. 34500/22.
La vicenda
In presenza di una certificazione medica, rilasciata lo stesso giorno dell'udienza attestante una colica renale acuta associata a febbre, la Corte d'appello ha ritenuto che il certificato dava atto di un riposo per due giorni, senza però giungere all'impossibilità a comparire. La Cassazione, però, ha bocciato la tesi della Corte di appello in quanto non ha approfondito come doveva la situazione. I Supremi giudici, infatti, ricordano che, mentre è compito del medico rappresentare la specifica condizione patologica del paziente, individuandone la natura, le cause, i sintomi, i rimedi e le cure, rimane affidata al giudice la sintetica valutazione della sussistenza nella situazione clinica di una condizione tale da rendere assolutamente impossibile la comparizione in udienza. I giudici di seconde cure a tal proposito hanno sbagliato in quanto - prescindendo dalla natura della patologia certificata - non hanno neppure preso in considerazione l'opzione di affidarsi alla verifica fiscale, limitandosi ad affermare che il riposo assoluto non equivalesse all'impedimento assoluto. L'errore commesso dalla Corte di appello è consistito nel non aver dato giusta importanza alla patologia certificata- oggettivamente allarmante e insorta proprio il giorno dell'udienza. Quindi nel caso de quo il riposo assoluto doveva dare luogo necessariamente a un impedimento assoluto a muoversi. Gli Ermellini in definitiva hanno accolto il ricorso dell'imputato e hanno annullato la sentenza d'appello.