Penale

La consegna della Sim al detenuto non integra il reato di “accesso indebito a dispositivi”

Per la Cassazione, sentenza n. 42941/2024, si tratta di una estensione analogica rispetto alla nozione di “dispositivo” non consentita all’interprete

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di Francesco Machina Grifeo

L’introduzione in carcere di una scheda Sim da parte di una persona ammessa ai colloqui – nel caso la compagna –, col fine di consegnarla al recluso, non configura il delitto di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte dei detenuti, reato previsto dal Dl Immigrazione e sicurezza del Governo Conte II. Per la Suprema corte, sentenza n. 42941/2024, non è infatti consentita un’interpretazione analogica della norma incriminatrice, l’ articolo 391-ter cod. pen., in ragione dei principi della riserva di legge e di determinatezza della fattispecie.

La Corte di appello di Campobasso aveva assolto l’imputata dal reato, inserito nel Codice penale dal Dl 13/2020 (convertito dalla legge 173/2020), per aver occultato nel reggiseno a poi consegnato al compagno una scheda telefonica. Contro questa decisione ha proposto ricorso il procuratore generale della CdA sostenendo che nella nozione di “dispositivo idoneo alla comunicazione” rientra anche la scheda SIM senza la quale un dispositivo mobile non potrebbe funzionare. Una diversa interpretazione renderebbe prive di sanzione l’introduzione in carcere, in tempi diversi, di parti di dispositivi mobili che, una volta ricomposti, permetterebbero di comunicare con l’esterno.

Il ragionamento, approvato anche dal Pg della Cassazione, è stato però bocciato dalla Suprema corte che si è concentrata sulla formulazione letterale e sui lavori preparatori. La norma prevede che al di fuori dei casi previsti dall’articolo 391-bis, chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni. La questione, dunque, riguarda la possibilità di considerare anche la sola scheda Sim un “apparecchio telefonico” o “altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni”.

Operazione ermeneuticamente non possibile per la Cassazione secondo la quale l’ampliamento del significato “al fine di ricomprendervi anche la sola scheda SIM si risolve non in una interpretazione estensiva di tali locuzioni, bensì in una non consentita operazione di estensione analogica della fattispecie incriminatrice e, dunque, nella violazione dei principî di riserva di legge e di determinatezza della fattispecie”. Il termine apparecchio, infatti, si riferisce a dispositivi che consentono la comunicazione a distanza, mentre l’altra locuzione “si riferisce agli altri dispositivi, che, pur diversi dai primi, sono a questi accomunati dalla medesima destinazione funzionale”.

Del resto, prosegue se il Legislatore avesse voluto sanzionare anche condotte aventi ad oggetto parti o accessori di apparecchi telefonici, arretrando la soglia di rilevanza penale, lo avrebbe fatto esplicitamente; come accaduto, per esempio, in materia di armi. Senza considerare che il termina “dispositivo” indica di per sé un “apparecchio destinati a svolgere una specifica funzione”.

La previsione di “altri dispositivi”, spiega la decisione, risponde all’esigenza tecnica legislativa di ricomprendere tutti i dispositivi in un’unica locuzione, evitando una lunga elencazione.

Inoltre, proprio la natura del carattere istantaneo del reato rende necessario che l’apparecchio o il dispositivo oggetto della condotta incriminata sia completo e già di per sé idoneo a consentire la comunicazione.

Tali considerazioni, precisa però la Corte, non si estendono alla ipotesi in cui, ad esempio, contestualmente alla introduzione di una scheda SIM, venisse rinvenuto nella disponibilità del detenuto un dispositivo dove inserirla. Oppure venisse accertato che il detenuto era in grado di fare “affidamento” su un dispositivo di un operatore penitenziario “compiacente” o corrotto.

Esulano, conclude la decisione, dal confine della norma le condotte connotate dal frazionamento del dispositivo o, ad esempio, dall’introduzione in tempi diversi di singole parti. E questo perché “l’oggetto materiale delle condotte alternativamente incriminate dall’art. 391-ter cod. pen. si riferisce non a singole parti materiali e/o accessori, ma al solo dispositivo immediatamente utilizzabile per la comunicazione con l’esterno”. Spetta unicamente al legislatore una diversa valutazione.

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