Penale

La Consulta "interpreta" l'articolo 578 del Cpp precisando che impone l'applicazione delle regole civilistiche quanto al nesso causale all'elemento soggettivo dell'illecito

La corte costituzionale con la sentenza 182/2021 ha respinto i rilievi di legittimità sulla norma del codice su un tema sensibile anche alla lude della riforma Cartabia

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di Alberto Cisterna

Le interazioni tra processo penale e processo civile sono al centro di importanti prese di posizione delle Corti nazionali. Se le Sezioni unite della Cassazione hanno proprio di recente (la sentenza n. 22065/2021) regolamentato le interferenze tra azione penale e devoluzione al giudice civile dei profili risarcitori ai sensi dell'articolo 622 Cpp, la Consulta ha posto sotto scrutinio l'articolo 578 Cpp nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli effetti civili.
La questione è destinata, ovviamente, ad assumere un proprio rilievo anche con riguardo al prossimo regime dell'improcedibilità in grado d'appello che – come noto dopo la riforma Cartabia – è vocato a prendere il posto della prescrizione nelle fasi del processo successive al primo grado di giudizio. E, infatti, il ddl 2435 che ha appena superato il vaglio della Camera dei deputati prevede sia una modifica del titolo dell'articolo 578 Cpp sia l'interpolazione di nuovo comma 1-bis secondo cui «Quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado di appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale».

La questione di legittimità
Il giudice rimettente aveva sospettato che l'articolo 578 Cpp violasse il diritto alla presunzione di innocenza, garantito dalla norma convenzionale e da quelle dell'ordinamento dell'Unione europea (assunte a parametri interposti), in quanto avrebbe imposto al giudice dell'impugnazione di formulare - sia pure in via incidentale ed al solo fine di provvedere sulla domanda risarcitoria - un nuovo giudizio sulla responsabilità penale dell'imputato, sebbene questa fosse preclusa in ragione della declaratoria di estinzione del reato. In altri termini, la Corte territoriale riteneva che il protocollo di verifica della responsabilità civile implicasse un'incursione sul tema della colpevolezza penale in contraddizione con il divieto derivante dall'estinzione del reato. Il punto di decisione constava, in particolare, nell'assunto del giudice remittente secondo cui – applicando un orientamento consolidato della Corte di cassazione - la conferma delle statuizioni risarcitorie potrebbe seguire solo a un compiuto esame nel merito dei motivi di gravame (tutti incentrati sull'assenza di penale responsabilità in capo all'imputato), in mancanza del quale la sentenza di appello sarebbe viziata da omessa o insufficiente motivazione ed esposta a un annullamento con rinvio.

I limiti della fattispecie
La sentenza 182 del 2021 chiarisce, innanzitutto, a quali condizioni si possa fare applicazione dell'articolo 578 Cpp sottoposto a scrutinio. I presupposti per l'applicazione della norma consistono:
a) nell'emissione di una valida condanna risarcitoria in primo grado;
b) nella sopravvenienza di una causa estintiva maturata nelle more dell'impugnazione della predetta condanna;
c) nella "specificità" della causa estintiva sopravvenuta, costituita dalla prescrizione;
d) nella circostanza che dagli atti processuali non risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato con conseguente impossibilità di addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito ai sensi dell'articolo 129 Cpp.
Delimitata la fattispecie la Consulta ha ritenuto correttamente individuati dal giudice a quo i parametri del giudizio costituiti – per il tramite dell'articolo 117 Cost. – dall'articolo 6, paragrafo 2, CEDU e dall'articolo 48 CDFUE, unitamente agli articoli 3 e 4 della Direttiva 2016/343/UE, in corso di recepimento in forza della legge 22 aprile 2021 n. 53, sul rafforzamento della presunzione di innocenza. Il richiamo alla Direttiva il cui testo di recepimento è, come noto, in questi giorni all'esame parlamentare, è particolarmente significativo, poiché segna uno dei primi casi in cui i giudici remittenti ricorrono a questa importante disposizione eurocomunitaria, quale norma interposta, per sindacare le disposizioni processuali interne e la pronuncia della Corte costituzionale è – sotto questo profilo – un precedente tutt'altro che marginale.
Annota in proposito la Consulta che le norme contenute nella Direttiva n. 2016/343/UE, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza, sono state certo approvate per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, ma che si tratta di disposizioni le quali «proprio perché volte a creare un'armonizzazione minima dei procedimenti penali nell'Unione europea, sotto il profilo dei diritti procedurali di indagati e imputati, in funzione del rafforzamento della reciproca fiducia degli Stati membri nei rispettivi sistemi di giustizia penale, trovano applicazione indipendentemente dalla dimensione transnazionale del procedimento (Corte di giustizia, sentenza 13 giugno 2019, in causa C-646/17)». Una strada importante da seguire per gli operatori giudiziari, soprattutto nel momento in cui il processo penale italiano sembra destinato a profonde modifiche sia in ragione di una nuova stagione di riforme, sia per l'impatto che su di esso potrebbero avere i referendum appena avviati.

La cornice di diritto interno
La Corte, innanzitutto, precisa che l'assetto delle relazioni tra processo civile e processo penale è informato ai principi dell'autonomia e della separazione. Tant'è che, ove la medesima vicenda sia oggetto di scrutinio in sede civile e penale, il processo civile prosegue, di norma, autonomamente (articolo 75, comma 2, Cpp), salve le ipotesi eccezionali in cui il danneggiato abbia proposto la domanda in sede civile dopo essersi costituito parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado (art. 75, comma 3, Cpp). Correlativamente la sentenza penale irrevocabile di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel processo civile se il danneggiato ha esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75, comma 2, Cpp (articolo 652, comma 1, Cpp).
Nei casi in cui – come quelli sotto scrutinio della Consulta - la domanda risarcitoria venga proposta con la costituzione di parte civile nel processo penale, i rapporti tra azione civile e poteri cognitivi del giudice penale «continuano a essere informati al principio dell'"accessorietà" dell'azione civile rispetto a quella penale, principio che trova fondamento nelle "esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi", e che ha quale naturale implicazione quella per cui l'azione civile, ove esercitata all'interno del processo penale, "è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura" di questo processo (sentenza n. 176 del 2019; in precedenza, anche sentenza n. 12 del 2016). La sentenza 182 del 2021 ricorda che questo postulato dell'accessorietà rinviene precipua espressione nella regola secondo la quale il giudice penale «decide» sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta con la costituzione di parte civile, «[q]uando pronuncia sentenza di condanna» (articolo 538, comma 1, Cpp). La sentenza di condanna, in questa struttura, è la condizione indispensabile perché il giudice penale si pronunci sulla domanda civile: se emette sentenza di proscioglimento, tanto in rito (sentenza di non doversi procedere, articoli 529 e 531 Cpp) quanto nel merito (sentenza di assoluzione: articolo 530 Cpp), il giudice non deve provvedere sulla domanda civile. Laddove, come detto, emetta una sentenza di condanna (articolo 533 Cpp), provvede anche sulla domanda restitutoria o risarcitoria. Questo il perimetro delle disposizioni – ricorda la Corte costituzionale – che si applicano nel giudizio penale di primo grado. La questione, invece, conosce un diverso assetto nei gradi di impugnazione laddove subisce modifiche a tutela della parte civile (articolo 24, secondo comma, Cost.) e ivi è regolato il potere-dovere del giudice di provvedere sulla domanda civile, pur in presenza di una pronuncia di proscioglimento e, quindi, in assenza dell'accertamento della responsabilità penale: a) l'articolo 576 Cpp, come noto, accorda alla parte civile il potere di proporre impugnazione, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento e il vaglio costituzionale ha ritenuto legittima tale previsione (sentenza n. 176 del 2019); b) a sua volta l'articolo 578 Cpp prevede che, quando il processo penale ha superato il primo grado ed è nella fase dell'impugnazione, sia data risposta alle pretese risarcitorie o restitutorie della parte civile anche quando non possa più esserci un accertamento della responsabilità penale dell'imputato ove questa risulti riconosciuta in una sentenza di condanna, impugnata e destinata a essere riformata o annullata per l'intermedia estinzione del reato per prescrizione (e, domani, per improcedibilità); la disposizione è evidente che non si applichi sia all'ipotesi in cui il giudice di appello, su impugnazione del pubblico ministero, dichiari la prescrizione del reato in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado, sia al caso in cui il medesimo giudice accerti che la prescrizione del reato è maturata prima della pronuncia di primo grado, mancando una previa condanna in primo grado; c) più sensibile è la deviazione dal principio generale di accessorietà dell'azione civile nel processo penale nel caso di cui all'articolo 622 Cpp (come detto oggetto della sentenza 22065 del 2021 delle Sezioni unite) secondo cui, nel giudizio di cassazione, «se gli effetti penali della sentenza di merito sono ormai cristallizzati per essersi formato il giudicato sui relativi capi, la cognizione sulla pretesa risarcitoria e restitutoria si scinde dalla statuizione sulla responsabilità penale e viene compiuta, in sede rescindente, dal giudice di legittimità e, in sede rescissoria, dal giudice civile di merito competente per valore in grado di appello, all'esito di rinvio». La Consulta, ovviamente, evoca la più recente interpretazione delle Sezioni unite penali le quali hanno statuito che nel giudizio rescissorio di "rinvio" dinanzi al giudice civile, avente in realtà natura di autonomo giudizio civile (non vincolato dal principio di diritto eventualmente enunciato dal giudice penale di legittimità in sede rescindente), trovano applicazione le regole processuali e probatorie proprie del processo civile e che l'accertamento richiesto al giudice del "rinvio" ha per oggetto gli elementi costitutivi dell'illecito civile, prescindendosi da ogni apprezzamento, sia pure incidentale, sulla responsabilità penale dell'imputato.

La soluzione interpretativa
Rileva, innanzitutto, la Consulta che, affinché possa dirsi che non ricorra un bis in idem, è sufficiente che «il successivo procedimento giudiziario non dia luogo a una nuova imputazione penale nel senso autonomo della Convenzione» (Corte EDU, sentenza Pasquini); quindi ogni qualvolta - a seguito di proscioglimento per prescrizione del reato - il giudice sia chiamato a valutare i presupposti per l'emissione di un provvedimento accessorio avente natura punitiva, «secondo i canoni interpretativi della Corte di Strasburgo (per la confisca v. Cedu, 20 gennaio 2009, Sud Fondi srl e altri v. Italia), per un verso le garanzie processuali che circondano la predetta valutazione non precludono l'accertamento della responsabilità dell'imputato in ordine al reato estinto, mentre, per altro verso, tale accertamento – nel suo profilo "sostanziale" di «accertamento di responsabilità» contenuto nella motivazione della sentenza, che prescinde dalla formale enunciazione della condanna nel dispositivo (sentenza n. 49 del 2015) – è anzi imposto dall'articolo 7 Cedu, che, ai fini dell'applicazione di una sanzione penale, esige la previa dichiarazione della relativa responsabilità (Cedu, Grande camera, 28 giugno 2018, G.I.EM. srl e altri contro Italia)». Ciò che l'autorità investita del nuovo procedimento non avente natura penale non può fare è emettere provvedimenti che presuppongano un giudizio di colpevolezza o che siano fondati su un nuovo apprezzamento della responsabilità penale della persona in ordine al reato precedentemente contestatole (Cedu, Allen v. Regno Unito e Pasquini c. Repubblica di San Marino). E analoghe considerazioni sono svolte dalla pronuncia in commento quanto alla cornice dei principi dell'eurodiritto in materia di presunzione di innocenza.
Operato questo chiarimento, la Corte costituzionale precisa che, nella situazione ex articolo 578 Cpp (reato estinto per prescrizione), il giudice non sia affatto chiamato a formulare, sia pure "incidenter tantum", un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili sia perché un tale giudizio non è richiesto dal tenore testuale della disposizione che, a differenza di quella immediatamente successiva (articolo 578-bis Cpp.), non prevede il «previo accertamento della responsabilità dell'imputato» e proprio ai fini della la sussistenza, o meno, dei «presupposti di un provvedimento avente natura punitiva secondo i canoni interpretativi della giurisprudenza di Strasburgo». Laddove l'articolo 578 Cpp non contiene una analoga clausola, sicché l'ambito della cognizione da esso richiesta al giudice penale ai fini del provvedimento sull'azione civile, deve essere ricostruito dall'interprete, il quale, nel condurre l'esegesi convenzionalmente orientata della norma, ha come parametro convenzionale di riferimento l'articolo 6 Cedu e l'articolo 48 Cdfue.
Ne discende che l'accertamento civilistico, richiesto dall'articolo 578 Cpp al giudice penale dell'impugnazione, si differenzia dall'ormai precluso accertamento della responsabilità penale ed impone l'applicazione delle regole civilistiche appunto quanto al nesso causale all'elemento soggettivo dell'illecito. Per giunta l'autonomia dell'accertamento dell'illecito civile non è revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (articolo 573 Cpp). Come già ricordato dalle Sezioni unite penali «l'applicazione dello statuto della prova penale è pieno e concerne sia i mezzi di prova (sarà così ammissibile e utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che nel processo civile sarebbe interdetta dall'articolo 246 Cpc.), sia le modalità di assunzione della prova (le prove costituende saranno così assunte per cross examination ex art. 499 Cpp e non per interrogatorio diretto del giudice), le quali ricalcheranno pedissequamente quelle da osservare nell'accertamento della responsabilità penale: ove ne ricorrano i presupposti, dunque, il giudice dell'appello penale, rilevata l'estinzione del reato, potrà – o talora dovrà (Cassazione, sezioni unite penali, 28 gennaio - 4 giugno 2021, n. 22065) – procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale al fine di decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili (articolo 603, comma 3-bis, Cpp». Un percorso, in gran parte inedito, e la conferma delle ormai cospicue contaminazioni che processo civile e processo penale realizzano non più secondo il vecchio asse della pregiudizialità, ma favorendo la circolazione dei mezzi di prova e dei canoni di giudizio.

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