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La Corte di Giustizia dell'Unione Europea interviene sulla commercializzazione del cannabidiolo nel mercato europeo

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea è intervenuta sul "cannabidiolo" stabilendo che nessuno Stato membro può vietarne la commercializzazione se questo è stato legalmente prodotto in un altro Stato membro

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di Elio Enrico Palumbieri


La fattispecie

Il caso trae origine da un procedimento penale sorto in Francia a carico di B. S. e C. A., ex amministratori della Catlab SAS specializzata nella commercializzazione di una sigaretta elettronica il cui liquido contiene olio di canapa o CBD. Quest'ultimo è prodotto in Repubblica Ceca da piante utilizzate nella loro interezza e, successivamente, confezionato in Francia.

Il Decreto francese del 22 agosto 1990, però, in applicazione dell'articolo R. 5132-86 del codice della salute pubblica per la cannabis (JORF del 4 ottobre 1990, pag. 12041), nel prevedere la possibilità di commercializzare esclusivamente le fibre e i semi della canapa, ha posto un limite all'importazione del suddetto prodotto ceco.

L'articolo 1 della disposizione menzionata, infatti, autorizza la "coltivazione, l'importazione, l'esportazione e l'utilizzo industriale e commerciale (fibre e semi) delle varietà di Cannabis sativa L. purché:
– il tenore di delta-9-tetraidrocannabinolo di tali varietà non sia superiore allo 0,20%;
– la determinazione del tenore di delta-9-tetraidrocannabinolo e il campionamento in vista di tale determinazione siano effettuati secondo il metodo [dell'Unione] indicato nell'allegato"
.

A tal riguardo, il Ministero della Giustizia francese aveva chiarito, con circolare del 23 luglio 2018, che il decreto in commento andava interpretato come infra si dirà. Ebbene:
"La coltivazione della canapa, la sua importazione, esportazione ed utilizzazione sono autorizzate soltanto se:
– la pianta proviene da una delle varietà di Cannabis sativa L. previste dal decreto [del 22 agosto 1990];
– sono impiegate soltanto fibre e semi della pianta;
– la pianta contiene essa stessa meno dello 0,20% di delta-9-tetraidrocannabinolo.
Contrariamente all'argomento talvolta opposto dagli stabilimenti che offrono in vendita prodotti a base di cannabidiolo, il tenore autorizzato di delta-9-tetraidrocannabinolo dello 0,20% si applica alla pianta di cannabis e non al prodotto finito che ne sarebbe ottenuto.
(…)
Occorre precisare che il cannabidiolo si trova principalmente nelle foglie e nei fiori della pianta, e non nelle fibre e nei semi. Di conseguenza, allo stato della legislazione applicabile, l'estrazione del cannabidiolo in condizioni conformi al codice della salute pubblica non appare possibile.
(…)".


Sulla scorta di tali elementi il Tribunal Correctionnel de Marseille, dunque, ha condannato gli ex amministratori della società avente ad oggetto la commercializzazione e la distribuzione delle sigarette elettroniche ad anni 18 e mesi 15 di reclusione, nonché al pagamento di € 10.000 di multa.

Avverso tale sentenza, i predetti, proponevano appello dinanzi alla Court d'appel d'Aix-en-Provence (Corte d'appello di Aix-en-Provence), sostenendo la contrarierà al diritto dell'unione del divieto di commercializzazione del CBD ricavato dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza.

I Giudicanti, a questo punto, rimettevano alla Corte di Giustizia nel tentativo di risolvere la questione relativamente alla conformità delle disposizioni di cui al citato Decreto francese al diritto dell'Unione.

La decisione della Corte

La CGUE ha, preliminarmente, escluso l'applicabilità al caso di specie dei regolamenti relativi alla P.A.C., non ritenendo il cannabidiolo un prodotto agricolo.

Quel che più rileva, tuttavia, è che la medesima Corte ha statuito che il CBD non rientra fra le sostanze stupefacenti. Esso, infatti, non è menzionato nella Convenzione sulle Sostanze Psicotrope e non è annoverato, come stupefacente, neppure alla luce della Convenzione Unica sugli Stupefacenti. Per l'effetto, quindi, all'olio di Canapa, in quanto sostanza commercializzabile sul territorio UE, vanno applicati gli articoli 34 e 36 del TFUE concernenti la libera circolazione delle merci.

Ma non è tutto.

Sottolinea la Corte che il Decreto francese va ritenuto contrastante con il diritto dell'Unione in quanto posto in violazione del divieto di cui all'articolo 34 TFUE che, com'è noto, riguarda qualsiasi misura degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, realmente o potenzialmente, il commercio all'interno dell'Unione. Vieppiù, la decisione di vietare la commercializzazione, parrebbe non trovare giustificazione in uno dei motivi di interesse generale di cui all'articolo 36 TFUE. Tale provvedimento, infatti, può essere adottato soltanto qualora l'asserito rischio reale per la salute pubblica risulti sufficientemente dimostrato in base ai dati scientifici più recenti disponibili al momento dell'adozione di siffatta decisione. La Corte ha, quindi, evidenziato che spetta al giudice del rinvio valutare i dati scientifici disponibili e prodotti dinanzi ad esso al fine di assicurarsi che il presunto rischio reale per la salute non risulti fondato su mere presunzioni, bensì su dati di fatto inconfutabili.

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