Lavoro

La deduzione in giudizio di fatti "nuovi" non sempre viola il principio di immutabilità della contestazione disciplinare

Corte di Cassazione, sentenza n. 22076 del 13 ottobre 2020

di Antonio Cazzella


Con sentenza n. 22076 del 13 ottobre 2020 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla possibilità di configurare una violazione dell'art. 7 Stat. Lav. (norma che, come noto, tutela il diritto di difesa del lavoratore) nel caso in cui il datore di lavoro deduca in giudizio fatti nuovi rispetto a quelli oggetto della contestazione disciplinare, ovvero nel caso in cui nuovi fatti emergano nel corso dell'istruttoria.

Nella fattispecie in esame, una lavoratrice era stata licenziata in quanto si era fatta consegnare, da un collega di lavoro, una scheda telefonica aziendale per un uso non autorizzato; nel corso dell'istruttoria era emerso che la scheda era stata consegnata, dal collega della lavoratrice, all'ex marito di quest'ultima, che ne aveva fatto un uso saltuario.

La Corte di merito ha ritenuto legittimo il licenziamento, riformando la sentenza di primo grado, e la decisione è stata impugnata dalla lavoratrice innanzi alla Suprema Corte, sul presupposto che non sarebbe stata dimostrata, da parte del datore, la condotta addebitata.

La Corte di Cassazione, nel rigettare il gravame, ha ricordato che il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare (c.d. principio di immutabilità della contestazione disciplinare), che vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, può ritenersi violato solo qualora il datore di lavoro alleghi, nel corso del giudizio, circostanze nuove che, in violazione del diritto di difesa, implicano una diversa valutazione dei fatti, mentre tale violazione non può ravvisarsi nel caso in cui si tratti di circostanze che non modificano il quadro generale della contestazione.

La Suprema Corte ha infatti precisato che "le condotte sulle quali è incentrato l'esame del giudice di merito non devono nella sostanza fattuale differire da quelle poste a fondamento della sanzione espulsiva, pena lo sconfinamento dei poteri del giudice in ambito riservato alla scelta del datore di lavoro".

Con riferimento alla fattispecie in esame, la Suprema Corte ha ritenuto che il fatto contestato alla lavoratrice, dal quale era scaturito il licenziamento, era stato dimostrato in giudizio, in quanto, a prescindere dalla terminologia utilizzata nella contestazione disciplinare, non risultavano mutati i tratti essenziali della medesima per il fatto che la materiale consegna della scheda telefonica aziendale fosse stata effettuata dal collega della lavoratrice licenziata al marito di quest'ultima ma in presenza della stessa lavoratrice, che aveva peraltro sollecitato la consegna.

In questa situazione, la Corte di merito ha correttamente affermato, come evidenziato dalla Suprema Corte, che "l'aver presenziato alla consegna della scheda all'ex marito per il quale aveva intercesso presso il collega è condotta del tutto equiparabile alla sua materiale dazione", in quanto la consegna atteneva "al piano esecutivo di un accordo illecito già concluso e perfetto".

In linea generale, sempre con riferimento al principio di immutabilità della contestazione disciplinare, si ricorda che la Suprema Corte ha affermato che è riservata al giudice del merito "la valutazione sul se gli elementi ulteriori introdotti dal datore di lavoro nel corso del giudizio costituiscano circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell'infrazione, in violazione del diritto di difesa … oppure se si tratti di circostanze confermative in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre ….. ovvero che non modifichino in senso sostanziale il quadro di riferimento della contestazione" (in tal senso, recentemente, Cass. 25 marzo 2019, n. 8293: nella fattispecie esaminata, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte territoriale - che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento del dipendente di una banca – secondo cui contestare al dipendente l'emissione di un assegno parzialmente privo di copertura e di uno con firma irregolare differisce, nella sostanza, dalla richiesta avanzata dal dipendente nei confronti di un cliente finalizzata ad ottenere dei prestiti per far fronte ad una forte esposizione debitoria, successivamente dedotta in causa dal datore di lavoro a fondamento dell'intimato licenziamento).

Sotto un diverso profilo, con specifico riferimento al divieto, previsto dall'art. 7 Stat. Lav., di tener conto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione, si ricorda che la Suprema Corte è univoca nel ritenere che, al fine di valutare (anche) il profilo psicologico del comportamento posto in essere dal lavoratore, il principio di immutabilità della contestazione disciplinare non vieta al datore di "di considerare fatti non contestati e risalenti anche oltre due anni quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base della sanzione espulsiva" (ex plurimis, Cass. 18 aprile 2019, n. 10853).

a cura dell' avv. Antonio Cazzella – Trifirò & Partners Avvocati

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