Lavoro

La denuncia del collega non salva il whistleblower che ha commesso il medesimo illecito

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, ordinanza 9148 depositata oggi, chiudendo al "pentitismo" in ambito lavorativo

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di Francesco Machina Grifeo

L'aver denunciato i comportamenti scorretti o illeciti dei colleghi non salva il whistleblower, che si sia macchiato delle medesime violazioni, dalle sanzioni. Lo scudo accordato al denunciante contro eventuali ritorsioni da parte del datori di lavoro, o comunque dei suoi dirigenti, non si trasforma dunque in una esimente per i comportamenti illeciti da lui autonomamente posti in essere. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, ordinanza 9148 depositata oggi, respingendo il ricorso di una infermiera di una Azienda ospedaliera pubblica sospesa per quattro mesi per aver svolto attività retribuita non autorizzata presso una struttura privata,per circa otto anni, guadagnando poco meno di 30mila euro. A nulla giovando il fatto che ella avesse denunciato l'analogo comportamento di altri colleghi.

La Sezione lavoro mette così un argine al "pentitismo" in ambito lavorativo chiarendo che non esistono salvacondotti per chi denuncia. Al massimo si potrà tener conto del ravvedimento nella graduazione della sanzione.

La fattispecie delineata dall'articolo 54-bis del Dlgs n. 165 del 2001, tirato erroneamente in ballo dalla ricorrente, infatti, tutela le segnalazioni effettuate dal dipendente ai propri superiori di illeciti altrui, con l'effetto di impedire che il medesimo, in ragione di tali segnalazioni, possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure direttamente o indirettamente discriminatorie per motivi collegati in modo diretto o indiretto alla denuncia. Tuttavia, prosegue la decisione, "l'applicazione al dipendente di una sanzione per comportamenti illeciti suoi propri resta dunque al di fuori della copertura fornita dalla norma, che non esime da responsabilità chi commetta un illecito disciplinare per il solo fatto di denunciare la commissione del medesimo fatto o di fatti analoghi ad opera di altri dipendenti".

Nulla vieta, aggiunge la Corte, all'ordinamento di riconoscere eventuali attenuanti oppure, quando possibile, di valorizzare il 'pentimento' sotto il profilo della valutazione di proporzionalità, come è normale che sia per il ravvedimento che ciò può dimostrare, ma l'articolo 54-bis non riconosce, né lo Stato per quanto sopra detto è tenuto a riconoscere, un'esimente rispetto a tali autonomi illeciti.

Da qui l'affermazione del seguente principio di diritto: «La normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguardia il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce una esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell'apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo ».

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