La fecondazione postuma trasmette il cognome del padre
È legittimo il figlio nato con la procreazione medicalmente assistita omologa dopo la morte del padre, che ha dato il consenso al congelamento del seme. Va dunque rettificato l’atto di stato civile in cui il bambino ha il solo cognome della madre. La parificazione ai figli legittimi, prevista dalla legge 40/2004 (articolo 8) per i nati con la Pma nel caso di entrambi i genitori viventi, vale anche se la nascita avviene dopo la morte del padre, anche se sono passati 300 giorni.
Con la sentenza 13000 la Cassazione affronta, per la prima volta, il tema della fecondazione post mortem, affermando il diritto alla parità di trattamento, al di là della liceità o meno della tecnica in Italia. I giudici accolgono il ricorso di una donna che , accertata la difficoltà di concepire, aveva dato l’ adesione, con il marito, alla procreazione assistita. L’uomo si era ammalato nel corso della terapia e, consapevole della fine prossima, aveva autorizzato la moglie a usare il seme congelato. La ricorrente dopo la morte del marito, avvenuta nel 2015, si era sottoposta alla fecondazione assistita in Spagna. La bambina era nata in Italia nel 2017. L’ufficiale di stato civile si era rifiutato di trascrivere la paternità, considerando la dichiarazione contraria all’ordinamento, per la nascita avvenuta oltre il periodo che consente la presunzione del concepimento nel matrimonio.
La Cassazione – che respinge l’indicazione del Pg di rimettere il ricorso alle Sezioni unite – chiarisce che non si tratta di stabilire se sia lecita la fecondazione dopo la morte, ma di decidere se l’atto di stato civile debba corrispondere alla realtà dei fatti e vada dunque corretto. La risposta è affermativa. Per i giudici è rilevante la prova fornita della discendenza biologica e del consenso prestato alla pratica. A prescindere dalle considerazioni sulle responsabilità dei genitori e dei medici che hanno assecondato il progetto. Né la soluzione adottata è ostacolata dall’assunto dell’ordinamento sulla protezione dell’infanzia e il diritto ad una famiglia con due figure genitoriali: nella situazione esaminata l’alternativa era non nascere. E «l’affermazione che nascere e crescere con un solo genitore integri una condizione esistenziale negativa non può essere enfatizzata al punto tale da preferire una non vita». Al contrario è interesse del nato acquisire rapidamente la certezza della propria discendenza bigenitoriale.
Nell’attuale scenario la genitorialità si va staccando dal nesso del matrimonio e della famiglia «declinandosi in una molteplicità di contesti prima ritenuti inediti». Ipotesi che non possono essere più affrontate con un Codice civile del 1942. Il fenomeno dell’emersione di diversi tipi di relazione affettiva è tale da richiedere una tutela sistematica e non più occasionale. La Cassazione precisa però che deve essere il giudice e non l’ufficiale di stato civile a valutare la veridicità delle dichiarazioni, quando ci sono in gioco effetti giuridici relativi allo status della persona. L’ufficiale si può rifiutare di riceverle se le ritiene contrarie all’ordinamento e all’ordine pubblico. Scatta poi il procedimento di rettificazione per eliminare le difformità tra la situazione di fatto e quanto risulta dall’atto di stato civile. La Cassazione rinvia alla Corte d’appello perché segua i principi dettati.
Corte di cassazione – sezione I – Sentenza 15 maggio 2019 n.13000