La giurisdizione della Corte dei Conti sul reddito di cittadinanza. L'indebita percezione del beneficio è idonea a cagionare il danno erariale
Nota a sentenza, 468 del 28 ottobre 2022, II Sezione centrale d'appello della Corte dei conti
La sentenza n. 468 del 28 ottobre 2022, emessa dalla II Sezione centrale d'appello della Corte dei conti, ha chiarito i profili di giurisdizione del giudice contabile nel caso di indebita percezione del reddito di cittadinanza.
La pronuncia ha ribaltato le considerazioni cui erano giunte la dottrina e la pregressa giurisprudenza, muovendo le proprie tesi a partire dalla natura e dallo scopo del beneficio in esame, quale misura di integrazione al reddito finalizzata all'incremento occupazionale di soggetti in stato di disagio socioeconomico, definendo il rapporto che si viene ad instaurare tra i percettori e la Pubblica Amministrazione erogante e delineando la tipologia di danno erariale in virtù della mancata realizzazione degli scopi perseguiti con la contribuzione.
Il Decreto Legge 28 gennaio 2019, n. 4, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in data 28 gennaio 2019, n. 23. e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 28 marzo 2019, n. 26, ha introdotto nell'ordinamento italiano il reddito di cittadinanza, ovvero uno strumento di aiuto economico e di sussidio finalizzato al contrasto alla povertà e all'inserimento dei percettori nel tessuto lavorativo nazionale. La descrizione di tale sussidio, di seguito denominato "Rdc", è data dall'art. 1 del medesimo decreto, il quale lo definisce una "misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro"
Il Rdc costituisce il livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili". Si tratta, dunque, di una erogazione di risorse pubbliche ai nuclei familiari, ex art. 2 del medesimo decreto, che versano, all'atto della proposizione della domanda e durante tutte le successive fasi di percezione, in determinate condizioni economiche e che presentano determinati requisiti necessari per la concessione del beneficio. Uno di questi prevede che il richiedente abbia la cittadinanza italiana o di un Paese membro dell'Ue o, in alternativa, che sia in possesso di permesso di soggiorno nel territorio nazionale di lungo periodo.
Ulteriormente, lo stesso deve risultare residente in Italia per almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda, di cui gli ultimi due anni, e per tutta la durata dell'erogazione del beneficio, in modo continuativo. Gli articoli 4 e 5 del D.L. n. 4 del 2019 definiscono le modalità di percezione del contributo, il quale ha la durata massima di 18 mesi, rinnovabile a scadenza, ed è somministrato attraverso l'accredito delle somme su una carta di pagamento elettronica.
La percezione del Rdc è condizionata ad una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro resa dai componenti del nucleo familiare maggiorenni e dalla successiva sottoscrizione di un "Patto per il lavoro" presso il Centro per l'impiego, il quale, tra l'altro contiene l'obbligo di accettare almeno una di due offerte di lavoro congrue. Inoltre, nel caso in cui nel nucleo familiare non vi siano componenti disoccupati da meno di due anni, o in situazione similare, è prevista la sottoscrizione di un "Patto per l'inclusione sociale", i quali possono prevedere un "percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché' altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro e all'inclusione sociale".
Dunque, i patti per il lavoro e l'inclusione sociale comportano degli specifici obblighi per i sottoscrittori, finalizzati all'inclusione lavorativa.
La violazione delle condizioni e degli oneri imposti dalla norma comporta la revoca del contributo: tali condizioni imposte dal legislatore hanno come fine sia quello di tutelare la ratio della concessione, che vuole essere uno strumento di sussidio e di incentivo al lavoro, sia quello di prevenire le condotte illecite di chi falsamente attesta la corrispondenza dei requisiti al fine di ottenere un'indebita percezione.
Definite le finalità e le condizioni di erogazione della misura prevista dal D.L. n. 4 del 2019, si evidenzia che la dottrina e la giurisprudenza si sono espresse circa la giurisdizione del giudice contabile nel caso di indebita percezione di Rdc. In primis è necessario evidenziare che, a seguito dell'entrata in vigore del Codice di giustizia contabile, di cui all'Allegato 1 del D.Lgs. n. 174 del 2016, la giurisdizione della Corte dei conti, ex art. 1 del predetto testo normativo, si estende "nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all'erario e negli altri giudizi in materia di contabilità pubblica", per cui dal tenore letterale di questo articolo emerge chiaramente la volontà del Legislatore di includere la responsabilità amministrativa per il danno erariale nella giurisdizione della Corte dei conti.
Ciò posto, è necessario premettere che l'azione di responsabilità si fonda su una serie di presupposti, ulteriori rispetto alla presenza di un danno inferto alle casse pubbliche.
Infatti, la responsabilità amministrativa si configura qualora un dipendente pubblico, o un soggetto legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto di servizio, cagioni, con una condotta attiva o omissiva caratterizzata da dolo o colpa grave, un danno patrimoniale diretto o indiretto ad un Ente pubblico, anche diverso da quello di appartenenza, ivi inclusi gli Enti comunitari.
La dottrina e la giurisprudenza si sono confrontate nel tempo circa la definizione di responsabilità amministrativa e da ultimo si è espressa la Corte Costituzionale che, con la pronuncia n. 203 del 2022, ha statuito che tale forma di responsabilità è connotata dalla combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, ed è ciò che giustifica la possibilità di configurare la stessa solo in presenza di una condotta, commissiva o omissiva, imputabile al pubblico agente per dolo o colpa grave, al fine di determinare quanto del rischio dell'attività debba restare a carico dell'apparto e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per i dipendenti e amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità quale ragione di stimolo e non di disincentivo.
Dunque, sono sottoposti al giudizio innanzi alla Corte dei conti i soli dipendenti legati alla Pubblica Amministrazione da un rapporto organico e l'autore dell'illecito, al momento della condotta, deve essere capace di intendere e di volere e deve aver agito in rapporto di occasionalità necessaria con la propria attività istituzionale, ai sensi dell'art. 81, comma 1, del R.D. n. 2440/1923 e dell'art. 52, comma 1, del R.D. n. 1214/1934. Sebbene sulla nozione di "occasionalità necessaria" si fronteggino diversi indirizzi interpretativi, secondo la tesi prevalente sussiste la giurisdizione della Corte dei conti quando il fatto dannoso trovi origine nell'espletamento del servizio, includendo anche le ipotesi nelle quali il soggetto abbia agito al di fuori delle proprie normali mansioni.
La giurisprudenza prevalente ha osservato che, ai fini della sussistenza della responsabilità amministrativa, deve ritenersi condotta illecita sia lo svolgimento diretto della funzione istituzionale sia lo svolgimento della funzione strumentale all'esercizio di quest'ultima, purché tale attività rinvenga nel rapporto l'occasione necessaria del suo manifestarsi, pur costituendone un'illecita deviazione.
Tuttavia, la giurisdizione del giudice contabile non è ristretta solo con riguardo ai soggetti legati alla Pubblica Amministrazione da rapporto organico, ma si estende anche nei confronti di soggetti estranei all'Ente pubblico ma ad esso legati da un rapporto di servizio.
Tale rapporto si configura quando una persona, fisica o giuridica, si inserisce in via continuativa e a qualunque titolo nell'organizzazione pubblica e sia investita dello svolgimento di un'attività retta dalle regole proprie dell'azione amministrativa per il perseguimento di un fine di rilevanza pubblicistica.
Tale estensione della giurisdizione è avallata dalle norme che fanno riferimento alle nozioni di "rapporto di impiego" e "impiegati", ovvero gli artt. 81 e 83 del R.D. n. 2440 del 1923, l'art. 52 del R.D. n. 1214 del 1934, gli artt. 18 e 19 del D.P.R. n. 3 del 1957, l'art. 58 della L. n. 141 del 1990, nonché, in via generale, dalle disposizioni contenute nella L. n. 20 del 1994.
Il giudice di legittimità, inoltre, ha chiarito che ai fini della giurisdizione contabile deve aversi riguardo non alla qualità del soggetto che gestisce il denaro pubblico, che ben può essere strettamente privato, bensì alla natura del danno e degli scopi perseguiti con il suo contributo. Ne consegue che, ad esempio, l'amministratore di un Ente, anche privato, che svii dal programma imposto a seguito dell'erogazione di un contributo pubblico, provoca un danno all'Ente medesimo del quale è chiamato a rispondere innanzi alla Corte dei conti.
Ad esempio, sulla scorta di tali considerazioni, la giurisprudenza della Corte dei conti ha costantemente ribadito che, nell'ipotesi di un'ingerenza nella gestione da parte degli amministratori di fatto o di diritto della società percettrice di fondi comunitari, tale da sviare i finanziamenti dai fini pubblici per cui sono stati erogati, la presenza della società non è sufficiente a schermare le condotte degli amministratori, per cui gli stessi assumono un rilievo proprio rispetto all'organizzazione societaria.
Secondo l'indirizzo tracciato dalle Sezioni Unite, affinché sussista un rapporto di servizio è sufficiente che il soggetto abbia concorso in via continuativa alla gestione di risorse pubbliche con il conseguente assoggettamento ai relativi vincoli.
Quindi, esula dal rapporto di servizio la mancanza di un inserimento funzionale nell'apparato organizzativo dell'Amministrazione preponente e, pertanto, di un affidamento di compiti specifici finalizzati a tutelare un pubblico interesse, parimenti non si instaura tale rapporto quando l'inserimento nell'organizzazione pubblica non ha carattere di continuità, ma consista nell'esecuzione di prestazioni saltuarie, ancorché ripetute, rese in posizione esterna alla Pubblica Amministrazione.
Dunque, la percezione di un contributo pubblico, comunque denominato e a prescindere dall'origine comunitaria o nazionale, se è idonea alla realizzazione di un programma pubblicistico e il soggetto percettore è inserito in via funzionale con carattere di continuità nell'apparato organizzativo pubblico o nella gestione di risorse pubbliche con attribuzione di compiti o oneri specifici da esercitare per conto della Pubblica Amministrazione, integra il rapporto di servizio, per cui il percettore è soggetto all'azione di responsabilità promossa innanzi alla Corte dei conti.
In sintesi, vi è rapporto di servizio ogniqualvolta si instauri una relazione funzionale con la Pubblica Amministrazione, nella quale il soggetto esterno viene inserito nell'iter procedimentale dell'Ente pubblico come compartecipe dell'attività ai fini pubblici (Corte Cass., SS.UU., sentenza 26 febbraio 2004, n. 3899; Corte Cass., SS.UU., sentenza 31 gennaio 2008, n. 2289; id., sentenza 5 giugno 2008, n. 14825; sentenza 19 dicembre 2009, n. 26806; sentenza 3 marzo 2010, n. 5019; sentenza 9 febbraio 2011, n. 3165; sentenza14 gennaio 2015, n. 473; sentenza14 settembre 2017, n. 21297).
Tale relazione è sufficiente a radicare la giurisdizione della Corte dei conti nel caso in cui il contributo pubblico "sia funzionale alla realizzazione di un progetto", di modo che la sua erogazione sia "strettamente legata all'effettività della relativa realizzazione, costituente la finalità di interesse pubblico giustificatrice dell'investimento di denaro pubblico".
Chiariti i profili di giurisdizione del giudice contabile e degli elementi necessari all'integrazione del rapporto di servizio tra beneficiario del contributo pubblico e la Pubblica Amministrazione, è necessario analizzare se la percezione del reddito di cittadinanza integri o meno tale rapporto.
Il reddito di cittadinanza è stato introdotto, in primis, per il perseguimento della finalità di pubblico interesse dell'inclusione sociale, ovvero dell'utile e progressivo inserimento dei soggetti non occupati del mondo del lavoro. Tuttavia, secondo un primo orientamento, la finalizzazione del contributo al raggiungimento dell'obiettivo di pubblico interesse dell'inserimento progressivo di soggetti disoccupati nel mondo del lavoro, escluderebbe in radice il carattere puramente assistenziale dello stesso. La dottrina giunge a queste conclusioni muovendo sia dalla definizione di Rdc contenuta nella norma che, al fine di indicare il vincolo che si instaura tra Pubblica Amministrazione concedente il contributo e soggetto privato concessionario, utilizza le espressioni di "patto per il lavoro" e "patto per l'inclusione sociale", richiamate nell'art. 4 del medesimo decreto, sia dalla disciplina legislativa, la quale richiede la sussistenza e il rispetto di determinati requisiti soggettivi di carattere personale e reddituale, nonché di vincoli e di obbligazioni gravanti non solo sul percettore, ma su tutti i soggetti componenti il nucleo familiare del beneficiario, a pena di decadenza del beneficio, ex art. 3, comma 9, e art. 7, commi 2 e 4, del D.L. n. 4 del 2019.
Secondo questo primo orientamento, dunque, benché la percezione del contributo integri latamente una finalità di interesse pubblico, la stessa difetta della gestione di risorse pubbliche e del carattere di continuità: il percettore non è inserito in via prioritaria alla realizzazione di uno scopo pubblicistico, ma solo in via mediata, atteso che la finalità principale è quella di garantire un sussidio economico al percettore e di introdurlo nel mondo del lavoro.
Oltre alle considerazioni maturate dalla dottrina, la Sezione giurisdizionale per la Regione Campania, nella sentenza n. 439 del 2020 ha "negato che la percezione del reddito di cittadinanza integri la gestione di risorse pubbliche, ovvero l'assunzione del compito di realizzare un'attività in vece della pubblica amministrazione".
Questa sentenza muove dalla considerazione che, sebbene i nuclei familiari debbano attestare il possesso dei requisiti previsti dall'art. 2 del D.L. n. 4 del 2019, e che i percettori siano soggetti ad una serie di prescrizioni sopra richiamate, detta disciplina non conferisce al beneficiario alcuna gestione di risorse pubbliche orientate per uno scopo pubblicistico, ma si tratta esclusivamente di risorse che, benché abbiano origine pubblica, sono prive del vincolo di destinazione. Il fatto che ci sia un interesse pubblico sotteso all'erogazione del contributo in oggetto, ovvero che vi sia l'interesse collettivo all'inserimento dei percettori nel mondo del lavoro, non vale ad attribuire al beneficiario la qualifica di gestore di risorse pubbliche.
Infatti, la percezione del Rdc non integra il collegamento funzionale richiesto per perfezionare un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione e necessario per radicare la giurisdizione del giudice contabile, atteso che, sebbene si tratti di denaro di provenienza pubblica, difetta del vincolo di impiego necessario per la cura dell'interesse pubblico: il beneficiario non è chiamato a partecipare ad un programma pubblicistico, non essendo investito del compito di porre in essere un'attività in luogo della Pubblica Amministrazione.
Tali considerazioni si riflettono nel caso in cui un soggetto percepisca indebitamente il Rdc, atteso che, a differenza dell'indebita percezione di contributi comunitari tra cui, ad esempio, il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo di coesione (FC), il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) o il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), finalizzati in via prioritaria alla realizzazione di un programma pubblicistico e per i quali i percettori sono inseriti con carattere di continuità nella gestione di risorse pubbliche, nel caso in esame non si potrà pararle di "sviamento", non potendosi radicare la giurisdizione della Corte dei conti.
Alla luce di quanto sopra, la sentenza n. 439 del 2020 pronunciata dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Campania, afferma che la giurisdizione sul rapporto controverso spetti all'Autorità giudiziaria ordinaria, "trattandosi di una azione restitutoria fondata su un indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. dipendente dalla indebita percezione di un'indennità istituita per ragioni di solidarietà sociale", dovendosi escludere l'esistenza di un collegamento funzionale del privato beneficiario con la Pubblica Amministrazione e, quindi, la sua compartecipazione alla realizzazione di un programma finalizzato al perseguimento di un pubblico interesse.
Secondo tale pronuncia, residua, quale unico spiraglio di sottoposizione della questione al giudice contabile, il caso in cui l'Amministrazione non si attivi per tempo per il reintegro del contributo, causandone la perdita definitiva, per cui i responsabili dell'omissione potranno essere convenuti innanzi al giudice contabile per il risarcimento del danno erariale: tale previsione è ulteriormente prevista dall'art. 7, comma 13, del D.L. n. 4 del 2019.
Tuttavia, tali considerazioni sono state smentite dalla II Sezione centrale d'appello della Corte dei conti che, con la celebre sentenza del 28 ottobre 2022, n. 468, ha accolto i motivi di gravame proposti dalla Procura regionale per la Regione Campania proposti avverso la sentenza n. 439 del 2020.
La sentenza d'appello ha dichiarato la giurisdizione del giudice contabile nel caso di indebita percezione del Rdc, valutando la misura in questione come volta, in via principale e non mediata, alla realizzazione di finalità di interesse pubblicistico, rimeditando le considerazioni cui era giunta la Sezione giurisdizionale per la Regione Campania.
In particolare, la II Sezione centrale d'appello ha inquadrato il Rdc quale "misura di integrazione al reddito finalizzata all'incremento occupazionale di soggetti in stato di disagio socioeconomico, volta a favorire l'ingresso nel mondo del lavoro e come tale strumentale all'obiettivo primario dell'inserimento occupazionale, attesa la sussistenza del rapporto di servizio tra il percettore e l'ente pubblico erogatore". Secondo tale pronuncia, l'obiettivo principale del contributo non è l'integrazione del reddito, di natura assistenziale, ma la realizzazione dell'incremento occupazionale e dell'inserimento lavorativo, per cui il percettore, vincolato da una serie di obblighi e doveri, è inserito funzionalmente nell'apparato pubblico al fine della realizzazione del programma pubblicistico, inserendosi, quindi, in rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione.
Chiarita la sussistenza di un rapporto di servizio tra i percettori del reddito di cittadinanza e la Pubblica Amministrazione, è necessario chiarire la fattispecie di danno erariale.
La pronuncia d'appello afferma che l'indebita percezione del reddito di cittadinanza, così come lo scorretto utilizzo delle somme elargite e la mera sottrazione delle somme ad altri possibili beneficiari, integrano condotte idonee a cagionare un danno erariale devoluto alla giurisdizione della Corte dei conti, in virtù della "mancata realizzazione degli scopi perseguiti con la contribuzione", per cui il petitum sostanziale è fondato sulla cattiva utilizzazione dei fondi pubblici e sullo sviamento dalle finalità del contributo.
In conclusione, la pronuncia d'appello n. 468 del 2022 statuisce che "[…] contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, che si sia in presenza non dell'esercizio di una azione di restituzione di indebito, di competenza del G.O., ma di una azione di responsabilità per danno erariale insito nella mancata realizzazione di un fine pubblico perseguito con la contribuzione, mediante il godimento del beneficio di legge ottenuto o mantenuto grazie a dichiarazioni mendaci o con omissione di obblighi di comunicazione (Cass. S.U. n. 24899/2020).
Va da sé che l'azione di responsabilità per danno erariale e la facoltà, spettante all'amministrazione danneggiata, di promuovere le ordinarie azioni civilistiche davanti al giudice ordinario per il recupero totale del contributo restano reciprocamente indipendenti, anche quando investano i medesimi fatti materiali, quanto meno fino alla concorrenza dell'integrale ristoro del pregiudizio subito (Cass. S.U. 13245/2019). Per le su esposte ragioni l'appello del Procuratore regionale va accolto, dichiarando la giurisdizione della Corte dei conti a conoscere della questione".
* a cura di Dario Allegrucci, Capitano della Guardia di Finanza e Comandante della Compagnia di Orio al Serio (BG) e Socio Centro Studi Borgogna