Civile

La madre può far diventare il figlio testimone di Geova

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di Michol Fiorendi

È legittima la decisione di un genitore di far cambiare religione al figlio, se questa modifica non reca alcun pregiudizio al bambino. Questo tipo di valutazione si può effettuare solo attraverso l'ascolto del minore. Lo ha affermato la Cassazione che, con l’ordinanza 21916 del 30 agosto scorso, si è pronunciata in un caso di separazione coniugale pronunciata dal Tribunale, che stabilisce l’affidamento congiunto del bambino e la sua dimora presso la madre.

Il primo grado
Il padre esprime il proprio dissenso sulla religione geovista che la madre vuole trasmettere al figlio e chiede al Tribunale che il bambino porti a termine il percorso di formazione cattolica fino alla cresima, così da poter decidere più consapevolmente se cambiare o meno confessione religiosa.

Il Tribunale accoglie la richiesta del padre: al giudice la sua posizione pare rispondere meglio all’interesse del figlio perché la religione cattolica, più diffusa e praticata, consentirebbe al bambino una maggiore integrazione sociale.

L’appello
La madre propone appello e chiede la sospensione e la revoca delle disposizioni della sentenza di primo grado relative all’educazione religiosa del figlio. Ma la Corte d’appello respinge quanto richiesto dalla madre e conferma la decisione del Tribunale, ritenendo che sia più in linea con l’interesse del bambino mantenere la scelta libera e iniziale dei genitori, unilateralmente modificata in seguito dalla madre, di completare la formazione cattolica del figlio.

La madre presenta così ricorso in Cassazione, insistendo perché venga riconosciuto il diritto del bambino a ricevere gli insegnamenti di entrambi i genitori, nel rispetto del principio costituzionale della loro uguaglianza morale e giuridica, una volta accertato che ciò non gli rechi alcun danno. Stigmatizza, inoltre, la violazione del diritto di libertà religiosa sancito dalla Costituzione e dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali e porta all’attenzione della Corte che lei era testimone di Geova da sempre e che, pertanto, anche i valori di questa religione sono stati trasmessi al figlio sin dalla nascita.

La Cassazione accoglie il ricorso della madre condividendone integralmente il contenuto. Per la Suprema corte la possibilità per il giudice di adottare provvedimenti restrittivi in caso di conflitto tra i genitori sull’educazione da impartire al figlio non può fondarsi solo sull’astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori. In questo modo, infatti, si esprimerebbe un giudizio di valore che è precluso al giudicante. Il giudice può imporre limiti o restrizioni solo se rileva concretamente delle conseguenze pregiudizievoli per il figlio in quanto dannose della sua salute psicofisica.

Questo accertamento può avvenire solo attraverso l’ascolto del bambino. E l’ascolto del bambino va considerato, infatti, imprescindibile per accertare le circostanze rilevanti che determinano quale sia il suo reale interesse e per raccogliere opinioni e bisogni sulla vicenda in cui è coinvolto.

Cassazione, ordinanza 21916 del 30 agosto 2019

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