Lavoro

La maggior rappresentatività comparata è individuata all'interno del settore di riferimento

Se dalla individuazione del settore di riferimento emerge che non si versa in un'ipotesi di "pluralità di contratti collettivi" l'indagine relativa alla verifica del requisito "soggettivo" non può aver luogo

di Simone Carrà*

Corte d'Appello di Torino 6 novembre 2022: ancora sulla maggior rappresentatività comparata ai fini dell'individuazione dell'imponibile contributivo

La sentenza della Corte d'Appello di Torino del 6 novembre 2022 si colloca nel solco della giurisprudenza che tenta di risolvere il quesito interpretativo relativo a quale sia il parametro retributivo da prendere a riferimento quale imponibile contributivo.

Il caso trae origine dalla notifica di un verbale di accertamento dell'INPS con cui gli ispettori avevano contestato all'azienda la violazione dell'art. 1, comma 1, della Legge n. 389/1989 per avere detta società applicato ai dipendenti con mansioni di promoter e merchandiser il CCNL dipendenti esercenti attività di marketing sottoscritto da CISAL ed ANPIT e non invece il CCNL Commercio Confesercenti.

Come noto l'art. 1, comma 1, D.L. 9 ottobre 1989 n. 338 conv. in L. n. 389/1989 prevede che «La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo».

Secondo gli ispettori dell'INPS, tuttavia, il contratto collettivo applicato dalla società quale parametro per la determinazione dei contributi non era idoneo ad individuare il minimale contributivo siccome sottoscritto da organizzazioni sindacali che non sarebbero state le più rappresentative su base nazionale.

All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale accoglieva il ricorso dell'INPS evidenziando come nel settore terziario le sigle comparativamente più rappresentative fossero, CGIL CISL e UIL lato organizzazioni sindacali, e Confesercenti lato organizzazione datoriale.

La società impugnava la sentenza davanti alla Corte d'Appello di Torino, lamentando che il Giudice di primo grado non avesse adeguatamente valutato se, nel caso di specie, si versasse effettivamente in ipotesi di "pluralità di contratti collettivi", posto che ai sensi dell'art. 2, comma 25, L. n. 549 del 28 dicembre 1995, «L'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria».

I termini della questione

Sono note le problematiche intorno alle quali sorge la questione interpretativa, che - non essendo limitata alla tematica dell'imponibile contributivo ai sensi dell'art. 1, comma 1, D.L. n. 338/1989 ed avendo ben più ampia portata - riguarda l'individuazione del parametro contrattualcollettivo di riferimento ai fini dell'applicazione della disciplina economico e normativa nel settore ovverosia al fine di raccogliere le deleghe (e le facoltà di deroga) devolute dalla legge alla contrattazione collettiva.

A solo titolo esemplificativo, si pensi a quanto previsto dall'art. 1, comma 1175, L. n. 296/2006 (il quale dispone che «i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale»), o ancora all'art. 7, comma 4, d.l. n. 248/2007, convertito con l. n. 31/2008 (secondo cui, in presenza di una pluralità di contratti collettivi, le società cooperative applicano ai soci lavoratori trattamenti economici complessivi «non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria»).

La questione è molto complessa e presenta molte sfaccettature, e ha da ultimo alimentato un dibattito a livello non solo giurisprudenziale, ma anche di politica del diritto e sindacale; esempi ne sono il il d.d.l. Nannicini in materia di «giusta retribuzione, salario minimo e rappresentanza sindacale» e il "Patto per la fabbrica" stipulato il 28 febbraio 2018 tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL, in entrambi i casi valorizzando il ruolo del CNEL ai fini della verifica e del monitoraggio dell'effettiva rappresentatività. Ruolo - che oggi in verità il CNEL ancora non ha (e la cui opportunità è ancora da verificare, sotto diversi profili) - promosso (seppur timidamente) anche dal legislatore, che all'art. 16-quater del D.L. 16 luglio 2020 n. 76, ha previsto l'attribuzione da parte del CNEL, in sede di acquisizione del contratto collettivo nell'archivio di cui all'articolo 17 della legge 30 dicembre 1986, n. 936, del dato relativo al contratto collettivo nazionale di lavoro mediante un codice alfanumerico unico per tutte le amministrazioni interessate.

La tematica deve poi essere affrontata sia sotto il profilo soggettivo (che è quello dell'individuazione delle sigle comparativamente più rappresentative), sia sotto il profilo oggettivo (che attiene invece alla perimetrazione del comparto entro cui verificare la rappresentatività delle sigle medesime).

La maggior rappresentatività comparata è individuata all'interno del settore di riferimento

È proprio sotto il profilo della perimetrazione del comparto entro cui verificare la rappresentatività delle sigle medesime che concentra la propria attenzione la Corte d'Appello di Torino con la sentenza in commento, sostanzialmente accogliendo le prospettazioni svolte dalla società nel proprio ricorso in appello.

Secondo la Corte d'Appello, infatti, ha errato il Tribunale a considerare l'intero settore terziario quale ambito oggettivo entro cui effettuare il confronto tra sigle comparativamente più rappresentative, in quanto il CCNL applicato dalla società mirava a regolamentare un comparto ben più circostanziato e differente rispetto al terziario, che è quello relativo al c.d. "marketing operativo", diverso, secondo la prospettazione di parte ricorrente, dal "marketing comunemente inteso poiché consiste nell'erogazione di servizi di promozione operativa di prodotti tra i quali il servizio di posizionamento dei prodotti sugli scaffali, la realizzazione e l'allestimento di strutture espositive, la realizzazione di kit promozionali".

La diversità del settore del c.d. "marketing operativo" - non contestata dall'INPS e ritenuta pertanto pacifica dalla Corte d'Appello -, letta unitariamente all'accertata inesistenza di una pluralità di contratti collettivi nel settore medesimo, conduce la Corte a dover concludere che «il preciso riferimento, per la determinazione dell'importo retribuivo ai fini previdenziali, alla retribuzione dovuta ai lavoratori del settore marketing operativo, esclude che l'obbligo contributivo dell'imprenditore debba essere parametrato in base alla retribuzione dovuta in applicazione del contratto collettivo commercio».

La sentenza costituisce un precedente da tenere in considerazione nell'ambito della giurisprudenza che interpreta la nozione di "maggior rappresentatività comparata", che viene spesso trattata solo sul versante "soggettivo" (ovverosia relativo all'individuazione della sigla comparativamente più rappresentativo), quando è altrettanto essenziale verificare il perimetro all'interno del quale la comparazione viene effettuata.

L'indagine assume una rilevanza particolare in casi, come è quello trattato dalla Corte d'Appello, in cui individuando correttamente il settore di riferimento emerge che si versa non in un'ipotesi di "pluralità di contratti collettivi", essendovi solo un contratto collettivo cui far riferimento, con la conseguenza che l'indagine relativa alla verifica del requisito "soggettivo" non potrà neppure aver luogo.

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*A cura dell'Avv. Simone Carrà, Studio Legale Littler - Partner 24 Ore Avvocati

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