La parte può chiedere davanti al sindaco l’assistenza del legale
Sono disciplinati dall'articolo 12 del Dl n. 132 del 2014, le cui disposizioni sono in vigore a partire dall'11 dicembre 2014 (cioè dal trentesimo giorno dopo l'entrata in vigore della legge di conversione).
Gli accordi di separazione e divorzio conclusi innanzi al sindaco - Anche questa disposizione ha subito rilevanti modificazioni a opera della legge di conversione n. 162, la quale, analiticamente, ha provveduto:
•da un lato, a precisare che l'ufficiale di stato civile è il sindaco e che le parti possono facoltativamente farsi assistere da un avvocato;
•dall'altro lato, a prevedere, nei soli casi di separazione personale e di divorzio, che l'ufficiale di stato civile, dopo aver ricevuto le dichiarazioni dei coniugi deve invitarli a comparire nuovamente avanti a sé non prima di 30 giorni per confermare l'accordo.
A margine della prima precisazione, in modo pienamente condivisibile, la Circolare n. 19 del 2014 pare dare per scontato come il richiamo espresso alla figura del sindaco contenuto nella disposizione debba essere inteso comunque al medesimo come «ufficiale dello stato civile», così che non risulta preclusa la possibilità di delega delle funzioni, come previsto dal comma 3 dell'articolo 1 del Dpr 3 novembre 2000 n. 396.
In relazione all'altra specificazione compiuta dalla legge di conversione, per cui è ammessa l'assistenza facoltativa di un avvocato, la Circolare in esame - in modo assai apprezzabile - stabilisce che l'ufficiale di stato civile deve darne conto nell'atto che deve redigere e, correlativamente, ciò risulta anche dalle formule introdotte dal Dm 9 dicembre 2014 e precisa che in ogni caso è indispensabile che la dichiarazione di volontà di concludere l'accordo sia resa personalmente da ciascun coniuge o ex-coniuge, considerato che in questo contesto «l'opera professionale dell'avvocato non è qualificata dalla norma in termini di rappresentanza».
La competenza - La Circolare n. 19 in commento rileva che l'articolo 12 stabilisce come competente siano alternativamente l'ufficiale dello stato civile del comune:
•vuoi presso cui è iscritto o trascritto l'atto di matrimonio;
•vuoi di residenza di uno dei coniugi o ex-coniugi.
A margine di queste precisazioni, vale osservare che, di conseguenza, lo strumento dell'articolo 12 può essere utilizzato anche da coniugi che non siano cittadini italiani o non siano residenti in Italia.
La presenza di figli minori, incapaci o portatori di handicap - L'articolo 12, come ben noto, poi, impedisce il ricorso al nuovo istituto in presenza di figli minorenni, maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.
A questo riguardo, peraltro, la circolare in esame non si limita a ribadire il contenuto della disposizione di legge, ma aggiunge la precisazione che sarebbe condizione ostativa all'applicabilità dell'articolo 12 la presenza di prole in stato di bisogno «anche di una sola parte». Ma questa soluzione indicata dal ministero dell'Interno non è assolutamente condivisibile e non può essere seguita: per il diritto civile, infatti, il matrimonio non fa sorgere in capo a un coniuge alcun rapporto con i figli che l'altro possa avere già avuto, vuoi da precedenti matrimoni, vuoi da precedenti unioni al di fuori del matrimonio.
Salvi i casi di riconoscimento o di adozione della prole dell'altro coniuge, da un punto di vista squisitamente giuridico, ciascun coniuge mantiene i rapporti di filiazione con i propri precedenti figli, senza “condividerli” con il coniuge sopravvenuto, nonostante, in via di mero fatto, ovviamente, ciascun coniuge continui a intrattenere rapporti con i propri eventuali precedenti figli e possa anche convivere (perfino stabilmente) con questi, oltre che con il coniuge sopravvenuto.
L'accertamento dell'assenza delle condizioni di legge - La circolare in esame, poi, si sofferma a fornire delle indicazioni anche per quanto riguarda le modalità di accertamento dell'assenza di condizioni ostative al ricorso allo strumento dell'articolo 12.
In particolare, viene precisato che, per consentire all'ufficiale di stato civile di raccogliere l'accordo di separazione, divorzio o modificazione delle relative condizioni, gli interessati sono tenuti a rendere una dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell'articolo 46, del Dpr 28 dicembre 2000 n. 445, che non sono genitori di figli minori, incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti.
Ulteriormente la circolare precisa che gli ufficiali di stato civile sono tenuti a disporre «gli idonei controlli ai sensi dell'articolo 71 dello stesso regolamento», cioè debbono «effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47».
Queste indicazioni suscitano qualche perplessità.
Ai sensi del citato articolo 46 del Dpr 28 dicembre 2000 n. 445, infatti, non è possibile rendere certificazioni sostitutive relativamente a qualsiasi circostanza, ma soltanto in ordine agli «stati, qualità personali e fatti» tassativamente elencati nella disposizione.
La dichiarazione «di non essere genitori di figli maggiorenni economicamente non autosufficienti» non sembra rientrare esattamente in nessuna delle tassative ipotesi di cui all'articolo 46, come dimostrato, tra l'altro, dalla circostanza che la circolare si sofferma nel tentativo di dare qualche spiegazione delle altre condizioni ostative, ma serba il più totale silenzio in ordine a questa.
Sembra che la Circolare sia stata predisposta sulle opinabili convinzioni, da un lato, che la “realtà anagrafica”, non soltanto corrisponda, ma anche esaurisca la “realtà giuridica” e, dall'altro lato, che l'ufficiale dello stato civile, in applicazione dell'articolo 12, possa e debba esaurire ogni indagine e attività nel ristretto ambito di questa “realtà anagrafica”, prescindendo dalla “realtà giuridica”.
L'impossibilità di contenere patti di trasferimento patrimoniale - Il terzo periodo del comma 3 dell'articolo 12, stabilisce che «l'accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale».
Questa limitazione, come sottolineato in sede di primo commento, non brilla per chiarezza, anzi; è una formula gravemente indeterminata, che si presta a interpretazioni più o meno estensive.
La circolare in esame ha fornito l'interpretazione assolutamente più estesa possibile, tanto da essere un'interpretazione abrogante dell'articolo 12, al quale - in via di fatto - non residua sostanzialmente alcun ambito di applicazione.
Affermando che la ratio di tale limitazione sarebbe di «escludere qualunque valutazione economica e finanziaria nella redazione dell'atto di competenza dell'ufficiale dello stato civile», la circolare n. 19 conclude che «In assenza di specifiche indicazioni normative» andrebbe «pertanto esclusa dall'accordo davanti all'ufficiale qualunque clausola avente carattere dispositivo sul piano patrimoniale, come - ad esempio - l'uso della casa coniugale, l'assegno di mantenimento, ovvero qualunque altra utilità economica tra i coniugi dichiaranti».
Né la premessa, né la conclusione possono essere condivise .Stando alla circolare e alle formule predisposte dal Dm del 9 dicembre 2014, infatti, l'accordo di separazione o divorzio non potrebbe contenere alcun patto di natura patrimoniale, ma non si comprende allora quale oggetto potrebbero avere gli eventuali successivi accordi di modificazione delle condizioni di separazione o divorzio.
In definitiva, l'espressione di legge secondo cui «l'accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale», pare correttamente dover essere intesa nel senso che non è possibile esclusivamente l'attribuzione di cespiti o di somme di denaro una tantum, ma non anche dei patti - che sono assolutamente comuni nella pratica delle separazioni e divorzio - che prevedano:
•il riconoscimento di un assegno periodico a favore di un coniuge o ex-coniuge, a carico dell'altro;
•l'assegnazione/l'attribuzione in uso (e non anche in proprietà) della casa coniugale (eventualmente già familiare) a un coniuge o ex-coniuge, ancorché in comunione o di proprietà esclusiva dell'altro coniuge o ex-coniuge;
•ovvero ancora la divisione dei beni in comunione legale.
L'ambito di applicazione che residua dalla circolare - Sicuramente il risultato ultimo realizzato dalla circolare in commento è di impedire ai privati di avvalersi di uno strumento celere ed economico per separarsi, divorziare e modificare le relative condizioni. Stando alla Circolare, infatti, lo strumento dell'articolo 12 potrebbe trovare applicazione esclusivamente nelle rarissime ipotesi in cui i coniugi siano, contemporaneamente:
1) privi di prole minore o maggiorenne incapace, affetta da handicap grave o non economicamente autosufficiente;
2) percettori di redditi di ammontare equivalente;
3) privi di beni acquistati congiuntamente.
L'assenza di queste due ultime condizioni può essere supplita, rispettivamente:
•dalla rinuncia ai diritti patrimoniali che competerebbero al coniuge o ex-coniuge in conseguenza della separazione o del divorzio;
•dalla conclusione di un separato e diverso negozio di divisione, da concludersi nelle forme dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, se si tratti di beni iscritti in pubblici registri, ai fini della trascrizione dell'atto.
Questo rilievo, peraltro, nel contempo solleva, in generale, gravi perplessità circa il rischio di potenziali usi distorti del nuovo strumento ex articolo 12, specie ove uno dei due coniugi si trovi in una posizione di debolezza o dipendenza dall'altro, di ordine culturale, sociale, psicologica e/o economica.
Il diritto di ripensamento dei coniugi - Anche per porre rimedio a possibili abusi nonché per consentire in generale agli interessati di valutare e soppesare in modo adeguatamente serio le conseguenze del proprio accordo, la legge di conversione n. 162 ha aggiunto in fondo al comma 3 dell'articolo 12, due ulteriori periodi, ai sensi dei quali, nei soli casi di separazione o di divorzio, l'ufficiale di stato civile, dopo aver ricevuto le dichiarazioni dei coniugi, deve invitarli «a comparire di fronte a sé non prima di 30 giorni dalla ricezione per la conferma dell'accordo (…) La mancata comparizione equivale a mancata conferma dell'accordo».
A questo specifico riguardo la circolare n. 19 in esame si preoccupa di precisare che, ovviamente, l'ufficiale di stato civile è tenuto:
1.a redigere l'atto contenente l'accordo immediatamente dopo aver ricevuto le dichiarazioni dei coniugi, dando conto di aver invitato le parti a comparire nella data alle stesse assegnata;
2.a svolgere i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni rese, ai sensi dell'articolo 71 citato;
3.a iscrivere sempre e comunque l'atto già redatto nei registri dello stato civile, dando conto dell'eventuale mancata conferma e senza eventualmente procedere all'annotazione.
La comunicazione dell'accordo di separazione o divorzio - La circolare in commento, da ultimo, integra il testo di legge imponendo in capo all'ufficiale di stato civile due adempimenti non espressamente stabiliti dall'articolo 12.
Innanzi tutto, in modo del tutto condivisibile, viene previsto che l'ufficiale di stato civile sia tenuto a comunicare l'iscrizione dell'atto contenente l'accordo di separazione o divorzio «alla cancelleria presso la quale sia eventualmente iscritta la causa concernente la separazione o il divorzio, ovvero a quella del giudice davanti al quale furono stabilite le condizioni di divorzio o di separazione oggetto di modifica».
Per consentire la concreta attuazione di questa indicazione il Dm 9 dicembre 2014 stabilisce nelle formule relative che i coniugi devono dichiarare espressamente anche se sono parti in un giudizio pendente concernente la separazione personale o il divorzio tra gli stessi e in caso affermativo indicando l'autorità giudiziaria adita.
L'indicazione, pienamente condivisibile, risolve (implicitamente) anche la questione circa l'ammissibilità del ricorso allo strumento di cui all'articolo 12 nella pendenza di un procedimento giurisdizionale per lo stesso oggetto. In modo assai apprezzabile e perfettamente coerente con l'espressa finalità di “degiurisdizionalizzazione” perseguita dalla riforma, infatti, la circolare chiarisce come i coniugi possano comunque sempre porre fine ai procedimenti giudiziali già instaurati attraverso la conclusione di un accordo avanti all'ufficiale dello stato civile: la comunicazione della sopravvenuta annotazione dell'accordo, infatti, impone al giudice di pronunciare la cessazione della materia del contendere del procedimento avente il medesimo oggetto.