Lavoro

La pena patteggiata per violenza di genere giustifica il licenziamento del dipendente

Il patteggiamento è comunque un’ammissione di responsabilità e può costituire elemento riprovevole che escluda la fiducia del datore nella corretta esecuzione di prestazioni in rapporto alla pubblica utenza

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di Paola Rossi

Legittimo il licenziamento disciplinare del dipendente del servizio di trasporto pubblico, con rapporti diretti con gli utenti, se ha patteggiato la pena per un reato connotato da violenza di genere. Si tratta di condotte penalmente rilevanti che se compiutamente accertate sono tali da inficiare la fiducia del datore di lavoro sulla garanzia di un’idonea e adeguata prestazione di lavoro.

La Cassazione conferma - con la sentenza n. 24140/2024 - il licenziamento disciplinare del ricorrente respingendo di fatto la tesi portata all’attenzione dei giudici di legittimità, secondo cui il patteggiamento non equivalendo a una condanna non può costituire elemento ostativo al mantenimento del posto di lavoro, attraverso l’applicazione di una più blanda sanzione disciplinare di natura conservativa del rapporto.

Nel caso concreto il datore pubblico di lavoro aveva sanzionato con immediata sospensione sine die l’autista di automezzi del trasporto pubblico, a seguito della presa d’atto che il dipendente era stato condannato per atti connotati da violenza di genere e stalking verso l’ex moglie separata. Condanna che faceva emergere come inadeguata la personalità del lavoratore a intrattenre i doverosi rapporti con gli utenti dei mezzi pubblici, connessi naturalmente allo svolgimento della propria prestazione lavorativa. Inoltre, in sede di sorveglianza al lavoratore era stato imposto anche il divieto di avvicinamento alla donna vittima dei reati sanzionati.

In primis, la Cassazione spiega che in un caso come quello all’esame non si possono ritenere applicabili i commi 4 e 5 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come ammodernato dalla legge 92/2012, per assenza di giustificato motivo al fine della conservazione del posto di lavoro.
Infatti, secondo i giudici di merito come confermato ora dalla Cassazione, il caso rientra nei punti 6 e 7 del Regio decreto 148/1931, che giustificano la destituzione di “chi, per azioni disonorevoli od immorali, ancorché non costituiscano reato o trattisi di cosa estranea al servizio si renda indegno della pubblica stima” o di “chi sia incorso in condanna penale, sia pure condizionale, per delitti, anche mancati o solo tentati, o abbia altrimenti riportata la pena della interdizione dai pubblici”.

Nell’arco temporale del rapporto di lavoro nel servizio di trasporto pubblico il ricorrente aveva patteggiato la pena per reati che, seppur commessi al di fuori del luogo della prestazione lavorativa, avevano avuto una precipua rilevanza negativa sulla fiducia che il datore può accordare a chi era stato “condannato” per stalking, minacce e molestie contro il coniuge separato. Il motivo è stato nella sostanza riconosciuto dai giudicati come giustificato ai fini della rescissione del rapporto per il licenziamento disciplinare del conducente di mezzi pubblici.

Rilevanza del patteggiamento
Sulla rilevanza “disciplinare” della sentenza di patteggiamento il ricorrente sosteneva che questa non equivale a una “condanna”. Ma la Cassazione, pur non arrivando ad affermare tale equivalenza, ha però precisato che la sentenza penale di applicazione della pena ex articolo 444 del Codice di procedura penale pur non configurando una sentenza di condanna, presuppone comunque un’ammissione di colpevolezza, sicché esonera la controparte dall’onere della prova e costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito.

In conclusione la Suprema Corte conferma la visione dei giudici di merito che il caso non rientrasse in nessuna nessuna delle infrazioni disciplinari, punite dagli articoli 41 e 42 del Regio Decreto n. 148/1931 con sanzione conservativa. E che, invece fosse riferibile al ricorrente, quella condotta penalmente sanzionata da ascrivere alle ipotesi previste dai punti 6 e 7 dell’articolo 45, integrando motivo sufficiente per l’applicazione della più grave sanzione disciplinare, stante la forte riprovazione sociale nei confronti della cosiddetta “violenza di genere” sicuramente ravvisabile in un atteggiamento persecutorio, violento e minaccioso tenuto dal lavoratore nei confronti dell’ex coniuge.

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