Penale

La perizia nell’uso dei social non esclude la circonvenzione

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 30551 depositata oggi, bocciando l’argomento del ricorrente

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di Francesco Machina Grifeo

La “frequentazione” tramite social network, e dunque la relativa perizia della persona offesa nell’uso della tecnologia, non costituisce una prova a difesa per il reato di circonvenzione di incapaci. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 30551 depositata oggi, bocciando l’argomento del ricorrente secondo cui “diversamente da quanto sarebbe stato ritenuto dalla Corte d’appello di Brescia, il fatto che egli frequentasse la persona offesa tramite il social network Facebook, lungi dal potere indurlo a ritenere che la stessa versasse in una situazione di debolezza o di isolamento, lo poteva invece indurre a reputare che la donna (ndr) «non fosse affetta da alcun problema», data la dimestichezza che ella dimostrava nell’uso del menzionato strumento tecnologico”.

Confermata dunque la decisione di secondo grado secondo cui la dazione, senza alcuna causa o giustificazione, da parte della persona offesa in favore dell’imputato, degli assegni e dei vaglia postali si collocava in un periodo, «dal maggio al giugno 2020», in cui la persona offesa si doveva ritenere senz’altro affetta da un generale decadimento cognitivo, come risultava dai ricoveri presso il reparto di psichiatria dell’ospedale di Montichiari e, dopo una settimana, presso l’ospedale “Fatebenefratelli” di Brescia.

Accertamenti dai quali era emerso un disturbo del comportamento, segnatamente, «encefalopatia vascolare, in persona affetta da severa sindrome depressiva con alterazioni comportamentali»; «atrofia celebrare con ipoafflusso vascolare cronico», con disturbo iniziale nella speditezza del giudizio; una severa sindrome depressiva, nonché una perdita della capacità di discernere il valore del denaro.

La consapevolezza dell’imputato sullo stato di decadimento cognitivo e di fragilità della persona offesa invece emergeva dalle dichiarazioni del figlio, così come dalle conversazioni telefoniche ascoltate dall’altro figlio, in cui si consigliava la vittima a “non assumere le cure che le erano state prescritte in ospedale e di diffidare dei suoi”.

La Seconda sezione penale ha infatti ribadito che ai fini della configurabilità del reato di circonvenzione di persone incapaci, di cui all’art. 643 cod. pen., sono necessarie queste condizioni: a) l’instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima e agente, in cui quest’ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete (minore età, infermità o deficienza psichica), sia incapace di opporre alcuna resistenza per l’assenza o la diminuzione della capacità critica; b) l’induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; c) l’abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l’agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine, ossia quello di procurare a sé o ad altri un profitto; d) l’oggettiva riconoscibilità della minorata capacità, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti.

 

La Corte di cassazione ha, poi, recentemente ribadito che il delitto non postula che la vittima versi in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente che sia affetta da infermità psichica o da deficienza psichica, ovvero da un’alterazione dello stato psichico che, sebbene meno grave dell’incapacità, risulti idoneo a porla in uno stato di minorata capacità intellettiva, volitiva o affettiva, che ne affievolisca le capacità critiche.

 

La Suprema corte, infine, ha anche escluso la causa di non punibilità per particolare tenuità (art. 131-bis cod. pen.) «per un duplice ordine di ragioni»: a) per essere il comportamento abituale»; b) perché l’offesa non si poteva ritenere tenue.

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