Comunitario e Internazionale

La piattaforma digitale in posizione dominante non può negare interoperabilità di app di terzi

Il caso esaminato dalla Cgue riguarda un contenzioso tra Gooogle ed Enel

di Paola Rossi

La Cgue ha chiarito che è abuso di posizione dominante il no della piattaforma digitale dedicata a ospitare app di terzi se nega l’interoperabilità senza motivare in ordine a rischi per la sicurezza. L’abuso scatta anche quando al fine di far girare le app i terzi non necessitano della piattaforma digitale dell’azienda in posizione dominante, ma attraverso di essa il servizio offerto ha la possibilità di raggiungere maggiore attrattività nei confronti del pubblico.

La Cgue con la sentenza sulla causa C-233/23 ha risposto al quesito pregiudiziale posto dal Consiglio di Stato per risolvere la controversia tra Google e l’Agcm che aveva inflitto una sanzione di oltre cento milioni di euro al colosso digitale affermando che il rifiuto di un’impresa in posizione dominante di garantire l’interoperabilità con la sua piattaforma a un’applicazione di un’altra impresa - che diverrebbe così più attraente - può essere abusivo. E precisa che tale rifiuto può essere però giustificato dall’inesistenza di un modello per la categoria delle applicazioni interessate e quando la concessione dell’interoperabilità comprometterebbe la sicurezza o l’integrità della piattaforma.

L’abuso di posizione dominante si fonda sulla circostanza che la piattaforma - pur non indispensabile per lo sfruttamento commerciale dell’applicazione - sia stata sviluppata proprio nella prospettiva di consentire il suo utilizzo da parte di imprese terze.

La legittimità o meno del rifiuto
Il rifiuto può quindi essere giustificato dall’inesistenza di un “modello”, per la categoria delle applicazioni interessate al momento della richiesta di accesso e se la concessione dell’interoperabilità rischi di compromettere la sicurezza o l’integrità
della piattaforma o quando per altre ragioni tecniche è impossibile garantire la corretta interoperabilità.
Ma al di fuori di tali casi l’impresa dominante è tenuta a sviluppare tale modello, entro un termine ragionevole necessario e, se giustificabile, avrà diritto a un corrispettivo economico adeguato a tali attività di sviluppo.

Il caso a quo italiano

La vicenda riguardava il lancio da parte di Enel dell’applicazione JuicePass, che consente ai conducenti di localizzare e prenotare stazioni di ricarica per i loro veicoli elettrici.
Per facilitare la navigazione Enel aveva chiesto a Google di rendere l’applicazione compatibile con Android Auto, sistema di Google che consente direttamente l’accesso dallo schermo a bordo delle auto alle app presenti sullo smartphone. Gli sviluppatori software di imprese terze possono adattare le loro applicazioni ad Android Auto grazie ai modelli (template) forniti da Google. Ma Google ha rifiutato di intraprendere le azioni necessarie per garantire l’interoperabilità di JuicePass con Android Auto.

L’Agcm boccia il rifiuto di Google
Al rifiuto è seguita l’ammenda inflitta al colosso digitale dall’Autorità italiana garante della concorrenza e del mercato.
Google ha impugnato tale decisione dinanzi al Consiglio di Stato a cui oggi la Cgue chiarisce che il rifiuto anche se la piattaforma non è necessaria all’utilizzo della app può scattare per l’appeal che deriva dalla sua presenza sulla piattaforma caratterizzata dalla sua enorme visibilità sul mercato digitale. L’abuso si realizza quindi anche quando l’impresa richiedente non è fuori dal mercato, ma per la sua assenza dalla piattaforma soffre di un gap anticoncorrenziale. Cioè va valutato se nei fatti il rifiuto ostacoli il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza sul mercato rilevante.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©