Penale

La responsabilità penale del sanitario in caso di violazione del consenso informato

La corretta acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, comporta differenti implicazioni in termini di responsabilità penale a seconda che l'intervento terapeutico abbia avuto esito fausto o infausto, profili che devono essere compiutamente e separatamente analizzati

di Deborah Quattrone


Il consenso informato ha acquisito negli ultimi anni una sempre maggiore attenzione, sia in seguito alle novità legislative che lo hanno compiutamente disciplinato nel nostro ordinamento, sia in relazione alle recenti pronunce in merito.

Nel campo del diritto penale inoltre tale argomento risulta essere di maggiore importanza in virtù della rilevanza che ha assunto la responsabilità medica nel panorama dottrinale e giurisprudenziale, basta infatti richiamare la notissima sentenza delle Sezioni Unite n.30328 del 2002 meglio conosciuta come "Franzese" e delle conseguenti ripercussioni in termini di causalità.

Ai fini di una completa disamina dell'argomento in oggetto, giova considerare che la tematica che involve la corretta acquisizione del consenso informato del paziente da parte del sanitario, comporta differenti implicazioni in termini di responsabilità penale a seconda che l'intervento terapeutico abbia avuto esito fausto o infausto, profili che devono essere compiutamente e separatamente analizzati.

Nozione, disciplina giuridica del consenso informato e beni protetti

Il consenso informato è uno degli obblighi del medico rientranti nell'ambito della prestazione sanitaria: egli deve infatti adeguatamente e compiutamente informare il paziente su tutto ciò che concerne il trattamento e acquisirne il consenso.

Giova da subito evidenziare come nel nostro ordinamento il consenso informato, ha trovato una specifica regolamentazione a seguito della riforma del 2017 sulla responsabilità sanitaria, sia con l'introduzione della legge n.24 del 2017 "Gelli-Bianco" che ha sostituito la precedente legge Balduzzi, sia con la Legge n. 219 del 2017 con specifico riguardo al consenso informato, rubricata "Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento" (DAT).

Prima della DAT il consenso informato trovava e trova ancora ad oggi comunque riconoscimento a livello costituzionale negli artt. 2, 13 e 32 Cost., a livello ordinario nell'art. 33 della L. 124/1978 che tutela la maternità e l'interruzione volontaria di gravidanza, a livello convenzionale dall'art. 3 Cedu, ed infine in ambito sovranazionale dall'art. 5 della Convenzione di Oviedo.

Il diritto al consenso informato del paziente è stato quindi, inizialmente frutto di un percorso di elaborazione giurisprudenziale complesso, al pari di quello che ha investito più in generale la responsabilità medica prima della Legge Balduzzi, quando non vi era una specifica normativa in merito.

L'acquisizione di un valido consenso informato infatti incide su una materia, la responsabilità sanitaria dove entrano in campo notevoli beni di rilevanza costituzionale sia in campo civile che penale: da una parte, il bene supremo della salute e sul principio di autodeterminazione al di cui all'art. 32 Cost., dall'altro, la necessità che il medico possa svolgere il proprio lavoro con la giusta libertà e professionalità al fine di scongiurare il c.d. ricorso alla medicina difensiva.

Effettuate le dovute premesse contenutistiche e normative, è possibile introdurre il regime della responsabilità penale nel caso in cui l'intervento terapeutico sia stato effettuato senza un valido consenso informato.

Il regime penale della responsabilità sanitaria in caso di violazione del consenso informato

Per quanto concerne il regime della responsabilità penale del sanitario in caso di omesso o inadeguato consenso informato, prima di operare la distinzione fra esito fausto e infausto, è utile evidenziare che si sono poste delle problematiche in ordine alla natura giuridica del consenso informato.

La natura giuridica del consenso informato

Avuto riguardo alla natura giuridica sono state avanzate due diverse ipotesi:

• Il consenso infatti può essere inteso sia come causa di giustificazione, come nel caso della scriminante del consenso dell'avente diritto di cui all'art. 50 c.p.;
• sia come elemento costitutivo del fatto tipico, positivo ad esempio in merito all'omicidio del consenziente art. 579 c.p., o negativo come nel caso dell'art. 613 c.p. ovvero dello stato di incapacità procurato mediante violenza.

Le ripercussioni in termini applicativi non sono di poco conto con riguardo alla formula assolutoria infatti, nel caso in cui il consenso informato sia riconducibile a causa di giustificazione allora verrà pronunciata la formula "Perché il fatto non costituisce reato", al contrario se considerato come elemento costitutivo la formula assolutoria sarà piena in quanto la formula sarà "Perché il fatto non sussiste".

La prima formula assolutoria infatti è meno favorevole rispetto alla seconda, in quanto in tal caso il fatto è avvenuto ed è stato inoltre commesso dell'imputato, ma è ritenuta esistente una causa di giustificazione che lo "scrimini"; nel secondo caso invece l'assoluzione è piena in quanto viene meno il presupposto che sia avvenuto il reato e fa sì che alla persona sottoposta a procedimento non si applichi nessuna pena.

La violazione del consenso informato nel caso di intervento fausto

Analizzate le suesposte criticità, giova adesso soffermarsi in ordine alle considerazioni riguardanti la responsabilità penale del sanitario, in caso di omesso o invalido consenso informato a seguito di un intervento fausto ovvero con esito favorevole.

In tal caso la giurisprudenza ha elaborato soluzioni dottrinali diverse:

• secondo un primo orientamento ormai risalente, il sanitario sarebbe comunque responsabile penalmente per lesioni personali ex art. 582 c.p.
A tal riguardo si afferma che non rileva l'esito fausto dell'intervento, ma solo l'alterazione anatomica dell'organismo, e quindi l'intervento terapeutico ex se effettuato senza le dovute informazioni. Secondo tale orientamento, il consenso informato deve essere considerato come una causa di giustificazione, ed opererebbe quindi l'art. 50 c.p. ovvero la scriminante del consenso dell'avente diritto. Si obietta in tal senso che però l'art. 50 c.p. ha ad oggetto solo diritti disponibili e non quindi la vita o l'integrità psico-fisica.

• Pertanto altra corrente riconduce il consenso informato alla causa di giustificazione ex art. 51 c.p. ovvero quale esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. Anche in tal caso si obietta che se il consenso informato fosse una scriminante allora dovrebbe operare anche nel caso in cui il medico sia responsabile "giustificando" la punibilità ma così non avviene.
•Infine altra tesi lo riconduce allo stato di necessità ex art. 54 c.p. in quanto l'attività del medico è volta a salvare il paziente da una malattia, ma a questo orientamento si obietta che non vi è alcun costringimento fisico contemplato dalla norma de qua. In tal caso il consenso informato infatti, serve ad escludere la volontaria causazione del pericolo da parte del medico, addossandola così al paziente.

• La teoria più recente e maggioritaria, afferma invece che in caso di esito fausto il medico non risponde per l'omesso o l'invalido consenso informato in quanto non è ravvisabile sul piano della tipicità una responsabilità penale. Si adduce in tal senso che ciò che la nozione di malattia del paziente ex art. 582 c.p. deve essere considerata come intesa dalle Sezioni Unite n. 2437 del 2008, ovvero non come mero mutamento anatomico dell'organismo, ma come mutamento anatomico-funzionale cioè come stato peggiorativo del paziente.

La violazione del consenso informato nel caso di intervento infausto

Anche per quanto concerne la responsabilità del sanitario nel caso di omesso o invalido consenso informato, quando l'intervento terapeutico sia stato infausto, ovvero abbia causato lesioni finanche la morte del paziente, diverse sono state le teorie avanzate della giurisprudenza di legittimità.

Occorre però evidenziare che tali ipotesi non presuppongono la responsabilità penale del medico ex art. 589 e 590 c.p. nel caso di esito infausto come conseguenza della condotta del sanitario, diversamente opererebbe l'art. 586 c.p.

In particolare sono quattro gli orientamenti che si sono susseguiti nel tempo in ordine al tema oggetto di interesse:

• Prima fra tutte occorre menzionare la sentenza n.5639 del 1992 delle Sezioni Unite "Massimo", che riconduce il consenso informato quale elemento del fatto tipico e che considera il medico, nel caso di violazione delle dovute informazioni e di esito infausto dell'intervento, responsabile per lesioni personali ex art. 589 c.p. e nel caso di omicidio, per omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p. Secondo tale ricostruzione è sufficiente anche il solo dolo eventuale, non è necessario che il medico abbia voluto causare le lesioni o la morte del paziente.

• A tale orientamento si contrappone quello delle Sezioni Unite "Baresi" n.28132 del 2001, che pur riconducendo sempre il consenso informato quale elemento del fatto tipico ex art 582 c.p., obiettano che il medico non può rispondere per omicidio preterintenzionale, in quanto l'art. 584 presuppone "atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto", pertanto incompatibili con il dolo eventuale. Può però essere contestato al sanitario il delitto di violenza privata ex art 610 c.p., con conseguente responsabilità del sanitario anche nel caso di morte del paziente ai sensi dell'art .586 c.p.

• Dopo pochissimo tempo, nel 2002 sono intervenute le Sezioni Unite "Volterrani" n.26446 che al contrario delle precedenti ricostruzioni affermano che il medico non è responsabile penalmente nel caso di sola mancanza o invalidità del consenso informato, in quanto opererebbe nei confronti del medico uno "stato di necessità istituzionalizzato".

• Da ultimo la Cassazione con la sentenza n. 2437del 2009 seguita dalle più recenti e maggiormente seguite pronunce di legittimità, ribadisce la non responsabilità penale del sanitario nel caso di omesso o inadeguato consenso informato, considerando quest'ultimo come elemento del fatto tipico e non come causa scriminante. Al più si afferma, il medico sarebbe responsabile solo nel caso di espresso rifiuto dell'intervento terapeutico a titolo di violenza privata ex art. 610 c.p.

Per concludere per quanto concerne la responsabilità penale del sanitario secondo le più recenti pronunce di legittimità, il medico non è responsabile penalmente nel caso di omesso o invalido consenso informato, né a seguito dell'intervento terapeutico fausto né infausto, a meno che il paziente non abbia espressamente rifiutato il consenso, in tal caso sarebbe imputabile per violenza privata ex art. 610 c.p.

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