La responsabilità solidale nella logistica integrata, gli ultimi interventi normativi
Con la recente riformulazione dell'art. 1677-bis c.c., operata dal D.L. n. 36/22, è stato introdotto specifico riferimento ai servizi "di logistica", ai quali si applicherebbero – "in quanto compatibili" – le previsioni regolanti il c.d. "contratto di trasporto", ivi incluse quelle in materia di responsabilità solidale tra committenti e appaltatori / subappaltatori
Si sta rivelando interessante il dibattito relativo ad una recente riformulazione dell'art. 1677-bis c.c. , operata dal D.L. n. 36/22 (convertito, con modificazioni, dalla L. 29/6/22, n. 79), potenzialmente in grado di impattare fortemente su un settore – quello della logistica – che, negli ultimi anni, ha registrato una crescita importante di interventi ispettivi, suscitando un crescente interesse da parte degli addetti ai lavori, anche in ragione degli investimenti che il settore dovrà sostenere nei prossimi anni.
L'art. 1677-bis citato, recitava, prima della recente rivisitazione: "Se l'appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di più servizi relativi alle attività di ricezione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili". Ora, l'art. 37 bis del D.L. citato, ha previsto che "L'articolo 1677-bis del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 1677-bis. - (Prestazione di più servizi riguardanti il trasferimento di cose) - Se l'appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili".
La sostanziale modifica risiede nell'introduzione, all'interno della norma citata, dello specifico riferimento ai servizi "di logistica", ai quali si applicherebbero – "in quanto compatibili" – le previsioni regolanti il c.d. "contratto di trasporto", ivi incluse quelle (quasi assenti) in materia di responsabilità solidale tra committenti e appaltatori / subappaltatori.
Il c.d. "contratto di trasporto", in realtà, non sfugge tout court al regime di responsabilità solidale che generalmente lega, nella gestione degli appalti di servizi, i committenti e gli appaltatori / subappaltatori: in materia, infatti, si applica l'art. 83 bis, commi 4 e 4bis, D.L. n. 112/08 (convertito in L. n. 133/08), che prevede che "Al fine di garantire l'affidamento del trasporto a vettori in regola con l'adempimento degli obblighi retributivi, previdenziali e assicurativi, il committente è tenuto a verificare preliminarmente alla stipulazione del contratto tale regolarità mediante acquisizione del documento di cui al comma 4-sexies (il c.d. D.U.R.C.)" e "Il committente che non esegue la verifica di cui al comma 4-bis ovvero di cui al comma 4-quater è obbligato in solido con il vettore, nonché' con ciascuno degli eventuali sub-vettori, entro il limite di un anno dalla cessazione del contratto di trasporto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, nonché' i contributi previdenziali e i premi assicurativi agli enti competenti, dovuti limitatamente alle prestazioni ricevute nel corso della durata del contratto di trasporto".
Ma è chiaro come, fermo quanto sopra, la disciplina dei c.d. "contratti di trasporto" preveda un regime di tutela assai meno efficace (e tutelante per i lavoratori impiegati nell'ambito degli appalti / subappalti) rispetto a quella prevista dall'art. 29 D. Lgs. 276/2003 (c.d. "Legge Biagi") applicabile ai contratti di appalto di servizi: in tal senso, l'intervento normativo di cui trattasi può sostanzialmente minare il regime di responsabilità solidale di cui all'art. 29 citato, nell'ambito, appunto, dei contratti di appalto regolanti i servizi di logistica, ma nel far ciò ha forse omesso di soffermarsi sul concreto svolgimento e concetto di "contratto di trasporto" rispetto al più ampio contratto di appalto di servizi (nel cui ambito rientra il contratto di servizi di logistica).
Distinzione, questa, che è stata invero, negli anni, oggetto di dibattitto tecnico, proprio in considerazione dell'importanza legata alla corretta identificazione della fattispecie (in virtù delle conseguenze, tra le altre, derivanti dai regimi di responsabilità solidale applicabili), al di là del nomen iuris contrattualmente utilizzato dalle parti: sul punto, in particolare, basti ricordare come il Ministero del Lavoro, con circolare n. 17/2012 , ha stabilito che "solo laddove il vettore compia esclusivamente le operazioni tipiche del trasporto ed eventualmente quelle meramente strumentali alla sua esecuzione, quali la custodia, deposito, carico e scarico delle merci, non sarà di norma applicabile il regime di responsabilità solidale ex art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/03".
Senza pretesa di esaustività, poi, la stessa giurisprudenza ha più volte avuto modo di analizzare la questione, arrivando in particolare ad affermare che "al fine di garantire una maggiore omogeneità nella disciplina dell'intera fattispecie" si debba privilegiare la disciplina del tipo contrattuale prevalente, "ossia maggiormente caratterizzante il rapporto", ovvero maggiormente rispondente al risultato unitario dedotto nel contratto, e che pertanto, in questi casi, "si dovranno applicare le disposizioni che regolano il contratto di appalto" (cfr. Trib. Torino, n. 3442/05 , 23/5/05); che il criterio discretivo tra il contratto di appalto ed il contratto di trasporto sia l'assunzione o meno di un insieme di obbligazioni contrattuali non rinvenibili e non riconducibili alla sola disciplina del trasporto, quali "le obbligazioni derivanti dalla gestione per conto del committente di un'attività imprenditoriale complessa da organizzarsi in maniera stabile sulla base dell'esigenza manifestata dallo stesso committente, tale per cui la prestazione dedotta in contratto vada ben oltre il solo trasferimento delle cose da un luogo ad un altro" (cfr. Trib. Venezia, n. 218/11 ; Trib. Milano, 16/11/05 ; Cass. n. 11430/92 e Cass. n. 5397/79 ); che la circostanza che il vettore non si sia obbligato per l'adempimento di significative prestazioni accessorie rispetto all'attività di trasporto, non sia di per sé sufficiente ad escludere la configurabilità di un contratto di appalto di servizi, laddove sussistano la predeterminazione sistematica dei servizi di trasporto, la pattuizione di un corrispettivo unitario e la predisposizione di un'organizzazione di mezzi propri, finalizzato al raggiungimento di un risultato complessivo rispondente alle esigenze del committente (cfr. Cass. n. 14670/15 ); e che i servizi continuativi di trasporto sono oggetto di un contratto di appalto, che è diverso dal singolo contratto di trasporto, e in tal caso si applica la responsabilità solidale ex art. 29 d.lgs. 276/2003 (la sentenza della C. App. di Brescia del 14/12/17, nel modificare sul punto la decisione di primo grado, ha chiarito che, per la qualificazione come contratto di appalto e non di trasporto (e conseguente sussistenza della responsabilità solidale ai sensi della disciplina generale di cui all'art. 29 della "Legge Biagi") non è determinante tanto la presenza di prestazioni accessorie, quanto il fatto che oggetto dell'accordo siano non uno o più trasporti, ma un servizio continuativo e unitario di cui il singolo trasporto costituisse una delle componenti).
Non è, quindi, difficile concludere come il tema connesso alla corretta qualificazione del contratto ("di trasporto" o di "appalto di servizi") sia tutt'altro che scontato, tanto da meritare un approfondimento che non può per certo trovare soddisfazione completa nel testo letterale di una norma che potrebbe anche apparire più una "concessione" politica che una previsione volta alla corretta definizione di un fenomeno invero piuttosto complesso, come quello degli appalti di servizi (di logistica).
Vero è, infatti, che il contratto sottoscritto per la gestione dei servizi di logistica si accompagna spesso e volentieri allo svolgimento di attività di mero trasporto, ma l'unificazione delle due fattispecie prima facie operata dal legislatore potrebbe comportare un intervento a detrimento dei lavoratori impiegati nel settore che, al netto delle posizioni sindacali, dovrebbe trovare una giustificazione anche "costituzionale".
D'altro canto, fermi i dubbi interpretativi che i tecnici si occuperanno di sciogliere, non si può fare a meno di rilevare come sia difficilmente ipotizzabile un'esclusione tout court del regime di responsabilità solidale anche nelle ipotesi di contratti di appalto di logistica integrata. Questo, anzitutto, considerata l'importanza che la norma (di cui all'art. 29 citato, relativo alla responsabilità solidale) riveste all'interno del panorama giuslavoristico legato al mondo degli appalti; ma, soprattutto, proprio per il tenore letterale del testo di cui all'art. 1677-bis c.c. che, nonostante l'inserimento del riferimento al settore della logistica, sembra poi voler precisare che "le norme relative al contratto di trasporto" si applichino "alle (sole) attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro" e, in ogni caso, "in quanto (se) compatibili", di fatto propendendo – almeno ad avviso degli scriventi – per limitare l'applicazione del regime relativo ai c.d. "contratti di trasporto" alle sole fattispecie effettivamente inquadrabili come tali.
Alla luce di quanto sopra, è lecito attendersi, nelle prossime settimane, un intervento chiarificatore da parte delle autorità. In questo senso, come si evince da una nota congiunta di CGIL, CISL e UIL, "il Ministero del Lavoro, si è impegnato ad emettere una precisazione che ribadisca il mantenimento, nell'ambito degli appalti di logistica, della validità dall'art. 29, comma 2 del Dlgs 276/2003 (c.d. Legge Biagi) . Tale intervento, a giudizio del Governo, dovrebbe essere sufficiente a dissipare ogni dubbio relativamente alla messa in discussione di questa importante garanzia a tutela dei lavoratori".
Si consenta una riflessione finale.
Da un lato, rimane indubbio come, a prescindere dall'interpretazione della norma così rivisitata, la sua riformulazione (nei termini anzidetti) costituisca un importante e dirompente intervento, che per certo avrà quantomeno l'effetto di obbligare il Giudice italiano ad un importante sforzo riguardo la sua corretta applicazione e che, altrettanto certamente, darà inizio a dibattiti interessanti.
Dall'altro, non si può fare a meno di rilevare come il recente intervento normativo abbia ancora una volta, se non altro, posto l'accento sulla sentita necessità - o quantomeno sull'opportunità - di intervenire sulla fattispecie giuridica dell'appalto, affinché rimanga un valido strumento contrattuale, che non deve andare a discapito della parte committente, pur non dovendo permettere forme di "dumping sociale".
Le aziende costantemente ricorrono ai contratti di appalto per la gestione di processi di business non core che, non essendo interessate a gestire direttamente, decidono di esternalizzare finendo, però, in sostanza, per rimanere sempre le ultime responsabili delle inadempienze imputabili in primis agli appaltatori/subappaltatori.
Sono considerazioni rilevanti e sistemiche sia perché ormai il Committente rischia di trovarsi coinvolto nella fattispecie delittuosa ex art. 603 bis c.p., anche quando il potenziale sfruttamento – da non escludere quando si parla di outsourcing – interessa la forza lavoro dei suoi fornitori, sia perché rischia di non ricevere le necessarie certificazioni in materia di sostenibilità, allorquando dovessero emergere irregolarità di filiera, di cui rimane oggettivamente responsabile, senza poter influire realmente sulla loro eliminazione. Considerazioni che non possono prescindere dalla tutela costituzionale dei lavoratori, di tutti i lavoratori e non solo quelli di un determinato settore.