Lavoro

“Vai a casa”: licenziamento orale o assenza ingiustificata?

Nota a Tribunale di Agrigento, Sez. L Civile, Sentenza 3 luglio 2025, n. 1060

di Simone Carrà, Sabrina Sambati*

Fa parlare di sé il caso scrutinato, con la decisione n. 1060 del 3 luglio 2025, dal Tribunale di Agrigento, chiamato a decidere della portata sulle sorti del rapporto di lavoro di un ambiguo invito a lasciare il luogo di lavoro rivolto ad un lavoratore.

Come ricostruito, la vicenda prende le mosse da un acceso diverbio tra colleghi, nel corso del quale è accaduto che un lavoratore, a fronte dell’affermazione “basta vai a casa”, avesse inteso di essere stato licenziato oralmente, e, quindi, non si fosse presentato al lavoro nei giorni successivi, innescando la reazione del datore di lavoro che, dapprima, l’aveva multato, poi, in ragione del perdurare dell’assenza ingiustificata, l’aveva licenziato per giusta causa.

Il lavoratore aveva agito perché fosse accertata e dichiarata l’illegittimità tanto del licenziamento orale, quanto del successivo licenziamento comunicatogli.

Ebbene, il Giudice ha escluso anzitutto che l’invito ad allontanarsi potesse integrare di per sé solo un atto di recesso, valorizzando tra l’altro che l’invito non proveniva dal datore di lavoro, ma dal manager di turno.

E tanto sulla scorta degli arresti di legittimità per cui, deducendo di essere stato licenziato oralmente, fosse sì onere del lavoratore la prova dell’estromissione dal rapporto, non potendo, però, la stessa esaurirsi in una mera constatazione della cessazione di fatto dell’attuazione del rapporto e dovendo, invece, consistere nella dimostrazione di una specifica volontà datoriale, anche se realizzata con comportamenti concludenti.

Come osservato anche in Cass. n. 31501/2018, la prova del licenziamento non può basarsi su una ricostruzione soggettiva della conversazione o su una deduzione implicita, ma richiede evidenze oggettive; secondo tale pronuncia, il giudice di merito, a fronte di contrapposte tesi circa la causa di cessazione del rapporto, è tenuto «ad indagare, sulla base delle evidenze istruttorie, il comportamento tenuto dalle parti da cui sia desumibile l’intento consapevole di voler porre fine al rapporto; e tale indagine - avente ad oggetto le contrapposte tesi circa la causa di cessazione del rapporto in assenza di atti formali di licenziamento o di dimissioni - deve essere particolarmente accurata, tenendo conto della circostanza che l’estromissione dal rapporto non può ricondursi tout court alla constatazione della cessazione di fatto dell’attuazione del rapporto, giacchè si introdurrebbe in tal modo, in assenza di una specifica previsione di legge, una sorta di esonero del lavoratore dall’onere della prova riguardo alla effettiva esistenza di un licenziamento».

Indossate queste “lenti”, il Giudice ha, quindi, ritenuto che parte ricorrente non avesse fornito la prova del fatto che l’interruzione del rapporto era da attribuire alla volontà datoriale. Dirimente, tra l’altro, la circostanza che il datore di lavoro nei giorni successivi avesse irrogato una multa per i toni usati, segno evidente, prosegue il Giudicante, che il rapporto era ancora in essere.

Escluso il licenziamento orale, il Tribunale procedeva vagliando la domanda del ricorrente volta a dichiarare illegittimo il licenziamento irrogato per assenza ingiustificata, rigettandola, sulla scorta dell’accertamento del ritardo con cui il lavoratore aveva fornito le proprie giustificazioni e presentato l’offerta di prestazione lavorativa.

Insomma, lungi dal vedere nell’imperativo rivolto al lavoratore il perno della decisione datoriale, la vicenda, a ben vedere, si assesta su una attenta valutazione del complessivo contegno tenuto dalle parti del rapporto di lavoro.

Cosicché, se da una parte, è riconosciuto che, dai fatti, si potesse desumere un disallineamento circa la portata dell’intimazione “basta vai a casa”, interpretata in maniera differente dai due interlocutori, dall’altro, a spostare l’ago della bilancia è l’interazione di questi.

Eloquente, in tal senso, il passaggio in cui il Tribunale giudica l’assenza ingiustificata sulla scorta del presupposto che – pur ritenendo, come in effetti ritiene, che alla base di quanto accaduto vi fosse un’incomprensione – a fronte dell’irrogazione della multa, evidenza, come anzidetto, del fatto che il datore di lavoro riteneva il rapporto ancora in essere, il ricorrente fosse, senz’altro, tenuto a ripresentarsi in servizio. In altri termini, una volta chiarita – con la comminazione della multa – la volontà datoriale di proseguire il rapporto, gravava sul lavoratore l’onere di riprendere servizio: omissione che, a quel punto, ha giustificato il recesso per assenza ingiustificata (per la verità intimato all’esito di un procedimento disciplinare avviato il giorno stesso in cui era stato comminato il primo provvedimento conservativo).

Rilevando, viepiù, come pure sostiene il Giudice, che differente sarebbe stato il caso in cui il ricorrente, all’indomani del diverbio, fosse stato messo alla porta nuovamente.

Vero è che pur avendo escluso che l’ordine “vai a casa” configurasse un licenziamento orale, il Tribunale non si sofferma su un profilo problematico: la scelta datoriale di procedere direttamente alla contestazione disciplinare senza un previo invito al rientro in servizio (in seguito ad un controverso invito ad “andare a casa”) solleva dubbi circa il rispetto del canone di buona fede nell’esecuzione del rapporto, con la conseguenza che il datore avrebbe forse potuto valutare la costituzione in mora del lavoratore, che pure risultava assente, preventivamente all’avvio del procedimento disciplinare sfociato poi nel provvedimento espulsivo.

_______

*Simone Carrà (Managing Partner) e Sabrina Sambati (Partner), BCA Legal

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©