La ricchezza occultata violando la legge costituisce evasione e non rientra nell'abuso di diritto
Evasione fiscale - Contestazione sanzioni - stipulazione di un negozio - Omesso versamento delle imposte - Non costituisce abuso del diritto
Il contribuente che non versa le imposte dovute a seguito della stipulazione di un negozio, correttamente qualificato sotto il profilo giuridico da parte dell'Amministrazione finanziaria, non pone in essere un, comportamento elusivo, volto a conseguire un vantaggio fiscale in ragione di un uso distorto della normativa tributaria, ma risponde semplicemente della relativa evasione d'imposta e, pertanto, non trovano applicazione le disposizioni di legge e i principi elaborati dalla giurisprudenza, interna e unionale, in tema di abuso del diritto”.
• Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 30 ottobre 2018 n. 27550
Tributi erariali diretti – Accertamento delle imposte sui redditi (tributi posteriori alla riforma del 1972) - In genere - Elusione fiscale - Abuso del diritto - Operazioni o atti volti esclusivamente al conseguimento di un vantaggio fiscale - Conseguenze - Imputazione in conto economico di minusvalenze - Configurabilità - Fattispecie relativa a benefici fiscali ottenuti con l'applicazione del metodo LIFO
In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il cui fondamento si rinviene nell'art. 37 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che consente all'Amministrazione finanziaria di disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti, in sé privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti, sicché è legittimo l'atto impositivo emesso a seguito dell'imputazione in conto economico di una minusvalenza finalizzata al solo conseguimento di benefici fiscali non altrimenti fruibili. (Nella specie, il beneficio economico derivava dall'applicazione del metodo LIFO alla cessione di un pacchetto di azioni che la società controllata si era impegnata ad effettuare alla controllante e che, a propria volta, aveva acquistato dopo aver ricollocato le azioni prima acquisite dal circolante alle immobilizzazioni).
• Corte di Cassazione, sezionetributaria, sentenza 6 marzo 2015 n. 4561
Tributi (in generale) - In genere - Elusione fiscale - Condizioni - Limiti - Compresenza di ragioni extrafiscali rispondenti ad esigenze di natura organizzativa - Carattere abusivo dell'operazione - Esclusione - Fattispecie in tema di acquisizione di partecipazione societaria
In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici; ne consegue che il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto inadeguatamente motivata l'esclusione delle valide ragioni economiche dell'acquisto, da parte della contribuente, delle azioni di una società estera, benché rientrante in più ampio progetto di riorganizzazione strutturale e funzionale di un gruppo societario di cui la prima era “capogruppo”).
• Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 26 febbraio 2014 n. 4604
Tributi erariali diretti - Imposta sul reddito delle persone giuridiche (I.r.p.e.g.) (tributi posteriori alla riforma del 1972) - In genere - Elusione fiscale - Nozione - Abuso del diritto - Configurabilità - Condizioni - Clausola generale antielusiva - Applicabilità - Fondamento - Contrasto con la riserva di legge - Esclusione - Conseguenze - Inopponibilità dell'operazione all'amministrazione finanziaria - Limiti
In materia tributaria, esiste un generale principio antielusivo - la cui fonte, in tema di tributi non armonizzati (quali le imposte dirette), va rinvenuta negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano - secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio non contrasta con il canone di riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali; e comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione.
• Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 19 febbraio 2014 n. 3938
Tributi – imposte e tasse (in genere) – vantaggio fiscale – norme tributarie – redditi – elusioni – schema negoziale – contribuente – risultato fiscale – accertamento – risparmio di imposta
La mera astratta configurabilità di un “vantaggio fiscale”, realizzato in elusione delle norme tributarie sui redditi (e dunque un vantaggio fiscale “indebito”), non e' evidentemente sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, essendo richiesta anche la concomitante condizione della inesistenza di non marginali ragioni economiche diverse dal “risparmio d'imposta” (ossia il cd. “scopo esclusivo” -o, quanto meno, prevalente- di conseguire un vantaggio fiscale) e quindi l'accertamento del carattere recessivo della volontà diretta alla produzione degli effetti giuridici conformi alla causa astratta ovvero concreta (con riferimento al tipo normativo ovvero al negozio atipico misto od innominato riconosciuto meritevole di tutela giuridica ex articolo 1322 c.c., comma 2) dello schema negoziale utilizzato dalle parti, rispetto alla effettiva volontà del contraente-contribuente di conseguire, appunto in via assolutamente prevalente, il risultato fiscale “ulteriore” (in quanto mera conseguenza e non effetto diretto del negozio), accertamento che deve essere compiuto avendo come riferimento non il mero elemento soggettivo, e dunque non la mera intenzione del soggetto di conseguire un risparmio d'imposta, ma l'elemento oggettivo della condotta negoziale, dovendo trovare necessario riscontro lo scopo del risparmio d'imposta, in elementi circostanziali quali, ad esempio, l'impiego “improprio” o “distorto” dello strumento negoziale, ovvero la “anormalità” della complessiva operazione in quanto non rispondente alle normali logiche che regolano le scelte economiche e lo svolgimento dell'attività d'impresa.
• Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 5 gennaio 2014 n. 25758
Tributi – Imposte e tasse (in genere) – Avviso di accertamento tributario – Motivazione – Giudice tributario – Contribuente – Decisione – Corte di cassazione – Revisione critica – Errori di diritto – Errore di fatto – Art. 360 comma 1 n. 5
In tema di avviso di accertamento tributario, lo stabilire se, in concreto, la sua motivazione risponda o no ai requisiti di validità - che, in generale, possono riferirsi anche ad elementi extratestuali che il contribuente sia in grado di conoscere – è compito del giudice tributario e non è dato al contribuente, se la decisione è motivata, sollecitare alla Corte di cassazione una revisione critica, salvo che non vengano enunciati ed evidenziati, nel ricorso, specifici errori di diritto in cui il giudice di merito sia incorso), quanto piuttosto l'”errore di fatto” asseritamente commesso dai Giudici di appello nella rilevazione e valutazione delle risultanze istruttorie, da sindacare in relazione al diverso parametro dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
• Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 5 febbraio 2014 n. 25758