Civile

La riforma spinge sulla mediazione: spazio a giudici e presenza delle parti

Dopo l’approvazione della riforma del processo civile, ai decreti attuativi il compito di stabilire le norme per favorire l’effettivo confronto

Marco Marinaro

Far crescere il numero delle procedure di mediazione e renderle più effettive. Sono i capisaldi di una delle linee di intervento decise dalla riforma del processo civile e degli strumenti di risoluzione alternativi delle liti, che ha l’obiettivo dichiarato di ridurre la durata dei processi concordata in sede europea entro i cinque anni del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Tuttavia, i princìpi contenuti nella riforma sono orientati non soltanto all’efficienza e, quindi, alla riduzione dei tempi processuali, ma anche alla realizzazione di un sistema integrato tra giurisdizione e strumenti consensuali, in una logica non meramente deflattiva.

La legge delega di riforma è stata approvata in via definitiva nei giorni scorsi dall’Aula della Camera. Ora si apre la fase dell’attuazione, affidata ai decreti legislativi che il Governo dovrà mettere a punto entro un anno.

Un compito impegnativo, anche perché, se su alcuni aspetti le indicazioni della delega sono puntuali, su altri si limita a fornire i principi generali che dovranno essere concretizzati dai decreti delegati.

Partecipazione personale

Tra i punti della delega che restano più “aperti”, limitandosi a indicare le finalità, si segnala la previsione di riordinare le disposizioni relative alla procedura di mediazione «nel senso di favorire la partecipazione personale delle parti, nonché l’effettivo confronto sulle questioni controverse, regolando le conseguenze della mancata partecipazione».

In parallelo, i decreti delegati dovranno «prevedere la possibilità per le parti del procedimento di mediazione di delegare, in presenza di giustificati motivi, un proprio rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la soluzione della controversia e prevedere che le persone giuridiche e gli enti partecipano al procedimento di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la soluzione della controversia».

Invero, i principi e i criteri adottati si collocano nel solco delle indicazioni date dalla Cassazione con la sentenza 8473/2019 che, nel valorizzare l’importanza della partecipazione personale delle parti in mediazione (principio già desumibile dalla normativa vigente), ha rilevato un vuoto legislativo rispetto alla tesi interpretativa, espressa in giurisprudenza, circa i limiti all’utilizzo della rappresentanza.

La revisione dovrà essere orientata a rendere «effettivo» il «confronto sulle questioni controverse»: una scelta chiara, fatta per risolvere le criticità interpretative emerse in questi anni creando incertezze che hanno depotenziato la mediazione.

L’ordine del giudice

La riforma interviene anche con l’obiettivo di valorizzare e incentivare la mediazione demandata dal giudice: si tratta del caso in cui il magistrato, durante il procedimento, valuta la possibilità di risolvere la lite in mediazione e ordina quindi alle parti di avviare la procedura. Ma dai dati statistici elaborati dal ministero della Giustizia emerge un utilizzo estremamente ridotto della mediazione nel corso del processo e che invece può costituire uno snodo risolutivo fondamentale.

Per rafforzare la mediazione demandata, la riforma punta intanto su «un regime di collaborazione necessaria fra gli uffici giudiziari, le università, nel rispetto della loro autonomia, l’avvocatura, gli organismi di mediazione, gli enti e le associazioni professionali e di categoria sul territorio, che consegua stabilmente la formazione degli operatori, il monitoraggio delle esperienze e la tracciabilità dei provvedimenti giudiziali che demandano le parti alla mediazione». Le esperienze maturate, soprattutto a partire dai progetti presso il Tribunale di Firenze, costituiranno le best practice di riferimento.

Inoltre, si prevede «l’istituzione di percorsi di formazione in mediazione per i magistrati e la valorizzazione di detta formazione e dei contenziosi definiti a seguito di mediazione o comunque mediante accordi conciliativi, al fine della valutazione della carriera dei magistrati stessi».

Quindi, l’impegno del giudice per la mediazione entrerà nelle valutazioni per gli avanzamenti di carriera. Il come, saranno i provvedimenti attuativi a stabilirlo.

Le altre novità

La riforma del processo civile scommette sugli incentivi fiscali per spingere il ricorso alla mediazione. Si prevede, tra l’altro, di intervenire sul credito d’imposta sull’indennità dei mediatori (già esistente ma mai attuato) e di introdurre nuovi crediti d’imposta sul compenso dell’avvocato che assiste la parte in mediazione e sul contributo unificato versato dalle parti nel giudizio estinto per la conclusione dell’accordo di mediazione. Si prevede inoltre di estendere il patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita.

Inoltre, la riforma prevede di estendere il ricorso obbligatorio alla mediazione, prima di avviare un giudizio, a una serie di nuove materie: contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, di opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e di subfornitura. L’allargamento sarà operativo per cinque anni, dopo i quali si dovrà verificare, alla luce delle risultanze statistiche, se è opportuno confermarlo oppure no.

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