Penale

La rinuncia all'assegno per il figlio non salva l'altro genitore dal reato di omessa assistenza

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 30150 depositata oggi, respingendo il ricorso di un papà condannato ex articolo 570, secondo comma, n. 2, cod. pen

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di Francesco Machina Grifeo

L'accordo negoziale con il quale la mamma rinuncia all'assegno a favore del minore non salva il papà dalla condanna penale per aver omesso di contribuire al mantenimento del figlio bisognoso. Nessun accordo tra le parti infatti può compromettere il diritto del terzo, in questo caso quello del bambino, a godere di mezzi adeguati per la sussistenza. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 30150 depositata oggi, respingendo il ricorso di un padre condannato a sei mesi di reclusione e 500 euro di multa per il reato previsto dall'articolo 570, secondo comma, n. 2, cod. pen. per il mancato versamento (dal 2016 al 2022) di quanto indicato dal giudice in sede civile (100 euro).

Per la Corte d'appello, che ha confermato la decisione del tribunale, il ricorrente aveva contribuito in maniera "saltuaria ed occasionale" al "non sufficiente mantenimento del figlio affidato alla madre". Ed ha giudicato "non significativa la rinuncia effettuata dalla genitrice del minore ai cento euro da corrispondere mensilmente per come determinati dall'autorità giudiziaria civile". Rinuncia avvenuta con un atto negoziale nell'ambito del quale il padre contestualmente dava il consenso al rilascio dei documenti affinché la donna portasse con sé il figlio minore in Marocco.

Per la VI Sezione penale correttamente il giudice del merito ha rilevato "come il patto non potesse spingersi sino al punto di privare il minore del diritto al mantenimento, essendo il negozio privato concluso vincolante solo tra le parti ma non tale da legittimare condotte omissive tese a ledere il diritto del minore al conseguimento dei necessari mezzi di sussistenza".

La rinuncia della madre, infatti, non fa venir meno "il distinto ed autonomo dovere del genitore di provvedere al mantenimento del figlio, condotta oggetto di consapevole omissione da parte del ricorrente che ha siglato il patto di rinuncia della donna condizionandolo al rilascio della autorizzazione in favore della madre di portare il figlio all'estero (in Marocco)". E non si tratta, precisa la Corte, dell'inadempimento rispetto alla decisione del giudice (se del caso rilevante ai fini della integrazione di cui all'art. 570-bis cod. pen., reato però non contestato), "quanto della differente ipotesi prevista dall'art. 570, secondo comma, n. 2, cod. pen., che punisce la condotta di chi fa mancare i mezzi di sussistenza in favore del discendente minore di età".

La Suprema corte dopo aver ribadito che l'obbligazione incombe su entrambi i genitori, chiarisce che "nessun accordo potrà mai far venir meno l'integrazione del reato allorché la condotta omissiva abbia in concreto fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore, risultato che rende indifferente la previsione di accordi negoziali tra le parti o provvedimenti del giudice che ne definisce i contorni".

È dunque irrilevante, conclude la Corte, la presenza o meno di statuizioni pattizie tra i genitori, a fronte della "impossibilità di comprimere un nucleo essenziale di tutela che l'ordinamento pone a presidio dei minori e del diritto ad una vita dignitosa attraverso la contribuzione di entrambi i genitori".

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