La tentata violenza sessuale non è esclusa dal rifiuto della vittima e dall'assenza di contatto corporeo
Non rileva la soddisfazione fisica sessuale dell'agente ma la coartazione della libera autodeterminazione
Pienamente possibile la consumazione del reato di violenza sessuale, attraverso l'uso esclusivo dei social, da parte di chi coarti la volontà della vittima richiedendole l'invio di un video in cui la si veda praticare atti sessuali di autoerotismo sotto la minaccia di diffondere ad altri la foto osé, già ricevuta e magari pure ottenuta spontaneamente. L'iniziale invio di una proprio foto nuda non esclude l'assenza di consenso a ulteriori e successive richieste del medesimo tenore agite appunto attraverso la minaccia dell'invio on line ad altri. La volontà di non vedere postata ad amici e conoscenti la propria foto intima è sufficiente a integrare quella lesione dell'autodeterminazione sessuale della vittima, che appunto cede ad altre richieste di invio di foto proprio e solo per scongiurare l'avverarsi della minaccia. La richiesta - infine - di autofilmarsi durante la masturbazione e inviare il video all'autore della minaccia se non viene eseguita è violenza sessuale nella forma tentata.
La Corte di Cassazione - con la sentenza n. 29581/2021 - ha perciò confermato la condanna per il tentativo del reato previsto dall'articolo 609 bis del Codice penale, nei confronti del ricorrente che contestava l'avvenuta o tentata invasione del corpo altrui perché non aveva mai né toccato né incontrato la vittima delle minacce. Infatti, è ormai orientamento diffuso intravedere la violenza sessuale nell'invasione della sfera dell'autodeterminazione della vittima non solo a subire, ma anche a praticare atti sessuali che comunque ne coinvolgano la corporeità. Siamo ben al di là del vecchio concetto di congiungimento carnale violento o abusivo o fraudolento. Concezione di per sé restrittiva della sfera sessuale e ulteriormente superata soprattutto dagli attuali fenomeni di comunicazione invasiva e diffusiva realizzata attraverso i mezzi telematici così spesso infarciti di contenuti a sfondo sessuale.
Nel caso concreto la Cassazione ha ritenuto irrilevante che la minore oggetto delle richieste -di un astuto ladro di profili di suoi amici e di terzi - non avesse ceduto all'ultima richiesta di quest'ultimo, ma si fosse recata alla Polizia per denunciarlo. Da ciò dice la Cassazione non si può desumere l'assenza di un perdurante stato di angoscia in una ragazzina oggetto di continue e risalenti richieste di invio di messaggi e immagini relative alle sue parti intime e all'intera sua corporeità, pur in assenza del soddisfacimento strettamente sessuale del molestatore anche se nascosto da plurime identità, ma individuato come essere sempre lui dalla stessa vittima. Ciò che rileva non è il piacere sessuale raggiunto o solo perseguito dall'autore del reato, ma è la violenza subita dalla vittima che si sente costretta a compiere atti involgenti la propria sfera sessuale.