Professione e Mercato

Le 10 lezioni che ho imparato in 10 anni di studio legale virtuale

Lo smart working, almeno in Italia, per gli avvocati, è una novità culturale assoluta, perché l'avvocato, e non solo quello tradizionale, inizia a lavorare per il suo cliente solo dopo che il cliente gli ha "mandato le carte"

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di Claudia Bortolani


L'intenso dibattito intorno al tema dello "smart working", anche per gli studi legali, fatto di lodi, timori, ma anche difficoltà oggettive e, a volte, sorprendenti, mi ha riportata al 1995 quando, da giovane professionista, vivevo e lavoravo in uno studio americano a San Francisco, in California e avevo il mio pc portatile dotato di wi-fi (una piccola antenna con calamita) che mi consentiva di lavorare dal "The Grove" su Chestnut Street, insieme a molti altri sconosciuti.

Tornata in Italia nel 2000 per me era naturale applicare quel modello, ma ho trovato una realtà molto diversa, fatta di lavoro solo in ufficio e tanto "face time"… ancora fino al 2009, quando ho creato LEGAL GROUNDS, il primo studio virtuale in Italia, l'idea dello smart working "a sistema" era quantomeno "esotica".

Lo smart working, almeno in Italia, per gli avvocati, è una novità culturale assoluta, perché l'avvocato, e non solo quello tradizionale, inizia a lavorare per il suo cliente solo dopo che il cliente gli ha "mandato le carte".

Un tempo erano portate a mano, poi spedite con corriere, oggi sono inviate per posta elettronica o rese disponibili in data room virtuali.

Ecco quindi che più di altri professionisti, gli avvocati si trovano ora a fare i conti con un nuovo mondo.

Nei 10 anni di vita il nostro progetto di studio virtuale mi ha confrontata con molte sfide, alcune delle quali non ancora del tutto superate.

Voglio quindi condividere con voi 10 sfide affrontate nei 10 anni di esperienza di "smart working" come studio legale:

1) Al cliente (anche a quello istituzionale) interessa (solo) il risultato. Inutile disperdere energie in stancanti e noiose (almeno per gli altri) attività di comunicazione sui dispositivi tecnologici utilizzati, icloud, VPN, sistemi di comunicazione interna ecc. al nostro cliente non interessa. Siamo in grado di far bene il lavoro: Si/No? Entro quanto tempo? Quanto costa? L'unica cosa di cui ci dobbiamo preoccupare è di utilizzare sistemi che garantiscano la sicurezza dei dati dei nostri clienti.

2) Ai colleghi piace andare in studio. Da figlia di un professore di fisica, abituata sin da bambina alle novità tecnologiche (mio padre aveva il computer nel 1970 e io disegnavo sui fogli del "calcolatore"), posso stare giorni senza andare in studio e lavorare da casa, ma … non per tutti è così. Mi sono resa conto che molti colleghi hanno la necessità "fisica" di recarsi in un posto per sentirsi produttivi, cambiare ambiente, e questo fattore è da mettere in conto, non siamo tutti uguali, quindi il "virtuale duro e puro" alla lunga, non funziona.

3) Con i colleghi bisogna vedersi e socializzare. Avete mai pensato perché ciascuno di noi ricorre sempre a quel collega piuttosto che a un altro per un affiancamento o a quel domiciliatario? La risposta, molto spesso, è perché fondamentalmente quelle persone ci piacciono nella loro essenza. Perché questo accada, occorre conoscersi meglio. Noi cerchiamo di vederci fuori studio e di fare delle attività insieme. Se non ci piace trascorrere del tempo con i nostri colleghi, come possiamo pensare di condividere un progetto lavorativo con loro?

4) Ai praticanti non piace lavorare (solo) da casa. Grande sbaglio questo, ma ero proprio all'inizio. I praticanti, o giovanissimi avvocati che si affacciano alla professione, hanno bisogno del luogo fisico di lavoro o il rischio è che non percepiscano la differenza tra lavorare e studiare, e quindi non siano motivati. Dopo un periodo di formazione, qualche giorno di lavoro da remoto diventa però più facile.

5) Inizio la mia giornata come in studio. Il lavoro "smart" richiede disciplina, almeno inizialmente. Per questo io ho sempre trovato molto utile darmi un'agenda giornaliera che seguo fedelmente. Inizio sempre più o meno alla stessa ora, faccio un break di pranzo programmato, programmo anche l'attività sportiva e tengo fede al programma. Mi premio quando sono stata brava. Lavorare da casa non vuol dire essere in balia degli eventi (lavorativi o meno).

6) Usciamo dalla trappola dell'iperconnessione. Non è vero che i clienti sono contenti solo se sanno che siamo sempre connessi. Un cliente soddisfatto è un cliente che sa che il proprio avvocato si prende in carico le sue questioni legali e le cura in modo brillante e con la massima attenzione. Non serve a nulla, quindi, mandare email alle 2:00 di notte. Nessuno ce lo chiede, nemmeno se lavoriamo in smart (ma se ci è comodo rispondere di sabato anziché di lunedì, facciamolo).

7) Il lavoro smart genera più fluidità dei rapporti lavorativi. Forse perché le barriere dei muri dello studio non delimitano solo uno spazio fisico ma anche professionale, io ho trovato molta facilità nell'avviare rapporti con colleghi di altri studi, e anche con altri professionisti non avvocati (es. architetti, innovation managers, esperti e-commerce, project managers, etc) per creare team multi-disciplinari molto graditi dai clienti. Con offerta ai clienti tipo: "ecco tutto quello che possiamo fare per voi, abbiamo pensato anche a questo".

8) Vincere i pregiudizi. Questa è la cosa con cui ho lottato di più. In un'epoca pre-Covid e in un paese come l'Italia, per certi aspetti ancora molto tradizionale, per non dire arretato, lavorare da casa è stato fino ad oggi considerato non adeguato allo "status" di un Avvocato, che per essere tale deve avere un grande studio e grandi spese (ovviamente da riversare sui propri clienti). Sarà diverso nell'epoca post-Covid? Io me lo auguro.

9) I pregiudizi sono per lo più dei colleghi. A corollario del punto sopra, vale questa cosa che ho imparato. Sono stati per lo più i colleghi, quelli più sospettosi; ai clienti - come detto prima - interessa (solo) il risultato.

10) Non esageriamo con lo smart. Dopo aver trascorso negli anni passati interi periodi lavorando interamente (e divinamente) da casa, pur avendo a disposizione uno studio, sono arrivata a una leggera saturazione del modello "solo smart". Lo studio è necessario, ma non tutti i giorni, e deve essere un luogo di condivisione con i colleghi. A mio avviso lo studio dell'immediato futuro sarà un hub, un punto per ritrovarsi e confrontarsi, un luogo in cui, oltre al lavoro, sarà un piacere andare a fare l'happy hour o giocare a una partita di calcio balilla: dovrebbe essere rigorosamente previsto uno spazio comune adibito alle attività ludiche, lavoriamo e ci divertiamo! Cosa c'è di meglio per non stancarsi mai?

Ovviamente, questi punti non possono essere assolutizzati perché ogni realtà ha le proprie peculiarità e sfide da affrontare, ma spero di aver offerto qualche spunto alle colleghe e ai colleghi che stiano oggi ripensando il proprio progetto di studio in una chiave più "smart"

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