Amministrativo

Le norme Cedu non sono self executing per l'applicazione immediata

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di Giulia Laddaga

A distanza di pochi mesi, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 7 del 2015, torna ancora a pronunciarsi in merito alla natura delle norme della Convenzione dei Diritti dell'Uomo (Cedu) nel nostro ordinamento. Sebbene l'orientamento del Supremo consesso della giustizia amministrativa sia costante, frequenti sono le sue pronunce in materia (basti pensare all'ordinanza del 4 marzo scorso, la n. 2/2015).

La natura delle norme della Cedu - Ribadendo quanto già affermato dalla Corte costituzionale nelle ormai storiche pronunce nn. 348 e 349 del 2007 in materia espropriativa, le norme Cedu non sono assimilabili alle norme comunitarie self executing ai fini dell'applicazione immediata nell'ordinamento interno.

La Corte delle Leggi, infatti, aveva già chiarito che solo le norme comunitarie debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari. E ciò in forza dell'articolo 11 della Costituzione, nella parte in cui consente le limitazioni della sovranità nazionale necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni.

Ciò non può dirsi per le norme Cedu che, pur assolvendo alla funzione primaria di tutela e di valorizzazione dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone, sono pur norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell'ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, con connessa disapplicazione delle norme interne in eventuale contrasto. L'articolo 117, primo comma, della Costituzione, nel testo introdotto nel 2001 con la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, distingue infatti, in modo significativo, i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario da quelli riconducibili agli obblighi internazionali.

Si tratta di una differenza non soltanto terminologica, ma anche sostanziale. Con l'adesione ai Trattati comunitari, l'Italia è, infatti, entrata a far parte di un “ordinamento” più ampio, di natura sopranazionale, cedendo parte della sua sovranità, anche in riferimento al potere legislativo, nelle materie oggetto dei Trattati medesimi, con il solo limite dell'intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

La Convenzione Edu, invece, non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce, quindi, norme direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa è configurabile come un trattato internazionale multilaterale, pur con le caratteristiche significativamente peculiari, da cui derivano “obblighi” per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti per tutte le autorità interne degli Stati membri.

Le implicazioni nell'ordinamento - Se ne deve dedurre che l'eventuale contrasto di una norma nazionale con la normativa Cedu, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, non può legittimare il giudice a quo alla diretta disapplicazione della norma interna.

Va ribadita anche l'esclusione delle norme Cedu, in quanto norme pattizie, dall'ambito di operatività dell'articolo 10, primo comma, della Costituzione, che con l'espressione «norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», si riferisce soltanto alle norme consuetudinarie e dispone l'adattamento automatico, rispetto alle stesse, dell'ordinamento giuridico italiano, ma non si applica alle norme convenzionali, ancorché generali, contenute in trattati internazionali bilaterali o multilaterali,come la Cedu, con la conseguente impossibilità di assumere le relative norme quali parametri del giudizio di legittimità costituzionale, di per sé sole, ovvero come norme interposte ex articolo 10 della Costituzione.

L'orientamento dell'Adunanza Plenaria - Dando continuità all'indirizzo, ribadito anche recentemente (ordinanza 4 marzo 2015, n. 2), l'Adunanza Plenaria conclude che, nonostante taluni orientamenti giurisprudenziali e dottrinari di segno contrario, le norme interne contrastanti con le norme pattizie internazionali, ivi compresa la Cedu, sono suscettibili unicamente di sindacato accentrato da parte della Corte costituzionale.

Le norme della Cedu, così come interpretate dalla Corte di Strasburgo, assumono rilevanza nell'ordinamento italiano quali norme interposte, essendo loro riconosciuta un'efficacia intermedia tra legge e Costituzione, volta a integrare il parametro di cui all'articolo 117, comma 1, della Costituzione che vincola i legislatori nazionali, statale e regionali, a conformarsi agli obblighi internazionali assunti dallo Stato.

Tale posizione non è mutata neanche a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che, all'articolo 6, prevede l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione Cedu, che non ha “comportato un mutamento della collocazione delle disposizioni della Cedu nel sistema delle fonti, tale da rendere ormai inattuale la concezione delle norme interposte” (Corte costituzionale, sentenza n. 80/2011).

Di conseguenza, il giudice del caso concreto, allorché si trovi a decidere di un contrasto tra la Cedu e una norma di legge interna, sarà tenuto a sollevare un'apposita questione di legittimità costituzionale, salva l'interpretazione conforme alla Convenzione, e quindi conforme agli impegni internazionali assunti dall'Italia, delle norme interne. Tale interpretazione, anzi, si rende doverosa per il giudice che, prima di sollevare un'eventuale questione di legittimità, è tenuto a interpretare la disposizione nazionale in modo conforme a costituzione.

Le norme Cedu, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, acquistano la forza delle norme costituzionali e sono perciò immuni dal controllo di legittimità costituzionale di questa Corte. Proprio perché si tratta di norme che integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre a un livello sub-costituzionale, è necessario che esse siano conformi a Costituzione. La particolare natura delle stesse norme, diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa sì che lo scrutinio di costituzionalità non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali o dei principi supremi, ma debba estendersi a ogni profilo di contrasto tra le “norme interposte” e quelle costituzionali.

Consiglio di Stato – Adunanza plenaria – Ordinanza 14 luglio 2015 n. 7

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