Civile

Leasing finanziario: i principi statuiti dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 2061-21 del 28/1/2021

La questione attiene fondamentalmente gli effetti prodotti sul diritto vivente dalla legge n. 124 del 2017 e alla sua applicabilità ai contratti di leasing risolti prima della sua entrata in vigore rispetto ai quali la perdurante applicabilità dell'art. 1526 c.c. sembrava ormai circostanza indiscutibile

di Enzo Gambararo*


Dopo circa un trentennio nel quale costante e pressoché univoco è stato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità sul trattamento da riservare al leasing finanziario in contesti in cui alla risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore seguiva il fallimento di quest'ultimo, recenti pronunce di segno contrario hanno creato un contrasto giurisprudenziale la cui soluzione è stata rimessa alle Sezioni Unite.

La questione attiene fondamentalmente gli effetti prodotti sul diritto vivente dalla legge n. 124 del 2017 e alla sua applicabilità ai contratti di leasing risolti prima della sua entrata in vigore rispetto ai quali la perdurante applicabilità dell'art. 1526 c.c. sembrava ormai circostanza indiscutibile.

Come noto il leasing finanziario, contratto di derivazione anglosassone, è stato per decenni privo di una autonoma e specifica disciplina normativa rientrando a pieno titolo nell'alveo di quei contratti definiti atipici, nonostante venisse utilizzato spesso nella prassi economica per i numerosi risvolti vantaggiosi da esso scaturenti. Ad arginare la lacuna legislativa è intervenuta negli anni per l'appunto la giurisprudenza, la quale ha dovuto marcare i tratti fondamentali del negozio in esame per l'evidente necessità di disciplinare una fattispecie atipica seppure, come detto, adottata in concreto in moltissime circostanze dal mondo economico.

In particolare sono state individuate due articolazioni del contratto a seconda della vera natura che poteva assumere il rapporto tra concedente e utilizzatore. Nell'un caso il leasing veniva definito di godimento, cioè quello in cui l'utilizzo del bene locato, che esauriva sostanzialmente la sua utilità alla scadenza contrattuale, costituiva l'effetto fondamentale, quasi esclusivo, del contratto. Nell'altro, il leasing veniva definito traslativo, vale a dire quella fattispecie in cui il tratto essenziale del contratto era, oltre naturalmente l'utilizzo del bene locato, il suo trasferimento definitivo per il tramite del riscatto finale. Tratto distintivo della seconda articolazione contrattuale rispetto alla prima è, dunque, il valore che il bene assume alla scadenza del contratto, evidentemente di gran lunga superiore al cospetto di quello previsto contrattualmente per esercitarne il diritto di riscatto.

Le diversità individuate hanno avuto un ruolo fondamentale per affermare le regole applicabili all'una e all'altra fattispecie negoziale. Per circa un trentennio la Cassazione ha affermato che gli effetti della risoluzione contrattuale per inadempimento del contratto di leasing traslativo fossero regolati per analogia dall'articolo 1526 c.c.., ciò anche all'indomani dell'introduzione dell'articolo 72 quater della legge fallimentare, applicandosi quest'ultima norma esclusivamente ai casi in cui lo scioglimento contrattuale è conseguenza del fallimento dell'utilizzatore.

Il percorso legislativo di tipizzazione del leasing si conclude nel 2017 con la citata legge n. 124 la quale, dettando una disciplina organica ed unitaria del contratto in commento, ha consentito di superare la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo.

Se la novella, da un lato, ha risolto definitivamente per il futuro ogni questione su quali debbano essere le norme da applicare per la regolazione dei rapporti di cui ai contratti di leasing, dall'altro, ha innescato polemiche interpretative dell'articolo 1, commi 136-140, che hanno portato anche la Cassazione nel corso del 2019 (Cass. n. 8980 del 29/3/2019Cass. n. 18545 del 20/8/2019 Cass. n. 24438 del 30/9/2019 Cass. n. 27545 del 28/10/2019) a contrastare l'orientamento fin li consolidato con il ritenere che anche per i casi di risoluzioni di contratti di leasing traslativo intervenute prima dell'entrata in vigore della legge non fosse applicabile l'articolo 1526 c.c.. Ciò non come effetto di una sua applicazione retroattiva bensì per effetto di una interpretazione storico-evolutiva secondo cui una determinata fattispecie non può che essere valutata sulla base dell'ordinamento vigente, posto che l'attività ermeneutica demandata alla Cassazione produce effetti per l'attualità e per il futuro, ma non per il passato. Dunque, per il caso che ci occupa la fattispecie sarebbe regolabile secondo l'orientamento contrastante in via analogica dall'articolo 72 quater che dispone la medesima disciplina introdotta dalla legge n. 124.

La Terza Sezione civile sollevando dubbi su tale impostazione, e cioè sul fatto se sia possibile o meno predicare l'applicazione analogica di una norma sopravvenuta rispetto alla fattispecie concreta che dovrebbe disciplinare, ne ha rimesso la soluzione alle Sezioni Unite.

Con motivazioni del tutto condivisibili le S.U. hanno ritenuto di non poter dare seguito all'orientamento giurisprudenziale più recente dando, contrariamente, continuità al diritto vivente formatosi nel passato che ha ininterrottamente desunto in via analogica dall'articolo 1526 c.c. la disciplina regolatrice del contratto traslativo risoltosi per inadempimento dell'utilizzatore prima dell'entrata in vigore della legge n. 124 e del suo fallimento. La novella è stata ritenuta priva degli indici che consentono di riconoscerle efficacia regolativa per il passato poiché interviene in maniera innovativa a colmare una lacuna ordinamentale a cui nel passato l'intervento giurisprudenziale aveva posto rimedio per il tramite di interpretazione analogica nei modi descritti. Dunque, una legge, la n. 124, che secondo le S.U. dispone per il solo futuro e non abolisce la distinzione per il passato tra il leasing di godimento e quello traslativo.

Ecco che allora per la regolazione degli effetti dei contratti di leasing traslativo risolti per l'inadempimento dell'utilizzatore prima dell'entrata in vigore della novella deve continuare a farsi ricorso all'applicazione analogica della disciplina prevista per altre tipologie contrattuali, segnatamente quella di cui all'articolo 1526 c.c. che prevede per l'utilizzatore il diritto alla restituzione dei canoni pagati salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, e non quella di cui all'articolo 72 quater della legge fallimentare rispetto alla quale non si ravvisano i presupposti per il ricorso all'analogia legis.

Infine le S.U. enunciano un secondo principio di diritto, non meno rilevante sul piano pratico, secondo cui in caso di fallimento dell'utilizzatore il concedente che aspiri a divenire creditore del concorso deve formulare una domanda di ammissione al passivo ai sensi dell'articolo 93 l.f. nell'ambito della quale ai fini del risarcimento del danno dovrà fornire idonei elementi di valutazione al Giudice delegato affinché questi possa apprezzare se la penale contrattualmente prevista sia equa ovvero eccessiva. A tal uopo sul concedente sussiste l'onere di indicare il corrispettivo eventualmente ricavato dalla diversa allocazione del bene restituito dall'utilizzatore fallito ovvero, alternativamente, quello di produrre a corredo della domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene.

Insomma chiarimenti di cui gli operatori – imprese, società di leasing e curatori fallimentari

- sentivano la necessità alla luce dell'orientamento contrastante che, quasi con l'effetto di un colpo di spugna, sembrava aver cancellato ciò che costituiva da circa un trentennio le loro basi valutative.


*Enzo Gambararo, Dottore commercialista e revisore legale, esperto in diritto penale commerciale e tributario, membro del Comitato Scientifico Nazionale della School University Foun

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