Legali creativi per fermare le dimissioni dei talenti
Great resignation: sicurezza, privacy e welfare da rielaborare per favorire il lavoro da remoto e trattenere in azienda i migliori dipendenti<br/>
Great no, resignation sì: per le grandi dimissioni non siamo negli Stati Uniti, ma il tema di come riuscire a trattenere in azienda i talenti migliori è diventato urgente anche in Italia e le aziende stanno ricorrendo anche alla consulenza legale per fronteggiarlo. In Italia, infatti, da un lato abbiamo imprese colpite dalla crisi costrette a guardare solo al risanamento e al contenimento dei costi e, dall’altro, imprese che hanno l’esigenza di trattenere i talenti e porre rimedio al fenomeno di uscita del personale più valido, la great resignation, appunto.
Benefit e leva economica
Seppure quello delle dimissioni sia un trend al momento contenuto rispetto ai Paesi anglosassoni, spesso riguarda figure formate, con un importante know-how. L’uscita di questo tipo di dipendente rischia di generare fenomeni emulativi, determina perdita di competenze, mette a rischio la tenuta dei team e può avvantaggiare il concorrente.
Per fidelizzare i dipendenti le aziende in passato agivano sull’aspetto retributivo e con benefit classici come l’auto, l’assicurazione o altri strumenti di welfare, ad esempio palestre e asili. Ma la semplice leva economica ora è solo un punto di partenza, a cui si affianca una maggiore attenzione al benessere lavorativo generale che investe la flessibilità (e quindi la possibilità di lavorare da remoto), il clima generale interno, percorsi di formazione, un controllo basato sui risultati e non sulla presenza in sede.
Così i giuslavoristi sono chiamati a fornire una consulenza sugli aspetti di compliance, sulla privacy, sull’organizzazione del lavoro e le sue forme ibride. «In generale quello a cui stiamo assistendo – spiega Carlo Majer, co-managing partner di Littler – è la conseguenza di questa rinnovata attenzione all’equilibrio vita/lavoro. Fino alla pandemia l’interesse dei lavoratori era più per altri aspetti, ad esempio l’asilo dentro l’azienda o altri benefit. Ora invece l’attenzione è sulla flessibilità nella prestazione lavorativa».
Così lentamente i piani di incentivazione stanno cambiando forma perché si guarda a un più generale wellbeing a cui anche gli imprenditori più tradizionali devono prestare attenzione, non solo per non perdere i talenti ma in prospettiva anche per attirare i migliori sul mercato.
«Interpretare le esigenze delle aziende – commenta Luca Garramone, partner Orsingher Ortu – spesso è diventata un’attività creativa. Le richieste che ci pongono non sempre trovano un riscontro normativo adeguato. Questo comporta una conoscenza capillare delle norme e delle prassi, oltre a un costante aggiornamento giurisprudenziale per capire cosa sia possibile sperimentare. Oggi si ragiona in base all’esperienza cercando di trovare soluzioni innovative».
Il mestiere del consulente giuslavorista diventa così più sartoriale, con la necessità di «tagliare il vestito su misura per ogni cliente-azienda» cercando di adattare – facendo anche rilevare le possibili criticità – le richieste alla normativa.
Non solo smart working
Se affermare che siamo davanti a una great resignation anche in Italia può essere esagerato, certo in tanti si pongono il problema di come trattenere i dipendenti.
«Non esiste una soluzione perfetta – spiega Massimiliano Arlati, founding partner e managing director di ArlatiGhislandi , specializzato nella gestione delle risorse umane– noi consigliamo un welfare aziendale mirato costruito sull’immagine del cliente; una serie di azioni positive fatte nei confronti dei dipendenti come la formazione professionale e la formazione professionistica ossia sul modo di lavorare e sulla consapevolezza del proprio lavoro». Inoltre si suggerisce l’adozione di patti di stabilità e di non concorrenza.
Sempre più spesso gli studi sono chiamati a guardare alle policy aziendali, a inventare nuovi strumenti di remunerazione e modalità di lavoro alternative.
Le più investite da queste problematiche sono le aziende del Nord e il tema riguarda i dipendenti tra i 25 e i 45 anni d’età. Le aziende stanno agendo quindi sulla retribuzione e sui benefit ma anche più in generale sul welfare, sulla flessibilità organizzativa e definendo in maniera più chiara quali possono essere i percorsi interni di carriera. «Si agisce sotto due profili – conclude Giulietta Bergamaschi, giuslavorista e managing partner di Lexellent –. Da un lato si aumenta la quota fissa delle retribuzioni e si inseriscono bonus con finalità di retention. Ma si prevedono anche funzioni aziendali di ascolto alle persone che, introdotte durante l’emergenza in maniera temporanea, stanno diventando delle figure integranti degli organigrammi».