Lavoro

Legge 162/2021 e certificazione della parità di genere: una buona occasione per un approccio sistematico alla sostenibilità di impresa

La legge ha innanzitutto abbassato a cinquanta dipendenti la soglia dimensionale per l'individuazione delle aziende tenute a redigere, su base biennale, il rapporto sulla situazione del personale.

di Marco Cristiano Petrassi*

La legge 162/2021 ha introdotto importanti novità in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo.

La legge ha innanzitutto abbassato a cinquanta dipendenti la soglia dimensionale per l'individuazione delle aziende tenute a redigere, su base biennale, il rapporto sulla situazione del personale.

Il rapporto deve contenere informazioni, tra l'altro, in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta ai dipendenti dei due generi.

Destinatari dell'informativa sono i consiglieri di parità e le organizzazioni sindacali che, grazie alle informazioni così ricevute, potranno esercitare al meglio le proprie prerogative e funzioni istituzionali per il contrasto della discriminazione in ambito lavorativo.

La vera novità della legge 162/2021 è, però, l'introduzione della c.d. certificazione di genere.

Si tratta di una certificazione volontaria che le aziende più virtuose potranno richiedere, agli organismi a ciò accreditati, per attestare la conformità dell'organizzazione di impresa ai principi di parità tra i generi, in punto di retribuzione e condizioni di carriera.

Le aziende che abbiano ottenuto la certificazione saranno esonerate dal versamento degli oneri contributivi, per un valore pari all'1% sulla generalità dei lavoratori dipendenti e fino ad un massimo di 50.000 euro annui.

Con decreto del 29 aprile 2022 il Ministero delle Pari Opportunità ha recepito la norma UNI/PDR 125:2022 quale standard di riferimento per la verifica dei parametri minimi il cui raggiungimento è necessario per l'ottenimento della certificazione.

Il processo di certificazione richiede una verifica della prassi aziendale con riferimento a sei aree determinate: cultura e strategia, governance, processi hr, opportunità di crescita e inclusione, equità remunerativa, tutela genitorialità e conciliazione vita-lavoro.Per ciascuna area sono indicati degli specifici KPI, calibrati su quattro livelli dimensionali dell'impresa: micro imprese (da 1 a 9 addetti), piccole imprese (da 10 a 49 addetti), medie imprese da 50 a 249 addetti), grandi imprese (da 250 addetti e oltre).

La norma UNI/PDR 125:2022 chiede in ogni caso a tutte le organizzazioni, a prescindere dal livello dimensionale, di definire un piano d'azione e un sistema di gestione idonei a garantire nel tempo i KPI presupposti della certificazione.

L'ambizione espressa è peraltro quella che "consorzi, reti di impresa e general contractor che intendano adottare la presente UNI/PDR, definiscano una formula di selezione e qualifica, all'interno del processo di selezione dei propri consorziati/imprese/outsourcer che richieda agli stessi l'adozione della prassi di riferimento"

L'obiettivo, dunque, è di indurre tutta la catena di fornitura, incluse le micro-imprese con numero di dipendenti da 1 a 9, a governare i temi della parità di genere.

La norma UNI/PDR 125:2022 ha un approccio pervasivo alla organizzazione e gestione aziendale e, per le imprese più piccole, la sua adozione potrebbe richiedere uno sforzo (in termini di procedure, protocolli e assetti organizzativi) superiore ai benefici pure concessi sul piano contributivo.

La certificazione può rappresentare però una occasione di aggiornamento dell'organizzazione aziendale se concepita, in una prospettiva più olistica, quale tassello per l'implementazione dei temi della sostenibilità nella gestione dell'impresa.

Si pensi, a titolo esemplificativo, ai Kpi delineati dalla norma UNI con riferimento ai presidi di governance, alla gestione dei flussi informativi, alla comunicazione interna, esterna e ai rapporti con gli stakeholders.

Da un punto di vista più generale, è immediato il paragone con il d.lgs. 254/2016 che richiede agli enti di interesse pubblico pubblicare una dichiarazione non finanziaria che descriva, tra l'altro, il modello aziendale di gestione e organizzazione delle attività dell'impresa, dando conto anche degli "aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale, incluse le azioni poste in essere per garantire la parità di genere".

Ulteriore normativa di confronto è la disciplina delle società benefit che prescrive la pubblicazione annuale di una relazione di impatto dell'attività di impresa che comprenda anche "le relazioni con i dipendenti e i collaboratori in termini di retribuzioni e benefit, formazione e opportunità di crescita personale, qualità dell'ambiente di lavoro". Anche per le società benefit – in ragione del generale impegno allo sviluppo di un business responsabile, sostenibile e trasparente – il controllo della catena di fornitura è un tema strategico.

Molte delle raccomandazioni fornite dalla norma 125:2022 ricordano quindi le indicazioni provenienti dal legislatore italiano ed europeo in materia di rendicontazione di sostenibilità.

L'assonanza tra le prescrizioni della UNI 125:2022 e le indicazioni del d.lgs. 254/2016 o della legge sulle società benefit evidenzia allora la possibilità di far confluire le politiche di promozione e gestione della parità di genere nella più generale strategia di sviluppo della sostenibilità e delle tematiche ESG nell'attività di impresa.

Una concezione sistematica del governo della sostenibilità non può che favorire quindi un approccio più razionale ed efficiente anche delle procedure, dei protocolli e adempimenti previsti dalla norma 125:2022.

Del resto, sono da tempo attesi provvedimenti europei (quali le nuova direttiva sul reporting di sostenibilità e sulla corporate due diligence) che renderanno ancora più stringenti i controlli delle grandi imprese sulla attuazione delle best practice di sostenibilità da parte dei loro fornitori.

Da questa prospettiva, l'eventuale scelta delle piccole imprese di adottare la certificazione volontaria sulla parità di genere si rivelerebbe utile per anticipare processi, protocolli e informative che, nel giro di pochi anni, diventeranno imprescindibili per il mantenimento dei rapporti commerciali.

A tale riguardo va aggiunto che le imprese potrebbero valutare di avviare, contestualmente alla certificazione, il processo di trasformazione in società benefit, accelerando ulteriormente la transizione verso un modello di business improntato ad elevati standard di sostenibilità.

La scelta consentirebbe di beneficiare, oltre che degli incentivi contributivi previsti dalla legge 162/2022, del credito di imposta riconosciuto dal Dl aiuti alle imprese che si costituiscano in società benefit entro il 31 dicembre 2022.

Grazie all'art. 52 bis del d.l. 50/2022, anche per il 2022, le spese sostenute dalle società benefit per la trasformazione (per consulenze e costi notarili) potranno essere riconosciute, per il 50% e fino ad un massimo di 10.000,00 euro, come credito di imposta da utilizzare in compensazione.

* a cura dell' Avv. Marco Cristiano Petrassi, Partner di SZA Studio legale


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