Civile

Legge Pinto, sanzione per chi chiede l’indennizzo se il processo presupposto è estinto

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di Patrizia Maciocchi

Via libera a 3mila euro di sanzione per chi intenta una causa per l’equa riparazione basata su un giudizio presupposto che non avrebbe dovuto iniziare per mancanza di interesse. La Cassazione (sentenza 4973) respinge il ricorso contro il versamento alla cassa delle ammende, per aver portato avanti una causa pur avendo già ottenuto l’inquadramento che voleva.

La ricorrente aveva chiesto alla Corte d’appello l’equo indennizzo per l’ulteriore durata, a suo dire di quasi dieci anni, ancora non risarcito di un procedimento - iniziato in prima battuta davanti al Tar e concluso per difetto di giurisdizione nel 2009 e già indennizzato - riassunto davanti al Tribunale e chiuso per estinzione del processo a causa della mancata riassunzione per difetto di giurisdizione.

Per i giudici l’assenza di danno era evidente dall’esame degli atti. La pretesa era relativa al ritardo di un giudizio presupposto che non doveva essere iniziato per carenza di interesse: già tre anni prima della fine della causa davanti al Tar, la ricorrente aveva ottenuto l’inquadramento dall’Inps nella categoria richiesta. Questo malgrado il disinteresse fosse scattato con la dichiarazione di estinzione.

Per la Cassazione è applicabile la legge Pinto, nel testo introdotto dalla legge 208/2015 (articolo 2, comma 2 sexies, lettera c) che presume non esistente il pregiudizio che deriva dal processo lumaca, salvo prova contraria, nel caso di estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti (articoli 306 e 307 del Codice di rito civile).

Inutile per la ricorrente obiettare che la condanna a 3mila euro era sproporzionata rispetto all’indennizzo chiesto e che la forbice prevista dalla norma, che va dai mille ai 10mila euro, rende gravoso l’accesso alla giustizia. Un “effetto collaterale” potenzialmente condiviso dalla Cassazione. Che tuttavia difende la norma per la sua chiarezza e per gli obiettivi.

Il legislatore ha infatti dato priorità alla repressione dell’abuso del processo. La strada per farlo è sanzionare sia chi inizia una causa pur non avendo in origine diritto all’equo indennizzo, sia chi propone ricorsi viziati da irregolarità non sanabili per colpa della parte. Né ci sono dubbi di incostituzionalità in assenza di disparità di trattamento, di lesione dei principi del giusto processo o del diritto di difesa.

La sanzione è del tutto coerente con lo scopo di disincentivare, senza automatismi, le pretese delle parti fatte valere, anche se temerarie o inosservanti delle norme processuali. Per la Suprema corte l’introduzione del meccanismo «potrebbe all’opposto ridurre il carico delle corti territoriali consentendo una più sollecita e celere definizione delle controversie nelle quali venga fondatamente fatto valere il diritto al riconoscimento della violazione del termine di ragionevole durata del processo» . I giudici compensano però le spese «in considerazione della particolarità della fattispecie, derivante dall’assoluta novità delle questioni».

Corte di cassazione – Sezione II – Sentenza 25 febbraio 2020 n.4973

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