Legittima la prosecuzione dell’impresa sociale, dopo la causa di scioglimento, se funzionale alla gestione conservativa
Non possono ritenersi vietati gli atti che determinino la nascita di nuovi rapporti giuridici con assunzione di ulteriori vincoli, o che comportino un nuovo rischio d’impresa, o che siano preordinati al conseguimento di nuovi utili
Con pronuncia del 7 luglio 2023 , la sezione specializzata della Corte d’Appello di Trento ha analizzato la previsione di cui all’art. 2486 c.c. che, in presenza di una causa di scioglimento, impone agli amministratori di una società di capitali una “ gestione conservativa ”.
La vicenda origina dal giudizio instaurato nei confronti degli amministratori e del collegio sindacale di una società fallita al fine di ottenere la condanna al risarcimento del danno da questi cagionato al Fallimento.
L’attore, a fondamento delle proprie pretese, deduceva le numerose irregolarità e violazioni compiute dagli amministratori. Nella specie, nonostante la perdita di continuità aziendale e l’oggettiva impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, i convenuti, anziché disporre la messa in liquidazione della società, nel corso dello stesso anno, avevano deliberato l’acquisizione di altra società ed avevano sottoscritto un aumento del capitale sociale di questa. Si trattava peraltro di un investimento eccentrico rispetto all’attività principale della fallita e la partecipazione societaria era stata erroneamente valorizzata in bilanci.
Gli amministratori, secondo la prospettazione attorea, avrebbero quindi violato i doveri di diligenza loro imposti in quanto avrebbero dotato la società di un assetto patrimoniale e finanziario inadeguato rispetto all’attività svolta, operato rischiosi ed ingenti investimenti in un periodo di crisi, omesso di accertare l’avvenuta perdita di continuità aziendale e la definitiva impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, redatto i bilanci in violazione del criterio di presumibile valore di realizzo dei crediti commerciali, consentito la prosecuzione dell’attività di impresa senza attivarsi ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c., omesso di disporre la liquidazione con obbligo di gestione conservativa ex art. 2486 c.c.
Tali condotte avrebbero arrecato alla società un danno, da quantificarsi nel differenziale tra il patrimonio netto sussistente al momento in cui l’attività di impresa era proseguita indebitamente e quello esistente al momento della dichiarazione di fallimento.
Con sentenza pubblicata in data 15 aprile 2022 il Tribunale di Trento, sulla scorta delle indagini condotte dal consulente tecnico, riteneva che le scelte gestionali, inerenti all’inadeguato assetto patrimoniale e finanziario dato alla società rispetto all’attività svolta, non potevano essere sindacate ex post , poiché riguardanti la discrezionalità imprenditoriale. Il giudice di primo grado evidenziava inoltre che parte attrice aveva l’onere allegare e provare il compimento, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, di atti di gestione non aventi una finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, del verificarsi di un danno, e del nesso di causalità tra condotta e danno. Tale onere, tuttavia, non era stato correttamente assolto in quanto l’attore aveva fatto riferimento a condotte del tutto generiche e non precisate sotto il profilo degli specifici atti di gestione compiuti dall’organo di amministrazione, della loro estraneità ad una finalità conservativa e della loro idoneità a generare ulteriore debito aziendale.
Avverso la sentenza di primo grado, parte attrice proponeva impugnazione davanti alla Corte d’Appello di Trento. La Corte, sul punto, ha osservato come gli amministratori non sono tenuti soltanto all’ordinario (e non anomalo) adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della società, ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al menzionato scioglimento, gli atti negoziali di gestione della società necessari al fine di preservare l’integrità del relativo patrimonio.
Ad avviso del giudice di secondo grado, inoltre, un’interruzione della gestione dell’impresa, anche se questa sia produttiva di perdite, può costituire atto distruttivo di valore non solo con riguardo alla responsabilità per le obbligazioni in precedenza assunte e rimaste inadempiute, ma anche in quanto suscettibile di determinare una dannosa dispersione del valore dell’impresa, in particolare ostacolando l’ottenimento del miglior corrispettivo possibile in caso di cessione in blocco dell’azienda.
In conclusione, la prosecuzione dell’impresa sociale ed il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori dopo una causa di scioglimento non costituisce in quanto tale violazione dell’art. 2486 c.c., sicché essa non può definirsi di per sé “ indebita ” o addirittura “ illegittima ”, ma diventa tale qualora non si sia svolta in termini conservativi, ossia in funzione della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Se ne ricava che l’obbligo di gestione conservativa, imposto agli amministratori dall’art. 2486 c.c., non si concretizza unicamente in atti aventi finalità liquidatoria o necessari per portare a compimento attività già indiziate. La norma, infatti, prevede la conservazione del potere di gestione in capo agli amministratori - sia pure in funzione conservativa – motivo per cui non possono ritenersi vietati gli atti che determinino la nascita di nuovi rapporti giuridici con assunzione di ulteriori vincoli, o che comportino un nuovo rischio d’impresa, o che siano preordinati al conseguimento di nuovi utili.
In relazione al caso di specie, dunque, ad avviso del giudice di secondo grado, non sussiste il presupposto per la responsabilità degli amministratori ex art. 2486 c.c., non avendo parte appellante allegato l’esistenza di specifici atti gestori in violazione del dovere di conservazione del patrimonio sociale. Per tali ragioni, la Corte ha rigettato l’appello e integralmente confermato la sentenza impugnata.
_____
(*) A cura dell’Avv. Antonio Martini, partner, avv. Alessandro Botti e Ilaria Canepa, dott.ssa Arianna Trentino – Studio legale e tributario CBA