Penale

Liberazione anticipata anche per chi sconta la pena svolgendo lavori di pubblica utilità

Lo ha stabilito la Cassazione, sentenza n. 10302 depositata oggi, affermando un principio di diritto

di Francesco Machina Grifeo

L’istituto della liberazione anticipata è applicabile anche alla pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità. Lo ha stabilito la Prima sezione penale, con la sentenza n. 10302 depositata oggi, affermando un principio di diritto e chiarendo che la competenza spetta al magistrato di sorveglianza.

Il Gip di Torino, quale giudice dell’esecuzione, aveva concesso all’interessato quarantacinque giorni di liberazione anticipata, in relazione alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione, sostituita con la pena dei lavori di pubblica utilità (ragguagliati in 960 ore), ed ha pertanto rideterminato la pena in anni uno, mesi due e giorni quindici di reclusione, (ragguagliati in complessive 870 ore di lavori di pubblica utilità). Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ha proposto ricorso sostenendo, per un verso, l’incompetenza funzionale del Giudice dell’esecuzione ad applicare l’istituto della liberazione anticipata; e per l’altro, che l’istituto era previsto solo in caso di pena detentiva, dunque l’equiparazione di quest’ultima col lavoro di pubblica utilità era erroneo.

All’esito di una ricostruzione delle leggi e delle pronunce in materia, la Prima sezione penale afferma che “l’evoluzione normativa e sistematica consente di affermare che la natura detentiva della misura in espiazione non è più un discrimine per la concessione dei benefici, dal momento che, per poter beneficiare della libertà anticipata, non è richiesto che la detenzione sia in atto e comporti la carcerazione all’interno di istituto penitenziario, essendo piuttosto preteso il mancato esaurimento del rapporto di esecuzione penale in corso, sulla cui protrazione temporale l’istituto vada ad incidere in senso favorevole al condannato, anticipandone la cessazione”.

In definitiva, si legge nella decisione, “la natura non detentiva della pena in esecuzione non costituisce più elemento dirimente”. In passato, invece, la previsione era stata “a lungo interpretata” nel senso che la misura premiale presupponeva che fosse in corso uno status detentionis, “senza del quale non sarebbero state possibili l’osservazione della personalità, un programma di trattamento, la partecipazione al programma, né il perseguimento dell’obiettivo di reinserimento nella società”.

Proprio su questo punto, la Corte osserva come il lavoro di pubblica utilità sostitutiva sia imperniato su attività lavorative (non meno di sei ore e non più di quindici settimanali, aumentabili su richiesta) che hanno una spiccata attitudine rieducativa e risocializzante (articolo 56 bis, co. 1 e 2, legge 689 del 1981); comporta delle prescrizioni, comuni anche alla semilibertà ed alla detenzione domiciliare (articolo 56 ter, legge 689 del 1981), ed ha finalità di reinserimento sociale, dal momento che l’UEPE deve riferire al giudice non solo sull’effettivo svolgimento del lavoro da parte del condannato, ma anche «sulla condotta e sul percorso di reinserimento sociale» (articolo 63, comma 3, legge 689 del 1981).

Del resto nella relazione illustrativa allegata alla riforma Cartabia, Dlgs 150 del 2022, (a pag. 195) si afferma: «Anche il LPU sostitutivo, come la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva, è concepito come pena-programma. Rispetto a quelle due diverse pene sostitutive presenta un minor grado di incidenza sulle libertà del condannato, essendo del tutto privo di una componente detentiva. In tale prospettiva, il ruolo del lavoro di pubblica utilità, nel sistema delle nuove pene sostitutive, è comparabile a quello ricoperto dell’affidamento in prova al servizio sociale tra le misure alternative alla detenzione, in rapporto alla semilibertà e alla detenzione domiciliare».

La Corte ha invece accolto il motivo relativo alla incompetenza del giudice dell’esecuzione. Il dato normativo, scrive la Cassazione, “è inequivoco”. Ai sensi dell’articolo 69-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 come sostituito, da ultimo, dal Dl 4 luglio 2024, n. 92 conv. in l. 8 agosto 2024, n. 112 (in epoca successiva, quindi, all’entrata in vigore del Dlgs 150 del 2022), la competenza funzionale a decidere in ordine alla concessione della liberazione anticipata spetta al magistrato di sorveglianza (articoo 69 bis cit, comma 4) che decide con ordinanza reclamabile al Tribunale di sorveglianza (articolo 69-bis cit., comma 5).

Eventuali esigenze sistematiche che avrebbero consigliato una concentrazione della competenza in capo al Giudice dell’esecuzione, conclude la Corte, “non possono che recedere innanzi ad un dato testuale ed inequivoco, non superabile in via interpretativa”.

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