Licenziamento collettivo, comparazione "estesa" anche se la ristrutturazione interessa una singola unità
Il datore di lavoro è tenuto a valutare l'intera storia professionale dei singoli dipendenti e non solo le mansioni da ultimo concretamente svolte
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9128 del 31 marzo 2023 , ha stabilito che, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, ove la ristrutturazione dell'azienda interessi una specifica unità produttiva o settore, la comparazione dei lavoratori in esubero può essere limitata ai soli dipendenti di detta unità o settore, salvo l'idoneità degli stessi, per il pregresso impiego in altri reparti dell'azienda, ad occupare posizioni lavorative di altri colleghi, spettando ai lavoratori l'onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni.
In tale contesto, prosegue la Corte di Cassazione, è onere del datore di lavoro provare le circostanze che giustifichino il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata, oltre all'infungibilità dei lavoratori prescelti con i dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi.
La pronuncia della Cassazione in esame trae origine dal licenziamento intimato ad una lavoratrice all'esito di una procedura di licenziamento collettivo, giudicato in prima istanza legittimo dal Tribunale di Cassino.
In riforma della sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Roma accoglieva il ricorso presentato dalla lavoratrice avendo invece accertato che, durante la citata procedura di licenziamento collettivo, la società datrice di lavoro avesse violato i criteri di scelta di cui all'art. 5, Legge n. 223/1991 per non aver quest'ultima, nella scelta dei lavoratori da licenziare, considerato le pregresse esperienze professionali della ricorrente in altri reparti non coinvolti nella riorganizzazione aziendale.
Sulla base delle risultanze di fatto e diritto, la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 2287 del 28 ottobre 2020, accoglieva dunque il reclamo della lavoratrice, condannando il datore di lavoro alla reintegrazione in servizio ed al pagamento di un'indennità risarcitoria pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegrazione, in misura non superiore a 12 mensilità.
Avverso la decisione assunta dalla Corte d'Appello di Roma, proponeva ricorso la società datrice di lavoro, al quale resisteva la lavoratrice con controricorso.
Nello specifico, la società deduceva, tra le altre, la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della Legge n. 223/1991 e della norma sulla ripartizione dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 cod. civ. ed all'art. 115 cod. proc. civ., sostenendo che la corte territoriale aveva erroneamente sostenuto l'illegittimità del licenziamento per avere la datrice di lavoro limitato l'esame della posizione della lavoratrice ad una singola articolazione aziendale, stante anche il difetto di prova sulle effettive mansioni svolte dalla lavoratrice in altri reparti.
Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze della società, evidenziando come la Corte d'Appello di Roma si fosse attenuta ad un principio largamente consolidato in giurisprudenza (Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenze n. 18190/2016 e n. 2284/2018 ) secondo cui, in caso di licenziamento collettivo che riguardi una specifica unità produttiva o settore, la comparazione dei lavoratori da licenziare può essere sì limitata al personale adibito a detta unità o settore, ma a condizione che i dipendenti del reparto da sopprimere, per la relativa storia professionale, non siano idonei ad occupare posizioni lavorative di colleghi addetti a reparti o settori dell'azienda non coinvolti nella riorganizzazione.
In tema di prova, gli Ermellini hanno ribadito il principio, già espresso in precedenti pronunce di legittimità (Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenze n. 8474/2005, n. 13783/2006, n. 33889/2022, n. 203/2015, n. 19105/2017 ed n. 15953/2021 ), secondo cui l'onere della deduzione e prova della fungibilità in diverse mansioni è in capo ai lavoratori, mentre spetta al datore di lavoro provare
a) le circostanze che giustifichino il più ristretto ambito aziendale nel quale effettuare la scelta dei lavoratori da licenziare e
b) che questi ultimi non svolgessero mansioni fungibili con i colleghi di altri reparti.
Sul punto, ad avviso della Corte di Cassazione, i giudici di merito avevano correttamente rilevato che, da un lato, la lavoratrice avesse provato di aver svolto anche altre mansioni in diversi uffici dell'azienda sin dall'instaurazione del rapporto di lavoro e che, dall'altro, la società datrice di lavoro nulla avesse invece dedotto sul punto all'atto della scelta dei dipendenti da licenziare.
Sulla base di tali premesse, la Corte di Cassazione ha pertanto giudicato corretti i riferimenti della Corte territoriale ai concetti di fungibilità e professionalità della lavoratrice coinvolta nella procedura di licenziamento collettivo dal momento che non è possibile limitare la scelta degli esuberi ai lavoratori addetti ad una specifica unità o settore dell'azienda "se questi sono idonei, per acquisita esperienza e per pregresso e frequente svolgimento della propria attività in altri reparti, a svolgere altre attività", dovendosi invece in tal caso "ampliare la scelta coinvolgendo anche lavoratori di altri reparti".
Ad avviso della Corte di Cassazione, quindi, il datore di lavoro, nelle ipotesi di licenziamento collettivo, è tenuto a valutare l'intera storia professionale dei singoli dipendenti e non solo le mansioni da ultimo concretamente svolte. La comparazione tra i lavoratori di professionalità equivalenti andrà pertanto effettuata, in base a criteri oggettivi e trasparenti, sull'intero complesso aziendale, anche nel caso in cui la procedura di licenziamento collettivo interessi una sola unità o reparto aziendale.
Nel pronunciarsi in questi termini, la Suprema Corte ha respinto il ricorso della società datrice di lavoro, con condanna della stessa al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
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*A cura di Valentino Biasi, Luigi Picciarelli – De Luca & Partners