Lavoro

Legittimo il licenziamento disciplinare se il lavoratore diffonde notizie che danneggiano la società

Lo ha deciso il Tribunale di Avellino in un caso in cui il dipendente aveva divulgato informazioni e/o notizie tali da pregiudicare i rapporti commerciali della società datrice

di Gerardo Mauriello*


E' legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato dal datore al dipendente in conseguenza della divulgazione, da parte di quest'ultimo, di informazioni e/o notizie tali da pregiudicare i rapporti commerciali della società datrice.

Nella fattispecie sottoposta al vaglio del Tribunale di Avellino, sezione lavoro, un dipendente di un istituto di vigilanza aveva inviato una mail ad una società committente contenenti censure sulla organizzazione interna della società di vigilanza tali da ledere la reputazione di quest'ultima nei confronti di un proprio cliente.

Il datore, all'esito del procedimento disciplinare attivato, aveva licenziato il dipen-dente per giusta causa.

Il Tribunale di Avellino, con ordinanza ex lege 92/2012, pubblicata il 4.5.2021, ha respinto la impugnativa proposta dal dipendente, nella sua fase sommaria, eviden-ziando che la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave nega-zione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo allo scopo essere valutata, da un lato, la gravità dei fatti addebi-tati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale nonché, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

La giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla co-scienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in se-de di legittimità come violazione di legge (mentre l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudi-zio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici; v., tra le altre, Cass. n. 2288 del 2019; Cass. n. 7426 del 2018 ; Cass. n. 6498 del 2012).

Tale valutazione rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice e non è vinco-lata dalle previsioni contenute nel codice disciplinare del contratto collettivo, la cui valenza può dirsi vincolante esclusivamente per le sanzioni cd "conservative" (Cass. Civ., n. 930 del 9.2.1990).

Nel provvedimento qui in commento, il Tribunale ha rilevato come il dovere di fe-deltà del dipendente, ex art. 2105 c.c., si concretizzi nell'obbligo di un leale compor-tamento nei confronti del datore, conforme alle regole di correttezza e buona fede, previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., principi che impongono al lavoratore di astenersi dal compiere attività che:"…appaiono in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nella organizzazione dell'impresa o creano situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa stessa o sono idonei, comunque, a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto stesso (cfr. Cassazione civile sez. lav., 29/03/2017, n.8131; Corte appello Genova sez. lav. 26/02/2019, n. 101).."

Nel caso di specie, peraltro, la condotta lesiva addebitata al dipendente, per la sua gravità, è senz'altro riconducibile alle previsioni contenute nel CCNL di riferimento.

Il Tribunale, nel medesimo provvedimento, ha affrontato, in via incidentale, la que-stione riguardante la nota di avvio del procedimento disciplinare nei confronti del dipendente, con la quale il datore aveva riportato erroneamente nell'oggetto la irro-gazione di una sanzione disciplinare conservativa, sebbene dal contenuto letterale della stessa non vi fosse alcun dubbio sulla natura.

Sul punto, il Tribunale ha chiarito in termini generali che, a prescindere dalla qualifi-cazione formale attribuita ad un atto, è onere del giudice vagliare in concreto il senso letterale delle parole e della volontà del dichiarante contenuti nella comunicazione al fine di accertare la reale natura dell'atto.

Pertanto, a fronte di una errata indicazione di immediata irrogazione della sanzione del "richiamo", il giudice del merito ha accertato la reale valenza dell'atto posto in essere dal datore, non già quale provvedimento sanzionatorio, ma vero e proprio av-vio del procedimento disciplinare.

* a cura dell'avv. Gerardo Mauriello specializzato in diritto del lavoro

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