Lavoro

Licenziato per assenza ingiustificata anche se sta in carcere

Per la Cassazione, sebbene la detenzione astrattamente possa rappresentare un motivo idoneo a giustificare l'assenza, l'uomo avrebbe dovuto attivarsi per renderlo noto al datore di lavoro

di Marina Crisafi

È legittimo il licenziamento disciplinare per il lavoratore che si assenta per oltre tre giorni senza comunicarne la ragione. E ciò anche se si trova in carcere. La detenzione infatti, pur potendo essere astrattamente un motivo idoneo, non giustifica l’assenza del dipendente, il quale, per rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto attivarsi per renderlo noto formalmente e tempestivamente al datore di lavoro. Questo quanto si ricava dalla sentenza n. 13383/2023 della sezione lavoro della Cassazione.

  La vicenda
A ricorrere al Palazzaccio è un tecnico dell’Asl avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce che aveva respinto l’impugnazione del licenziamento irrogatogli per assenza ingiustificata dal servizio protrattasi per un tempo superiore a tre giorni.

L’uomo lamenta, tra l’altro, di essere stato ristretto in carcere e che il datore di lavoro era a conoscenza del suo stato di detenzione avendolo appreso dalla moglie.

  La decisione
La Cassazione ritiene le doglianze infondate.
La Corte territoriale, per gli Ermellini, infatti, «ha motivato il proprio convincimento in ordine alle caratteristiche che deve possedere la comunicazione del lavoratore circa l'assenza dal servizio (tempestiva, efficace ed esaustiva, nel senso di indicare i motivi dell'assenza e la sua durata presumibile) per essere funzionale, in modo da consentire al datore di approntare la sostituzione e comunque di riorganizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente».

Nel caso di specie, il fatto che il direttore amministrativo avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore la circostanza che lo stesso era stato tratto in arresto, non poteva assumere rilievo, perché l'informazione era incompleta e inidonea a consentire al datore le valutazioni di competenza, difettando la ragione dell'arresto, la natura (cautelare o definitiva), la durata (breve o lunga).

Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

 

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