Lite all’anagrafe e su Facebook: l’oltraggio al pubblico ufficiale costa 5mila euro
Perdere la pazienza in coda all’ufficio comunale può costare caro. Lo sa bene un uomo di 27 anni della provincia di Pavia condannato a risarcire 5mila euro di danni al responsabile dell’ufficio anagrafe per averlo definito «maleducato» e «ignorante». La lite era iniziata allo sportello per il rilascio di una nuova carta di identità ed era finita su Facebook dove l’uomo si era sfogato sulla bacheca del Comune, apostrofando il capo ufficio dell’anagrafe come «una persona maleducata che non conosce molto bene le procedure» e «veramente ignorante sia nei modi sia nelle parole. Se assumete personale così meglio chiudere».
La sentenza
Per il Tribunale di Pavia, sentenza 468 del 14 marzo scorso (giudice Marzocchi), la condotta dell’uomo integra gli estremi dell’oltraggio a pubblico ufficiale e della diffamazione aggravata, meritevole del risarcimento del danno. L’epiteto «maleducato» ha, infatti, un’oggettiva portata offensiva e il responsabile dell’ufficio anagrafe, nell’esercizio delle proprie funzioni, riveste la qualifica di pubblico ufficiale. La frase «persona veramente ignorante» allude all’incompetenza professionale e si traduce in «un pesante attacco personale che colpisce la sfera professionale e privata» della vittima.
La controversia
Il diverbio era nato perché l’impiegato si rifiutava di riconoscere la validità di una denuncia di smarrimento della carta di identità presentata in Spagna, invitando l’utente a riproporla in Italia. Da qui la discussione, alla presenza di altre persone. Dopo il diverbio l’utente veniva fatto allontanare con l’invito a tornare dopo aver presentato una nuova denuncia ai carabinieri. La vicenda sembrava conclusa: il cittadino si ripresentava nella stessa giornata riuscendo ad avere in tempo reale un nuovo documento di identità. Ma il risultato non lo aveva soddisfatto, tanto da indurlo a lasciare la propria “recensione” offensiva sulla bacheca del Comune.
A incastrare l’utente la testimonianza delle persone presenti al diverbio e di chi aveva letto il post su Facebook. Non vale a escludere il risarcimento del danno la circostanza che l’uomo non avesse indicato su Facebook il nome del responsabile dell’ufficio anagrafe, visto che era ampiamente riconoscibile dal contesto della frase, senza che si dovesse far ricorso a «intuizioni o congetture». Per il giudice la giurisprudenza è pacifica: la diffamazione a mezzo social network tramite messaggi pubblicati sulla “bacheca” di un iscritto è ben visibile e può diventare incontrollabile, pertanto l’autore dell’illecito è obbligato a risarcire il danno morale causato alla vittima.
Tribunale di Pavia, sentenza 468 del 14 marzo 2019