Penale

ll no alle white list apre al controllo giudiziario, la Cassazione mette un punto fermo

La giurisprudenza si era divisa sulla parificazione con l’interdittiva antimafia

di Giovanbattista Tona

La sentenza con cui la Corte di Cassazione ha stabilito che il controllo giudiziario volontario può essere richiesto al tribunale sezione misure di prevenzione anche dall’impresa alla quale sia stato negato il rinnovo dell’iscrizione alla white list (si veda il Sole24ore del 20 gennaio), anche se espressa da una sezione semplice sembra un definitivo approdo verso la parificazione dell’interdittiva antimafia e della white list ai fini dell’applicazione del controllo giudiziario (articolo 34bis comma 6 del Codice antimafia).

Con la sentenza 2156 del 19 gennaio scorso la seconda sezione della Corte di Cassazione ha, infatti, aperto altri spazi applicativi per l’istituto disciplinato dall’articolo 34bis comma 6 del Dlgs 159/2011 (Codice antimafia) e introdotto dalla legge 161 del 2017 per consentire alle imprese colpite da interdittiva prefettizia antimafia di proseguire l’attività sotto il controllo dei giudici della prevenzione in pendenza del giudizio amministrativo di impugnativa di quel provvedimento.

La questione

La norma si riferisce espressamente all’informativa antimafia di cui all’articolo 84 del Dlgs 159/2011 e questo dato letterale, secondo molti giudici di merito, fissava una tassativa limitazione ai soli destinatari di questo provvedimento, gli effetti pregiudizievoli del quale, d’altronde, la speciale misura di prevenzione del controllo volontario era destinata a sospendere. Ma l’articolo 1, comma 53, della legge 190/2012 prevede che per le attività «maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa» sia richiesta l’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52, la cosiddetta white list, per stipulare contratti (o subcontratti) relativi a servizi, lavori e forniture pubblici.

Il diniego di iscrizione costituisce, quindi, elemento ostativo alla contrattazione con la pubblica amministrazione. Ciò aveva indotto diversi imprenditori, banditi da quell’elenco, ad impugnare il provvedimento di diniego dinanzi al giudice amministrativo e a chiedere alle sezioni misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario volontario per evitare i pregiudizi derivanti da quel provvedimento.

Giurisprudenza divisa

Gli orientamenti dei giudici di merito non furono omogenei. Lo segnalò l’Unione delle camere penali il 25 ottobre 2019 durante un’audizione dinanzi alla Commissione antimafia, evidenziando che all’epoca solo i tribunali di Catanzaro e di Santa Maria Capua Vetere avevano accolto le istanze degli imprenditori, interpretando estensivamente l’istituto ex articolo 34bis del Codice antimafia. E la Commissione nella sua relazione sull’analisi delle procedure di gestione dei beni sequestrati e confiscati, approvata il 5 agosto 2021, aveva riproposto con favore questo orientamento applicativo.

Frattanto anche il Tribunale di Bologna con un decreto del 7 settembre 2020, richiamato dalla stessa Cassazione, aveva aderito all’interpretazione estensiva, sottolineando come interdittiva e diniego di iscrizione alla white list siano fondati entrambi sulla sussistenza di un pericolo di infiltrazione e/o di attività agevolativa dell’impresa nei confronti della criminalità organizzata.

Su altro fronte il Consiglio di Stato aveva già affermato nella sentenza 492 del 2018 che «l’unicità e l’organicità del sistema normativo antimafia vietano all’interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi - quello della cosiddetta white list e quello delle comunicazioni antimafia - che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di cosiddetta stretta interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia». E questo monito era stato rinnovato dall’adunanza della prima sezione del Consiglio di Stato in sede consultiva del 12 maggio 2021, ricordando che «le disposizioni relative all’iscrizione nella cosiddetta white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal Codice antimafia per le misure antimafia».

L’apertura della Cassazione

Su questa linea adesso l’autorevole intervento della Cassazione, per quanto ancora pronunciato da una sezione semplice, sembra un definitivo approdo verso la parificazione delle due situazioni ai fini dell’applicazione dell’articolo 34bis comma 6 del Codice antimafia; unica scelta interpretativa, queste, che, come segnalano i giudici di legittimità, «consente di dare una lettura coerente e sistematica a tutta la normativa antimafia, in una prospettiva costituzionalmente orientata che consenta il superamento di una contraddittorietà intrinseca ed una irragionevole disparità di trattamento».

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