Lo stato dell'arte a due anni dall'approvazione della legge “Gelli”
a cura dell' avv. Gabriele Chiarini, Studio Legale Chiarini
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Diritto24, Gabriele Chiarini | 22/11/2019
1. I profili generali e le norme di diritto amministrativo
Com'è noto, l'8 marzo 2017 è stata definitivamente approvata la legge n. 24/2017, nota ai più come legge “Gelli” (dal nome di uno dei suoi firmatari), recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
La legge è entrata in vigore il 1° aprile 2017, in difetto di norme di diritto intertemporale (fatta eccezione per le disposizioni – a dire il vero ancora inattuate – in tema di “Azione diretta del soggetto danneggiato” contro l'impresa di assicurazione, di cui all'art. 12).
L'art. 1 del provvedimento afferma con enfasi l'importanza della sicurezza delle cure in sanità e la necessità di perseguirla nell'interesse dei singoli e della collettività; prosegue specificando che la sicurezza delle cure si realizza anche con idonee attività di prevenzione e di gestione del rischio sanitario (cd. risk management); termina precisando che la prevenzione del rischio deve essere attuata con la collaborazione di tutto il tutto il personale dipendente e dei liberi professionisti che operano in regime di convenzione con la Struttura sanitaria.
Dopo questa (invero un po' retorica) declamazione di principio, la legge prosegue nel suo impianto concretamente precettivo, dettando una serie di norme che possiamo raggruppare in quattro aree:
a) regole di natura amministrativa;
b) regole di carattere sostanziale, dedicate alla responsabilità penale e a quella civile;
c) regole processuali;
d) regole attinenti ai profili assicurativi.
1.1. Il Garante per il diritto alla salute
La legge (art. 2) conferisce delega alle Regioni ai fini dell'istituzione del “Garante per il diritto alla salute”, le cui funzioni vengono tuttavia demandate ad un organo già esistente: il Difensore civico regionale, già definito ironicamente da Qualcuno come il “cimitero degli avvocati”.
Non si tratta, evidentemente, di una figura determinante quanto a poteri ed efficacia di azione. Per quello che ci risulta, fino ad oggi, soltanto due Regioni hanno attuato la delega (Lombardia e Campania).
1.2. L'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità
Si è, invece, già insediato il 22/03/2018, presso la sede dell'AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), l'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, previsto all'art. 3 della legge n. 24/2017.
Questo organismo avrà il compito di raccogliere e conservare i dati relativi agli eventi avversi e ai rischi sanitari, nonché al contenzioso ad essi relativo, al fine di comprenderne le cause e prevenirne la ripetizione; dovrà inoltre predisporre, in collaborazione con le società scientifiche e le associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, apposite linee di indirizzo in tema di risk management, individuando idonee misure per la formazione e l'aggiornamento del personale sanitario.
L'attività dell'Osservatorio dovrà essere trasfusa in una relazione, che il Ministro della salute trasmetterà annualmente alle Camere.
1.3. Trasparenza dei dati
L'art. 4 della legge n. 24/2017, intitolato “Trasparenza dei dati”, introduce l'obbligo per le Strutture di pubblicare sul proprio sito internet i dati relativi a tutti i risarcimenti erogati nell'ultimo quinquennio, dato invero del tutto inidoneo a testimoniare la reale efficienza di una Azienda sanitaria.
Di maggior interesse è la disposizione, contenuta nel medesimo art. 4, che contempla l'obbligo – invero, per la nostra esperienza, ancora largamente inevaso entro i tempi prescritti – di fornire copia della documentazione sanitaria relativa al paziente (in primis: la cartella clinica), preferibilmente in formato elettronico, entro sette giorni dalla presentazione della relativa richiesta, con una seconda chance per fornire “eventuali integrazioni” entro il termine massimo di trenta giorni.
Piuttosto rilevante è, infine, la portata precettiva dell'ultimo comma dell'art. 4, che – modificando il regolamento di polizia mortuaria di cui al D.P.
R. n. 285/1990 – ha introdotto la possibilità per i familiari del paziente deceduto di “concordare con il direttore sanitario o sociosanitario l'esecuzione del riscontro diagnostico”, e di far partecipare alle operazioni un medico (legale) di propria fiducia.
Com'è noto a tutti gli operatori del settore, l'esame del cadavere e la valutazione della causa di morte rappresenta, spesso, un momento centrale ai fini dell'istruzione di una vicenda di ipotetica responsabilità medico-sanitaria. E' dunque senz'altro appropriato che sia stato consentito ai familiari di partecipare al riscontro diagnostico, che di regola veniva esperito dalla Struttura sanitaria senza alcun contraddittorio. Non essendo previsto, tuttavia, alcun obbligo per la Direzione sanitaria di procedere al riscontro su istanza dei familiari, in caso di diniego a costoro non resterà – come accadeva in passato – che chiedere al Pubblico Ministero di procedere ad autopsia nelle forme degli accertamenti tecnici non ripetibili.
1.4. Il Sistema Nazionale per le Linee Guida
Da ultimo, ma non per importanza almeno negli intenti del legislatore, è d'uopo menzionare l'introduzione – ad opera dell'art. 5 della legga n. 24/2017 – del cd. “Sistema Nazionale per le Linee Guida”.
Le “linee guida”, come i “protocolli”, le “raccomandazioni”, o le “buone pratiche”, rappresentano le modalità tecniche, diagnostiche, esecutive, ovvero le prassi condivise dalla comunità scientifica per il trattamento di un determinato stato patologico. Esse configurano il parametro di riferimento al quale deve essere comparata la condotta tenuta dall'operatore sanitario: se si ravvisa una divergenza è verosimile ritenere che sia ravvisabile la colpa.
Ma dove si trovano le “linee guida”?
Fino ad oggi, le abbiamo sempre reperite nelle pubblicazioni scientifiche: manuali, atti di convegni, letteratura diffusa e apprezzata su fonti di rilievo nazionale ed internazionale.
La legge n. 24/2017, nondimeno, ha inteso operare una “tipizzazione” delle linee guida, pretendendo di inserirle in una banca dati tenuta dal Ministero della Salute, la quale – non a caso – è ancora assai povera di contenuti. L'intenzione, pur in ipotesi apprezzabile, del legislatore era quella di limitare l'aleatorietà del giudizio imponendo la valutazione della condotta medica in base a criteri prestabiliti.
L'opzione, ovviamente, si sta rivelando fallimentare, non soltanto perché i nostri apparati ministeriali non brillano per efficienza nella raccolta e nel progressivo aggiornamento dei dati (ricordiamo che le linee guida dovrebbero essere adeguate ogni due anni), ma soprattutto perché questo tentativo di “ingessare” il sistema della responsabilità medica contrasta con vari princìpi costituzionali (si vedano, in specie, gli artt. 24 e 32 Cost.).
Detto tentativo, inoltre, non tiene conto della variabilità dei casi, per cui esistono vicende in cui le specificità concrete impongono proprio di discostarsi dalle linee guida.
Infine, le linee guida rappresentano l'opinione del mondo scientifico su una problematica clinica, e – in un mondo globalizzato qual è quello attuale – non è pensabile che il depositario della scienza sia il Ministero della Salute.
Come è stato autorevolmente suggerito, dunque, l'unico modo per salvare l'art. 5 della legge n. 24/2017 è proporne una interpretazione costituzionalmente orientata, che valorizzi il sintagma “salve le specificità del caso concreto” contenuto nel comma 1, e garantisca ai Giudici di merito la possibilità di valutare liberamente la corrispondenza della condotta medica ai parametri di diligenza, prudenza e perizia, anche prendendo in considerazione eventuali innovazioni o conquiste più aggiornate della medicina, che siano già patrimonio della comunità scientifica benché non ancora trasfuse in pretese linee guida “col bollino blu”.
Non è un caso, del resto, se la giurisprudenza di legittimità ha già autorevolmente chiarito che: “[…] le c.d. linee guida (ovvero le leges artis sufficientemente condivise almeno da una parte autorevole della comunità scientifica in un determinato tempo) non rappresentano un letto di Procuste insuperabile.
Esse sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente. Ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (ad esempio, nel caso in cui le linee guida prescrivano la somministrazione d'un farmaco verso il quale il paziente abbia una conclamata intolleranza, ed il medico perciò non lo somministri); e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto (ad esempio, allorché le linee guida suggeriscano l'esecuzione d'un intervento chirurgico d'elezione ed il medico vi si attenga, nonostante le condizioni pregresse del paziente non gli consentissero di sopportare una anestesia totale).
Sicché, non costituendo le linee-guida un parametro rigido ed insuperabile di valutazione della condotta del sanitario, la circostanza che il giudice abbia ritenuto non colposa la condotta del sanitario che non si sia ad esse attenuto non è, di per sè e da sola, sufficiente per ritenere erronea la sentenza, e di conseguenza per ritenere ‘decisivo' l'omesso esame del contenuto di quelle linee-guida […]” (Cass. III, 30/11/2018, n. 30998).
2. La Responsabilità delle Strutture e degli Operatori Sanitari
Dopo aver dedicato i paragrafi che precedono all'esame dei profili generali e delle regole di natura amministrativa introdotte dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, approfondiamo ora le norme di carattere sostanziale dedicate:
- alla responsabilità penale degli operatori sanitari, con l'introduzione dell'art. 590-sexies c.p., intitolato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”;
- alla responsabilità civile delle Strutture e degli Operatori, che rappresentano, invero, il “cuore pulsante” del provvedimento normativo in discorso, e sono state introdotte allo scopo dichiarato di limitare la responsabilità del medico, con una rivisitazione di quasi tutti gli aspetti della responsabilità civile (ad eccezione del nesso di causa), quali:
1) l'accertamento della colpa;
2) la natura della responsabilità medico-sanitaria;
3) la liquidazione dei danni;
4) le azioni recuperatorie (regresso, surrogazione, responsabilità contabile, benché la legge parli – impropriamente – di “rivalsa”).
2.1. La responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria
L'art. 6 della legge “Gelli”, rubricato “Responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria”, ha introdotto nel codice penale l'art. 590-sexies, del seguente tenore letterale:
“Art. 590-sexies c.p.
(Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario).
Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.
Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Dunque, la legge ha introdotto una causa di non punibilità per il medico, la cui condotta imperita abbia causato la morte del paziente o lesioni personali al medesimo, purché siano state rispettale le cd. linee guida accreditate (beninteso: sempre che esse fossero adeguate al caso concreto).
La norma aveva sin da principio suscitato notevoli perplessità: se, infatti, la colpa è una devianza dalla regola di condotta, riesce arduo comprendere come potesse essere in colpa il sanitario che avesse rispettato le regole prescritte dalle linee guida. Non a caso, si erano levate talune voci secondo cui la norma doveva ritenersi inapplicabile, poiché intrinsecamente contraddittoria. Dire che il medico non risponde per imperizia se è stato perito (perché ha rispettato le linee guida) è un non senso, logico prima che giuridico.
Com'è noto, la questione è stata definitivamente risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione Penale (Sentenza 22/02/2018, n. 8770), le quali hanno chiarito come la causa di non punibilità prevista dal nuovo art. 590 sexies c.p. operi nei soli casi in cui l'Operatore Sanitario abbia correttamente individuato e adottato le linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve (da imperizia) nella mera fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.
La causa di non punibilità, per contro, risulta inapplicabile:
a) se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
b) se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando non esistono linee-guida per il caso concreto;
c) se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto;
d) se l'evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell'esecuzione delle linee-guida, ancorché adeguate al caso concreto.
Giova infine precisare che, ad onta delle intenzioni del legislatore, l'attuale previsione risulta meno favorevole rispetto a quanto precedentemente stabilito dall'art. 3 del cd. d.l. “Balduzzi” (d.l. 13/09/2012, n. 158, oggi abrogato), in relazione ai comportamenti del s
sanitario connotati da negligenza o imprudenza con configurazione di colpa lieve, che – per il citato decreto “Balduzzi” – erano esenti da responsabilità in caso di rispetto delle linee guida o delle buone pratiche accreditate (cfr., da ultimo, Cass. Pen. IV, Sentenza 08/01/2019, n. 412), mentre sono tornati a configurare illecito penale dopo la novella del 2017.
2.2. La responsabilità civile: il “doppio binario” per le Strutture e per gli Operatori Sanitari
Come accennato in premessa, l'art. 7 della legge “Gelli” ha ridisegnato la disciplina della responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria. In particolare:
- al comma 1, ha confermato la natura contrattuale della responsabilità della Struttura Sanitaria, stabilendo che “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”;
- al comma 3, ha demolito la teoria del cd. “contatto sociale”, statuendo la natura extracontrattuale della responsabilità dell'Operatore Sanitario (non scelto dal paziente), laddove prevede che “l'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”.
Com'è noto, le principali differenze tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale attengono:
1) al regime dell'onere della prova:
- a carico del debitore-danneggiante nella responsabilità contrattuale;
- a carico del danneggiato nella responsabilità extracontrattuale;
2) alla prescrizione dell'azione risarcitoria:
- decennale in caso di responsabilità contrattuale;
- quinquennale in caso di responsabilità extracontrattuale;
3) al danno risarcibile:
- limitato a quello prevedibile nella responsabilità contrattuale;
- potenzialmente illimitato nella responsabilità extracontrattuale.
La formulazione dell'art. 7 legge “Gelli” non lascia dubbio alla constatazione che si tratti di norma di diritto sostanziale, cui non si applica il principio “tempus regit actum” (di stampo processuale). Dunque, in mancanza di regole di diritto intertemporale, potrebbero verificarsi casi di domande giudiziali proposte nei confronti di medici – ed istruite – in conformità all'art. 1218 c.c. (responsabilità contrattuale), ma che dovrebbero essere decise ex art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale), dal momento che la qualificazione della domanda deve effettuarsi secondo le norme vigenti alla data della pronuncia. L'iniquità patente di tale ipotesi impone un intervento correttivo del Giudice, volto a tutelare il legittimo affidamento della parte processuale e ad assicurare la lealtà della P.A., princìpi che affondano le radici negli artt. 3 e 97 Cost.
Ad ogni modo, è chiaro che il previsto differente regime di responsabilità induce il soggetto ipoteticamente danneggiato dall'attività sanitaria ad evitare con cura la chiamata in causa del singolo Operatore, e a rivolgersi direttamente alla Struttura per reclamare il risarcimento dei danni da “malasanità”, vedendosi così assicurare una serie di privilegi in sede processuale, primo dei quali è quello attinente all'onere della prova: non è il paziente a dover provare l'errore medico, ma è l'Ospedale a dover dimostrare la propria assenza di colpa, con la conseguenza che – in caso di dubbio sulla qualità dell'assistenza sanitaria – la colpevolezza della Struttura resterà confermata.
2.3. Le regole in tema di liquidazione del danno
L'art. 7, comma 4, della legge “Gelli” – in ciò confermando la previsione già introdotta dal menzionato (ed oggi abrogato) d.l. n. 158/2012, detto”Balduzzi” – ha specificato quanto segue:
“Il danno conseguente all'attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo”.
Dunque, il danno da responsabilità medica deve essere liquidato utilizzando le tabelle previste dal “Codice delle assicurazioni private” in tema di incidenti stradali, notoriamente assai riduttive rispetto alla analoga Tabella adottata dal Tribunale di Milano. In proposito, va ricordato che soltanto l'art. 139 del d.lg. n. 209/2005 risulta aver trovato attuazione, in tema di lesioni cd. “micropermanenti” (o di lieve entità: vale a dire, con un danno biologico permanente pari o inferiore al 9%); il legislatore – bontà sua – non ha ancora trovato il tempo, a 14 anni dall'entrata in vigore del “Codice delle assicurazioni private”, di dare attuazione all'art. 138 d.lg. n. 209/2005, in tema di lesioni cd. “macropermanenti” (o di non lieve entità: vale a dire, con danno biologico permanente superiore al 9%). Perciò, alle lesioni “macropermanenti” continua – sino a nuove disposizioni normative – ad applicarsi la Tabella milanese.
Con riferimento alla posizione del singolo Operatore Sanitario, abbiamo anticipato al paragrafo che precede come l'art. 7, comma 3, della legge “Gelli” qualifichi la sua responsabilità nei termini di una responsabilità extracontrattuale. Il medesimo art. 7, comma 3, prosegue – al secondo periodo – specificando che “Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall'articolo 6 della presente legge”. Sul significato di tale (arcana) disposizione ci si è molto interrogati: qualcuno ha ipotizzato che l'errore esecutivo per imperizia lieve (ma con, alla base, la giusta scelta delle linee guida) debba indurre il Giudice civile a ridurre il risarcimento dovuto; altri hanno suggerito addirittura che, così come viene in tal caso elisa la responsabilità penale, del pari debba escludersi del tutto il diritto al risarcimento del danno.
E' chiaro che queste opzioni ermeneutiche sono improponibili, per diversi ordini di ragioni, e segnatamente perché:
- nei lavori parlamentari della legge non si rinviene alcun cenno a questa pretesa intenzione (interpretazione storica);
- così opinando, si ridurrebbe l'area dei danni risarcibili, in contrasto con quanto dichiarato dall'art. 1 della stessa legge (interpretazione sistematica);
- da ultimo, si esenterebbe taluno dalla responsabilità risarcitoria per la lesione della salute che – come insegna la Corte Costituzionale – è un diritto inviolabile e valido erga omnes (interpretazione costituzionalmente orientata).
E' questo, ad ogni modo, un ulteriore argomento che suggerirà al legale del paziente danneggiato di citare in giudizio la sola Struttura Sanitaria responsabile per l'operato del Medico, e non quest'ultimo personalmente.
2.4. Il regresso, la surrogazione e la responsabilità contabile
L'art. 9 della legge n. 24/2017 è rubricato “Azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa”.
Ora, com'è noto ai più, il termine “rivalsa” non gode di autonomo rilievo dogmatico. Le azioni cd. recuperatorie sono tipicamente connesse ai due tradizionali istituti di diritto civile del:
- regresso di cui all'art. 1299 c.c., in forza del quale il debitore in solido – che ha pagato l'intero debito – acquista un (nuovo) diritto di credito a ripetere dai coobbligati la rispettiva quota, e della
- surrogazione di cui agli artt. 1201 e 1203 c.c., che prevedono il subentro del debitore solvente (ad es.: l'Ospedale) nel (medesimo) diritto di credito già spettante al creditore soddisfatto (ad. es.: il paziente).
Bene, la legge ha introdotto una serie di condizioni e limiti per l'esercizio dell'azione recuperatoria da parte della Struttura Sanitaria nei confronti dell'Operatore Sanitario, che cercheremo di riassumere sinteticamente come segue:
- quanto all'ambito applicativo, la Struttura non può esercitare alcuna azione di regresso né surrogarsi contro il medico pubblico dipendente; l'art. 9, comma 5 della legge “Gelli” ha infatti previsto che l'azione di responsabilità amministrativa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria deve essere esercitata dal Pubblico Ministero presso la Corte dei conti;
- quanto ai limiti, si tratta di:
a) limiti oggettivi, perché la “rivalsa” può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave;
b) limiti causali, perché la “rivalsa” non compete quando il sinistro si è verificato per disfunzioni o carenze organizzative direttamente imputabili alla Struttura Sanitaria;
c) limiti temporali, perché la “rivalsa” deve essere esercitata – qualora il Medico non sia stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale – entro un anno dall'avvenuto pagamento (a pena di decadenza); inoltre, ai sensi dell'art. 13 legge “Gelli”, la Struttura deve dare avviso al Sanitario del contenzioso con il paziente entro 45 giorni dal relativo avvio (a pena di inammissibilità delle azioni di “rivalsa” o di responsabilità contabile);
d) limiti quantitativi, perché la “rivalsa” non può eccedere (salvo il caso di dolo) un importo pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda spettante al Sanitario al momento dei fatti.
3. La disposizioni dedicate ai profili assicurativi e al Fondo di Garanzia per i danni da responsabilità medico-sanitaria
Abbiamo sinora analizzato le principali questioni problematiche sollevate dalla legge 8 marzo 2017 con specifico riferimento ai profili generali e alle regole di natura amministrativa, nonché alle norme in tema di responsabilità penale e civile degli esercenti le professioni sanitarie.
Cerchiamo adesso di delineare le novità introdotte in materia di assicurazione (assertivamente obbligatoria) della Struttura e del Medico, nonché di dedicare qualche cenno all'(ancora inoperante) azione diretta del danneggiato contro l'impresa di assicurazione e al cd. “Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria” (che invero attende di venire alla luce!).
3. La disposizioni dedicate ai profili assicurativi e al Fondo di Garanzia per i danni da responsabilità medico-sanitaria
Abbiamo sinora analizzato le principali questioni problematiche sollevate dalla legge 8 marzo 2017 con specifico riferimento ai profili generali e alle regole di natura amministrativa, nonché alle norme in tema di responsabilità penale e civile degli esercenti le professioni sanitarie.
Cerchiamo adesso di delineare le novità introdotte in materia di assicurazione (assertivamente obbligatoria) della Struttura e del Medico, nonché di dedicare qualche cenno all'(ancora inoperante) azione diretta del danneggiato contro l'impresa di assicurazione e al cd. “Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria” (che invero attende di venire alla luce!).
3.1. L'obbligo di assicurazione per le Strutture Sanitarie (e le misure alternative che consentono di non doverlo assolvere)
Cominciamo col dire che non è vero che sia stato introdotto un obbligo di assicurazione per le Strutture Sanitarie. Infatti, ad onta di quanto perentoriamente declamato dalla rubrica dell'art. 10 legge “Gelli” (”Obbligo di assicurazione”), la norma ha previsto che le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private debbano essere provviste di copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d'opera, “o di altre analoghe misure”.
La previsione dell'obbligo di assicurazione, dunque, riveste natura meramente formale, in quanto la Struttura Sanitaria ha facoltà di optare per altre misure di gestione della responsabilità medico-sanitaria, in conformità a prassi già instaurate prima dell'entrata in
vigore della legge 24/2017, quali la creazione di “fondi destinati” ed altri sistemi di “autoritenzione” del rischio assicurativo o – come si suol dire – di “autoassicurazione”.
Il fatto è, tuttavia, che non esistono misure analoghe all'assicurazione per la gestione del rischio sanitario. Un “fondo destinato” non è una garanzia e non elimina il rischio di insolvenza del debitore. Neppure la fideiussione, per assurdo, sarebbe in grado di eliminare detto rischio, ma si limiterebbe a spostarlo (trasferendolo dal patrimonio del debitore a quello del fideiussore).
L'unico strumento negoziale che consente di dissolvere – rectius: disperdere – il rischio di insolvenza è, invero, il contratto di assicurazione. Pertanto, la previsione della possibilità di scegliere misure alternative all'assicurazione (misure che, come detto, non esistono) svuota, di fatto, la portata precettiva della norma che intenderebbe imporre alle Aziende Sanitarie l'obbligo assicurativo.
3.2. Lo stato di (in)attuazione dell'art. 10 legge “Gelli”
A quasi due anni di distanza dall'approvazione del provvedimento normativo, nessuno dei regolamenti attuativi previsti dall'art. 10 legge 24/2017 risulta emanato dai Ministeri competenti. In particolare:
- non è stato emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute, che dovrebbe definire criteri e modalità per la vigilanza e il controllo dell'IVASS sulle imprese di assicurazione che intendano operare in àmbito sanitario (art. 10, comma 5, legge 24/2017);
- non è stato emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previe intese con vari Enti ed Associazioni di categoria, che dovrebbe determinare i requisiti minimi delle polizze assicurative e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio (art. 10, comma 6, legge 24/2017);
- non è stato emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e sentito l'IVASS, che dovrebbe individuare i dati relativi alle polizze di assicurazione stipulate e alle altre analoghe misure, stabilire modalità e termini per la loro comunicazione all'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, e per l'accesso a tali dati (art. 10, comma 7, legge 24/2017).
Di fatto, dunque, le Strutture Sanitarie possono decidere oggi di assicurarsi, come di non assicurarsi; di operare in autoritenzione del rischio, con o senza l'accantonamento di un “fondo destinato”: nessuno potrà mai sindacare la legittimità di queste scelte, e nessuna sanzione potrà mai essere applicata laddove dette scelte si rivelassero irrazionali.
Non sono infrequenti, d'altronde, le ipotesi in cui le Aziende Sanitarie omettono ingiustificatamente il pagamento di somme cui sono state condannate, foss'anche con sentenza passata in giudicato, costringendo talvolta gli aventi diritto ad intraprendere onerosi giudizi di ottemperanza. E questo in forza del disposto (richiamato dalla stessa legge “Gelli” all'art. 10, comma 6, ultimo periodo) dell'art. 1, comma 5, del d.l. 18/01/1993, n. 9, a mente del quale:
“Le somme dovute a qualsiasi titolo alle aziende sanitarie locali e
ospedaliere e agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non sono sottoposte ad esecuzione forzata nei limiti degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze comunque spettanti al personale dipendente o convenzionato, nonché nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell'erogazione dei servizi sanitari […]. A tal fine l'organo amministrativo dei predetti enti, con deliberazione adottata per ogni trimestre, quantifica preventivamente le somme oggetto delle destinazioni previste nel primo periodo”.
3.3. L'azione diretta del soggetto danneggiato e il Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria
Parimenti inattuate sono rimaste le due previsioni, potenzialmente assai significative, in materia di azione diretta e di Fondo di garanzia.
L'art. 12 legge “Gelli” prevede, come noto, che il soggetto danneggiato abbia diritto di agire direttamente, entro i limiti del massimale, nei confronti dell'impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa alla Strutture Sanitarie o all'Operatore responsabile del danno. Sennonché, detta disposizione non può ancora dispiegare la propria efficacia, perché dovrebbe entrare in vigore con l'approvazione del decreto ministeriale di cui al comma 6 dell'articolo 10, che allo stato – come detto – non è stato emanato.
L'art. 14 legge “Gelli” ha, poi, meritoriamente disposto l'istituzione di un “Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria”, alimentato dal versamento di un contributo annuale dovuto dalle imprese assicuratrici operanti nel ramo, destinato a risarcire il danno in caso di esubero rispetto al massimale assicurativo, di insolvenza della compagnia, o di assenza di copertura assicurativa per recesso dell'impresa o per sopravvenuta cancellazione dall'albo della medesima. Di tale Fondo, tuttavia, non si sa nulla: nessuno dei decreti ministeriali che lo riguardano è stato emanato ed è pertanto ancora inoperante. Anche quando verrà alla luce, ad ogni modo, esso concorrerà al risarcimento del danno “nei limiti delle effettive disponibilità finanziarie” (art. 14, comma 3, legge 24/2017).