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Locazioni, abuso del diritto per il locatore che esige anni di arretrati mai chiesti in un'unica soluzione

Lo ha affermato la Corte di cassazione con la sentenza n. 16743 depositata oggi affermando un principio di diritto

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di Francesco Machina Grifeo

"In un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo l'assoluta inerzia del locatore nell'escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei a ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia, la improvvisa richiesta di integrale pagamento costituisce esercizio abusivo del diritto". Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 16743 depositata oggi, affermando un principio di diritto.

Con una lunga dissertazione giuridica, la Terza Sezione civile (Presidente Graziosi; Relatore Fiecconi), ha chiarito che a tale approdo si arriva per l'applicazione del principio di "buona fede nell'esecuzione del contratto" (articoli 1175 e 1375 cod. civ.). Esso infatti, prosegue la Corte, "legittima in punto di diritto l'insorgenza in ciascuna parte dell'affidamento che, anche nell'esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive ed esecuzione continuata, ciascuna parte si comporti nella esecuzione in buona fede, e dunque rispettando il correlato generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, anche a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere generale del neminem laedere".

Il caso era quello di una srl a gestione familiare che aveva dato in locazione un appartamento di proprietà della società al figlio del socio maggioritario, anch'egli socio della azienda. A seguito di una serie di vicissitudini familiari, tra cui il divorzio del giovane con l'assegnazione della casa alla ex e l'avvio di una procedura esecutiva ai suoi danni per il mancato pagamento degli alimenti, la srl aveva intimato lo sfratto per mancato pagamento dei canoni e chiesto il pagamento di tutti gli arretrati. La Corte di appello di Milano nell'accogliere parzialmente il ricorso del conduttore, condannato in primo grado a pagare oltre 200mila euro, ha ritenuto non irrilevante la circostanza che nel corso del rapporto fosse stata per lungo tempo omessa ogni richiesta di pagamento del corrispettivo, ed in particolare dalla stipulazione del contratto nel 2004 sino al 29 giugno 2011 (data della prima richiesta connessa allo sfratto per morosità, il rilascio è poi avvenuto nel 2013). E dunque facendo riferimento a precedenti giurisprudenziali che si fondano sulla tutela dell'affidamento ingenerato nella controparte, la Corte di merito ha ritenuto non dovuti i canoni maturati fino alla prima richiesta di pagamento (luglio 2011).

Insomma, la protratta inerzia del creditore riguardo ai 126mila euro maturati "avrebbe concretizzato un comportamento di salvaguardia dell'interesse del debitore senza imporre un apprezzabile sacrificio a carico del creditore, mentre il debitore, a fronte dell'inaspettata richiesta di pagamento dell'importo sino ad allora maturato e mai richiesto dal creditore per circa sette anni, si sarebbe viceversa improvvisamente trovato a dover fronteggiare una richiesta per una somma che con il trascorrere del tempo era divenuta esorbitante". Un elemento quella della richiesta "repentina" sui cui insiste la Corte per legarlo al tema dell'abuso del diritto, richiamando un istituto giuridico di matrice tedesca la "Verwirkung" che, affermano i giudici, può trovare ingresso nel nostro ordinamento proprio di fronte ad un revirement rispetto ad una precedente ed opposta modalità di comportamento del locatore.

Nel caso in esame, infatti, argomenta la Cassazione, "non è stato il silentium in quanto tale la manifestazione di assoluta rinuncia al diritto della locatrice, quale espressione contrattuale di volontà tacita nella forma di comportamento concludente. Piuttosto, l'esercizio repentino del diritto installatosi in una circostanziata situazione di maturato affidamento della sua intervenuta abdicazione, correlata a un assetto di interessi pregresso, ha integrato un abuso del diritto e la negazione di tutela dell'interesse di controparte in considerazione di sopravvenute circostanze … pacificamente non collegate al contratto".

"Nella fattispecie locatizia, in generale - argomenta la Corte -, quello che può evidentemente essere idoneo a costruire l'affidamento del conduttore nel senso di una oggettiva rinuncia è un comportamento del locatore di totale inerzia nella riscossione delle pigioni maturate per un protratto periodo di tempo. Come, peraltro, a contrario, si verifica nel caso di cui all'articolo 1458 cod.civ., primo comma, con riguardo agli effetti retroattivi della risoluzione del contratto ad esecuzione continuata, la progressività dell'esecuzione incide altresì sulla pregnanza della condotta del creditore nella fase esecutiva, e conduce quindi alla percezione di questa come oggettiva abdicazione del potere di far valere il diritto, rinuncia che riguarda, appunto, la fase esecutiva mentre, naturalmente, non ha relazione con un mutuo dissenso dal contratto, che rimane ‘in piedi' ed è in grado di riprendere vita, come è avvenuto nella presente vicenda quando la locatrice ha modificato repentinamente la sua condotta di inerzia settennale".

In siffatto contesto, collegato alla causa del contratto di locazione e alla protratta inerzia del locatore nel richiedere il pagamento del corrispettivo di locazione per oltre sette anni, prosegue la decisione, "la repentina richiesta di adempimento per la parte del credito eventualmente non caduta in prescrizione è da valutarsi alla stregua dell'esercizio abusivo del diritto, e dunque in violazione di obblighi solidaristici collegati alla salvaguardia dell'interesse del conduttore a non perdere una acquisita situazione di vantaggio determinatasi a suo esclusivo favore, laddove non si dimostri di avere sino a quel tempo comportato un apprezzabile sacrificio per il locatore, rimasto inerte sin dall'origine, a fronte del grave onere imposto repentinamente sulla controparte".

Ragionando secondo questi principi, quindi, per la Suprema Corte, è sostenibile che un credito nascente da un rapporto ad esecuzione continuata, mai preteso sin dall'origine del rapporto negoziale, anche se formalmente menzionato nelle scritture contabili di una società a responsabilità limitata per più esercizi, in assenza di altri indici di segno contrario, possa ugualmente costituire un fattore di generazione di un affidamento di oggettiva rinuncia del credito sino ad allora maturato nei confronti del socio. "Pertanto – conclude la sentenza -, la repentina richiesta di adempimento dell'obbligazione di pagamento, indipendentemente dalla presenza di indici idonei a denotare una volontà di rinuncia del medesimo, se corrispondente a una situazione di palese conflittualità tra socio (allora ex socio) e gli altri soci, non giustificata da altri fattori, costituisce un abuso del diritto ove riveli l'intento di arrecare un ingiustificato nocumento".

Perché ciò che conta, in definitiva, è che la valutazione dell'atto teso a far rivivere l'obbligazione sia ricondotta alla "conflittualità" esistente tra le parti.

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