Giustizia

Magistrati: trasferimento e cambio di funzioni non bloccano la “riabilitazione”

Lo hanno chiarito le Sezioni unite della Cassazione, ordinanza n. 3652 depositata oggi, accogliendo il ricorso di un ex procuratore sanzionato con la “censura” e trasferito ad altra sede con il ruolo di giudice

Sede del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), Roma, 8 novembre 2017. ANSA/GIUSEPPE LAMI

di Francesco Machina Grifeo

Possibile la “riabilitazione” del magistrato sanzionato con la “censura” a cui si è aggiunto il trasferimento di sede e il cambio di funzioni. Lo hanno chiarito le Sezioni unite della Cassazione, ordinanza n. 3652 depositata oggi, accogliendo il ricorso di un magistrato contro l’ordinanza del Csm che invece aveva ritenuto l’istanza inammissibile. La Suprema corte ha però chiarito che alla riabilitazione non segue anche la “riassegnazione automatica” al vecchio ufficio, ferma restando la possibilità di chiedere il ritrasferimento.

Accolto così il ricorso di un ex sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Roma, sanzionato con la censura e trasferito al Tribunale di Viterbo, con funzioni di giudice civile, a seguito dell’accusa di aver fatto delle avances ad avvocatesse e colleghe.

Per la Sezione disciplinare del Csm la condanna non rientrava tra quelle per le quali l’art. 25-bis del Dlgs n. 109 del 2006 consente di accedere al beneficio della riabilitazione. Se è vero infatti che il beneficio è stato previsto per i fatti di “non particolare gravità” a cui conseguono le due sanzioni meno afflittive dell’ammonimento e della censura - argomentava il Csm -, nel caso specifico si versava in un’ipotesi diversa, essendo stata applicata anche l’ulteriore sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio e del cambio di funzioni (ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 109 del 2006). Così integrando, un ulteriore (e più grave) trattamento sanzionatorio, che si risolve in un vero e proprio quid pluris rispetto alla mera sanzione disciplinare principale.

Per il ricorrente tale interpretazione non sarebbe rispondente “né al senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, né all’intenzione del legislatore”.

Le S.U., per prima cosa, rilevano che la norma è “muta con riferimento all’eventuale irrogazione, insieme alla sanzione della censura, della misura – accessoria – del trasferimento d’ufficio ad altra sede con cambio di funzioni”. “Si tratta, quindi, di stabilire – proseguono - se il silenzio del legislatore precluda la riabilitazione quando alla censura consegua la misura accessoria del trasferimento di sede o di funzioni”.

Ebbene per la Suprema corte la risposta è negativa, la riabilitazione è comunque possibile. Secondo il massimo consesso, infatti, il legislatore ha inteso prescrivere che “la condanna disciplinare che ha comportato l’applicazione della sanzione disciplinare della censura, con o senza trasferimento di sede e di funzioni, perde ogni effetto dopo che siano trascorsi cinque anni dalla data in cui la sentenza disciplinare di condanna è divenuta irrevocabile, a condizione che il magistrato consegua una successiva valutazione di professionalità positiva o, se ha già conseguito la settima valutazione di professionalità, purché vi sia stata una positiva valutazione del suo successivo percorso professionale, nelle forme e nei modi stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura”.

Con la riabilitazione, precisa però la Corte, “non si assiste ad una riassegnazione automatica, eventualmente in soprannumero, alla sede dalla quale il magistrato condannato e riabilitato era stato trasferito”. “Ciò non toglie che il magistrato trasferito d’ufficio, una volta maturato il periodo di legittimazione nell’ufficio ad quem, possa ambire, al pari di ogni altro magistrato, al rientro nella sede da cui è stato trasferito (o al trasferimento in altra sede) secondo la disciplina ordinaria dei tramutamenti, ferme le valutazioni di competenza del Consiglio superiore”.

Certamente, affermano i giudici, il legislatore avrebbe potuto stabilire che l’applicazione, in aggiunta alla censura, del trasferimento di ufficio con cambio di funzioni preclude l’accesso alla riabilitazione; tale opzione, tuttavia, non è stata seguita. E allora, conclude l’ordinanza, “resecare per via interpretativa, dall’ambito delle condanne con applicazione della sanzione della censura, quelle cui segua la misura di cui all’art. 13, comma 1, significherebbe attribuire al silenzio legislativo sul punto l’implicita volontà di escludere dal beneficio chi, pur punito in misura produttiva di effetti della legge assunti tutti come reversibili, sia stato destinatario, a tutela del buon andamento della giustizia, del provvedimento ancillare di trasferimento di ufficio con cambio di funzioni. Si tratta, però, di un approdo ermeneutico in malam partem, contrario ai principi generali del sistema punitivo racchiusi nel codice di diritto penale, nel quale la riabilitazione determina l’estinzione delle pene accessorie”.

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