Penale

Maltrattamenti, anche una sola condotta agita davanti al minore aggrava il reato

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di Paola Rossi

I maltrattamenti in famiglia sono aggravati se anche una sola delle condotte viene posta in essere alla presenza di un minore o nei confronti di una donna in stato di gravidanza. E non costituisce alcuna “scriminante” dell’aggravante il fatto che il minore sia un infante. Per quanto attiene, invece, al reato di atti persecutori la Cassazione chiarisce due punti: primo che il reato risulta aggravato se commesso con minaccia “grave” e se è commesso anche in danno di minore; secondo che il ritiro della querela da parte della vittima “adulta” non ha effetti sull’azione penale: il reato, infatti, resta comunque perseguibile d’ufficio se connesso a quello agito in danno del minore.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 11097/2024 - ha perciò respinto il ricorso dell’imputato condannato a due anni e sei mesi che contestava di essere stato condannato per lo stalking nonostante la sua compagna avesse ritirato la querela inizialmente sporta contro di lui. La Cassazione ha respinto, inoltre, anche il motivo con cui il ricorrente lamentava la mancanza di una stabile coabitazione con la compagna durante la gravidanza, ciò che avrebbe escluso la contestazione del reato ex articolo 572 del Codice penale e, soprattutto, l’illegittimità dell’altra ritenuta aggravante per la presenza del figlio minore in quanto troppo piccolo per poter asserire che egli avesse subito un danno psicologico dagli eventi verificatisi alla sua presenza.

Maltrattamenti in famiglia
La Cassazione rigetta il ricorso anche in ordine al requisito della convivenza - quale presupposto del reato di maltrattamenti in famiglia - dove si faceva rilevare che era stata sporadica e che l’uomo aveva per diversi periodi abitato presso la propria madre. La Cassazione sul punto risponde che la coabitazione non è l’unico dato che dimostri una comunanza di vita tra carnefice e vittima. E, appunto, anche brevi periodi di convivenza non possono portare a escludere il presupposto “familiare” quando il reato è addirittura commesso verso la madre - anche solo futura - del proprio figlio. Inoltre, risultava che la donna si recava regolarmente a trovare l’imputato quando questi trascorreva lunghi periodi presso la casa materna a causa di restrizione domiciliare. Ciò che appunto sostanzia l’esistenza di quel legame intimo tra due persone atto a creare quell’affidamento che viene violato proprio con la condotta maltrattante.
Per quanto attiene poi al motivo difensivo che mirava a escludere l’aggravante di aver commesso il reato in presenza del figlio minore, la Cassazione spiega l’irrilevanza tanto dell’età del bambino quanto del fatto che “solo una volta” questi avrebbe assistito al comportamento maltrattante del padre verso la madre. Dice, infatti, la Cassazione che anche una volta è sufficiente a far scattare l’aggravante. Infine, sul punto della tenera età che secondo il ricorrente escluderebbe la percezione della violenza da parte del bambino, la Cassazione - rifacendosi anche agli approdi della più moderna neuropsichiatria infantile - afferma che anche se il piccolo non capisce cosa avvenga subisce comunque gli effetti e l’influenza negativa di un contesto violento.

Stalking
Il ricorrente dopo la commissione dei maltrattamenti aveva anche agito in modo persecutorio verso la ormai ex (?) compagna e i genitori di lei che la ospitavano, al fine di poter far visita al figlio. La donna aveva poi ritirato la querela, ma il giudice e ora la Cassazione hanno affermato che il reato rimaneva comunque perseguibile d’ufficio, in quanto lo stalking era stato subito anche dal minore. E ciò determina il permanere dell’azione penale, poiché il reato commesso in danno di figure adulte se è connesso a quello aggravato, che vede vittima un minore, viene attratto alla procedibilità d’ufficio.

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