Maltrattamenti in Famiglia: si configura il reato anche in assenza di assoggettamento della vittima
A fronte di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, il reato non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento tipico della fattispecie la riduzione della vittima a succube dell’agente (Cass. pen., Sez. VI, n. 809/2023)
Il reato di cui all’ art. 572 c. p , relativo ai maltrattamenti in famiglia, a parere del recentissimo orientamento della Corte di Cassazione, non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza alle condotte maltrattanti dimostrata dalla persona offesa, in primo luogo per la motivazione connessa alla mancata sussistenza fra gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, della riduzione della vittima a soggetto che subisce i comportamenti da parte del soggetto che pone in essere la condotta maltrattante (Cass. pen., Sez. VI, 12/1/2023, n. 809).
La suddetta sentenza , ha evidenziato ed osservato il principio cardine sotteso alla fattispecie di cui all’ art. 572 c. p., ossia quello per cui in tema di maltrattamenti in famiglia, a fronte di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, il reato non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento tipico della fattispecie la riduzione della vittima a succube dell’agente (Cass. pen., Sez. VI, 12/1/2023, n. 809).
La Corte, sancisce così l’assoluta irrilevanza della capacità della vittima di saper o poter sopportare le umiliazioni e vessazioni, sia in termini di gradualità della condotta che quale connotato tipico personale.
La vittima del reato ex art. 572 c. p., viene così tutelata anche da probabili condizionamenti connessi al tessuto socio culturale nel quale la stessa è inserita e si trova a contatto anche quotidianamente, in modo da escludere la possibilità di demandare ad una mera valutazione relativistica la sussistenza o meno del reato il quale verrebbe privato della sua stessa tipicità.
Il reato de quo, è caratterizzato da una condotta tipica maltrattante senza che la norma richieda in alcun modo anche la sussistenza dell ‘assoggettamento della vittima stessa ai fini di una corretta applicazione della fattispecie incriminante, quindi irrilevante ai fini del giudizio.
La persona offesa, in buona sostanza non viene così esposta neppure al giudizio da compiersi sulla gradualità della sofferenza indotta dalla condotta dell’agente ma proprio come sottolineato dai giudici nella sentenza, quel che rileva ai fini della punibilità dell’imputato è essenzialmente l’aver posto in essere una condotta oggettivamente lesiva della sfera psicofisica del soggetto che subisce.
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*A cura dell’Avv. Anna Cinzia Pani, responsabile Dipartimento Penale di A.L. Assistenza Legale