Penale

Maltrattamenti, la “tossicodipendenza” non mina l’attendibilità della vittima

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 23627 depositata oggi, chiarendo che la dipendenza la rende “vittima vulnerabile”

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di Francesco Machina Grifeo

In un giudizio per maltrattamenti la condizione di tossicodipendente della persona offesa non incide sulla sua attendibilità ma, al contrario, la rende «vittima vulnerabile». Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 23627 depositata oggi, dichiarando inammissibile il ricorso di una donna contra la sentenza della Corte di appello di Bologna che aveva confermato la condanna per maltrattamenti e lesioni aggravate ai danni della compagna.

Nel ricorso, l’imputata aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per vizio di motivazione in quanto nell’atto di appello erano stati puntualmente enunciati tutti i profili attinenti: “all’incidenza della condizione di tossicodipendenza sulla credibilità della persona offesa; alla riferibilità delle aggressioni dell’imputata all’abuso di stupefacenti della compagna e non ad intenti vessatori; all’assenza di abitualità, attesa la brevità della convivenza la presenza di due soli episodi violenti”.

Per la Suprema corte però la ricorrente, come già rilevato dal giudice distrettuale, ha soltanto “stigmatizzato la condizione di tossicodipendenza della persona offesa” che però come visto non ne mina l’attendibilità ma ne determina piuttosto la vulnerabilità.

“Il ricorso - si legge nella sentenza -, con argomenti fondati su mere asserzioni, non si confronta, in nessun passaggio, con il nucleo della sentenza del Tribunale di Modena costituito dalle gravi violenze fisiche e psicologiche imposte dall’imputata, alla compagna, a cui per mesi aveva impedito di uscire da casa e che più volte aveva picchiato anche con un bastone o con un portacenere, come comprovato da due referti medici attestanti «trauma cranico e facciale con poli secondari a violenza di genere», con prognosi di quindici giorni, e «frattura scomposta delle ossa nasali e frattura della IX costa sinistra» con prognosi di ventidue giorni”.

A fronte di “tali univoci elementi di fatto”, ammessi peraltro in un primo momento anche dalla stessa imputata nel corso del dibattimento, prosegue la Cassazione, l’atto di appello si è invece limitato: a) a prospettare aprioristici difetti di credibilità della dichiarante in base a pregiudizi discriminatori, fondati sulla condizione di tossicodipendenza della vittima, come tali inidonei ad incidere sulla prova del fatto contestato e, comunque, non rilevanti per la sua valutazione complessiva; b) a ricondurre a mera conflittualità, priva di dolo, le gravissime violenze e le forme di abituale controllo ai danni della convivente; c) a censurare, infine, come severo il trattamento sanzionatorio che il giudice di primo grado aveva puntualmente argomentato.

Da tutto ciò consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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