Marchi contraffatti, non solo l'autore ma anche l'"utilizzatore informato" commette il reato
La consapevolezza è alla base della responsabilità di chi coadiuva il venditore infedele nelle sue attività
La Cassazione ha confermato la responsabilità penale della moglie del venditore ambulante che imprimeva - al momento della vendita e a richiesta dei clienti - marchi falsi sui capi di abbigliamento. Si trattava di loghi e immagini di note serie animate stampigliate con la pressa a caldo. Una condotta che era già costata una condanna al marito ormai deceduto e che era stata proseguita dalla moglie - come accertato da controlli di polizia - una volta rimasta vedova. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 33859/2021 ha confermato la responsabilità anche di colei che non era titolare della licenza del banco, ma semplicemente addetta alla vendita.
La Cassazione riafferma il punto nodale dell'imputabilità per la spendita di marchi contraffatti in capo a chi - seppure non autore materiale del reato e non titolare della licenza di vendita - sia consapevole della falsità del marchio messo sul mercato con la sua collaborazione. La Corte si rifà alla figura giurisprudenziale dell'utilizzatore informato fattispecie che scatta con la coscienza della contraffazione che - come di regola - viene affermata in base a un giudizio di fatto sul compendio probatorio ricostruito dal giudice di merito e che non può essere contestato in Cassazione.
La Corte, in sintesi, ha riscontrato ampiamente motivata dalla sentenza impugnata la circostanza della consapevolezza della ricorrente. Il suo contributo alla spendita illegittima di marchi protetti è circostanza sufficiente per la conferma della condanna.