Civile

Mediazione delegata: l'inosservanza del termine assegnato dal giudice determina l'improcedibilità del giudizio

Una recente pronuncia del Foro parmense, riaffermandone la perentorietà, aderisce all'indirizzo di maggior rigore formale

di Federico Ciaccafava

In tema di mediazione delegata, la parte onerata ad avviare il procedimento che non osservi il termine di quindici giorni assegnato dal giudice per la presentazione della domanda di mediazione sconta la sanzione dell’improcedibilità del giudizio. Tale il principio che può essere espunto da una recente pronuncia del foro parmense che opponeva una società di persone ad una banca (cfr., Tribunale di Parma, Sezione civile, sentenza 9 febbraio 2021, n. 199 – Giudice Ioffredi).

 La decisione di tribunale di Parma
Una società in nome collettivo agisce in giudizio nei confronti di un istituto di credito. Svolta la consulenza tecnica d’ufficio contabile, il giudice rimette le parti in mediazione ai sensi degli artt. 5, comma 2, e 6 del Dlgs n. 28 del 2010. Alla successiva udienza, l’istituto di credito convenuto eccepisce l’improcedibilità del giudizio per tardiva instaurazione del procedimento di mediazione. L’eccezione, ritenuta fondata in quanto l’istanza di mediazione era stata depositata con ritardo di quasi un mese rispetto al termine di scadenza, viene accolta, con conseguente declaratoria di improcedibilità della causa.

 La chiusura in rito del processo si articola in una motivazione che, seppur concisa, è sorretta un duplice ordine di ragioni. Per apprezzarne la portata, occorre premettere che l’articolo 5, comma 2, del Dlgs n. 28 del 2010, nel fissare il regime della mediazione disposta ex officio dal giudice, consente a quest’ultimo di vincolare le parti ordinando alle stesse di avviare il procedimento di mediazione. Così, in qualunque momento – prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa ed anche in sede di giudizio di appello – valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, il giudice ben può pertanto disporre l’esperimento della mediazione che, in tale ipotesi, diverrà condizione di procedibilità della domanda giudiziale. A tal fine, precisa il dettato normativo, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine trimestrale di durata del procedimento previsto dal citato art. 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

 Tanto premesso, il giudice, per giustificare la declaratoria di improcedibilità del giudizio, afferma in primo luogo la natura perentoria del predetto termine quindicinale facendone inevitabilmente conseguire, in caso di sua inosservanza, la predetta sanzione. Infatti, si osserva, benché la norma in esame non attribuisca espressamente natura perentoria al termine in oggetto, tale natura va desunta implicitamente, considerata la severità della sanzione espressamente prevista in ipotesi di mancato esperimento della mediazione. In altri termini, come registra la decisione, sarebbe palesemente contraddittorio da un lato prevedere l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione specificandone al contempo anche il termine di avvio con il deposito dell’istanza, e dall’altro, negarne poi ogni rilevanza in caso di sua violazione.

 In secondo luogo, il giudice giustifica la definizione in rito del giudizio anche volendo aderire alla tesi che propugna il carattere ordinatorio del termine de quo. Infatti, muovendo dal principio di matrice giurisprudenziale secondo cui la proroga, anche d’ufficio, dei termini ordinatori è consentita dall’art. 154 cod. proc. civ. soltanto prima della loro scadenza, conclude che il loro decorso senza la presentazione di una istanza di proroga, determinando gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori, impedisce la concessione di un nuovo termine, fatto salvo l’istituto della rimessione in termini sempre che la decadenza si sia verificata per causa non imputabile alla parte. Nel caso di specie, pertanto, pur volendo ritenere il termine in esame quale termine ordinatorio, non avendo parte attrice, quale parte onerata a dar avvio al procedimento, formulato alcuna istanza di proroga del termine, prima della sua scadenza, non può che conseguire parimenti l’improcedibilità del giudizio.

 La decisione suscita interesse in quanto ripropone all’attenzione dell’interprete la delicata questione della natura perentoria o ordinatoria del termine in oggetto, la quale, nella giurisprudenza di merito, registra ancora orientamenti oscillanti. La pronuncia del giudice parmense si allinea all’indirizzo incline ad affermare il carattere perentorio del termine, pur in assenza di una esplicita previsione normativa, in omaggio al principio giurisprudenziale che evince la perentorietà di un termine processuale, anche in via interpretativa, tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato. Nel caso della mediazione demandata, l’implicito carattere perentorio del termine, come non manca di registrare anche la sentenza in esame, promana dalla stessa gravità della sanzione prevista e minacciata dal legislatore, ovvero l’improcedibilità della domanda giudiziale per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione. Secondo tale restrittivo indirizzo, pertanto, il tardivo esperimento del procedimento di mediazione ordinato dal giudice è sostanzialmente equiparato, quanto agli effetti, al mancato esperimento dello stesso, a motivo della mancata realizzazione della comune condizione di procedibilità che sfocia nella inevitabile declaratoria di improcedibilità del giudizio con consequenziale definizione del processo in rito. 

 Altro diverso e contrapposto indirizzo, muovendo invece dal dato testuale del codice di rito (art. 152, comma 2, cod. proc. civ. secondo cui “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari perentori”) conclude che, in difetto di una espressa previsione legale di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex articolo 5 del citato Dlgs n. 28 del 2010, il deposito dell’istanza di mediazione oltre il termine quindicinale non determina l’improcedibilità del giudizio prevista per il mancato esperimento del tentativo conciliativo, non potendosi equiparare a quest’ultimo la pur tardiva instaurazione della procedura.  L’inosservanza del termine in sede di presentazione della domanda di mediazione non determina pertanto l’improcedibilità del giudizio nella quale si innesta quale incidente processuale salvo che il suo ritardo non pregiudichi l’effettivo esperimento del procedimento prima dell’udienza di verifica come nel caso in cui la mediazione demandata venga avviata con estremo ritardo rispetto a quanto disposto ed a breve distanza temporale dall’udienza di rinvio.

Sempre muovendo dalla natura ordinatoria del termine è stato poi avvallato in giurisprudenza un terzo indirizzo che ha il pregio di consentire alla parte istante di avanzare la domanda oltre il termine – ritenuto appunto ordinatorio – assegnato dal giudice, senza –per ciò solo –incorrere immancabilmente nella declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale (cfr., Tribunale civile di Vasto, sentenza 27 settembre 2017). Secondo tale impostazione, tuttavia, la parte che ritardi l’attivazione della procedura si accolla il rischio che il procedimento non riesca a concludersi nel termine massimo di tre mesi previsto dal legislatore, che inizia comunque a decorrere, indipendentemente dalla iniziativa dell’interessato, dalla scadenza del termine assegnato dal giudice. Questo significa che, come efficacemente osservato, ove l’udienza di rinvio del processo sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione dell’istanza, quest’ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura o, in ogni caso, entro il più ampio termine di rinvio del processo all’udienza di verifica. Diversamente, ove il procedimento di mediazione si sia concluso entro il termine di legg e (o, comunque, anche successivamente ma pur sempre prima della celebrazione della udienza di rinvio), benché iniziato dopo la scadenza del termine assegnato dal giudice, giammai l’iniziale ritardo potrà determinare la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale.

Le conclusioni

La sentenza in epigrafe, per quanto opinabile, registra l’esistenza di un indirizzo di estremo rigore formalistico nell’esegesi del combinato disposto degli articolo 5, comma 2, e 6 del Dlgs n. 28 del 2010, con inevitabili pesanti ricadute per la parte onerata dell’instaurazione del procedimento di mediazione. Nel caso in esame, la parte attrice se da un lato ha visto comunque compensate le spese di giudizio in ragione della complessità della questione, ha comunque scontato l’implacabile declaratoria d’improcedibilità giudiziale oltre all’accollo monetario delle spese della consulenza tecnica d’ufficio. In attesa, pertanto, di un intervento chiarificatore della Suprema Corte che, in chiave nomofilattica, sia in grado di meglio orientare la condotta delle parti e, soprattutto, degli avvocati, attesa anche la loro obbligatoria assistenza nella procedura conciliativa, al fine di non incorrere nella pronuncia di improcedibilità del giudizio, l’ammonimento che la decisione suscita è nel senso di osservare il termine quindicinale assegnato dal giudice per il deposito dell’istanza di mediazione presso l’organismo competente. Infatti, come osservato in seno alla stessa giurisprudenza di merito, la stessa tesi della qualificazione del termine come ordinatorio, oltre a doversi misurare con l’indirizzo opposto come conferma la recente decisione in esame, può non rilevarsi neppure decisiva in quanto la dichiarazione d'improcedibilità, a ben vedere, non postula la natura perentoria del termine concesso dal giudice, ma piuttosto, come efficacemente registrato, l'effettivo mancato esperimento della mediazione alla data dell'udienza fissata dal giudice per consentire l'avveramento della condizione di procedibilità. In altri termini, la natura ordinatoria del termine resta comunque compatibile con la declaratoria d'improcedibilità nei casi di mancato effettivo esperimento della mediazione entro la data dell'udienza di verifica fissata per tale scopo. In conclusione, pur ritenendo che, in considerazione della natura ordinatoria del termine, la domanda di mediazione possa essere presentata oltre il termine di quindici giorni assegnato dal giudice, è comunque necessario, per ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità, che il primo incontro dinanzi al mediatore avvenga entro l'udienza di rinvio, fissata proprio per la verifica dell'effettivo esperimento della mediazione, a cui è subordinata la procedibilità dell'azione.

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