Messa alla prova, l'inabilità temporanea al lavoro non basta per il no al beneficio
Il giudice non può negare la messa alla prova solo perché l'imputato, che ha requisiti per l'ammissione, non può temporaneamente svolgere il lavoro di pubblica utilità per ragioni di salute. Verificata la possibilità di rimandare l'avvio del programma, il giudice deve intervenire per modificarlo, in modo da non pregiudicare il reinserimento sociale dell'imputato. La Corte di cassazione, con la sentenza 10787, accoglie il ricorso contro il no all'ammissione del beneficio, nell'ambito di un procedimento per guida in stato di ebrezza con l'aggravante di aver provocato un incidente. L'imputato aveva presentato domanda di ammissione alla messa alla prova all'Ufficio esecuzione penale esterna, chiedendo la stesura di un programma da presentare in dibattimento per ottenere la sospensione del procedimento a suo carico. L'Uepe lo aveva redatto, facendo però presente, che l'imputato, ricoverato in una struttura dopo una ricaduta nella dipendenza dall'alcol, chiedeva di svolgere il lavoro dopo le dimissioni dalla struttura. Il giudice aveva respinto la richiesta perché, neppure nell'udienza di decisione era stata chiarita la condizione di salute del ricorrente e se fosse in grado di eseguire il programma. La Cassazione accoglie il ricorso. I giudici ricordano che il legislatore non ha trascurato il fattore tempo, stabilendo che il procedimento può essere sospeso per due anni in vista del completamento del percorso: un termine che decorre dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova. Tuttavia esiste la possibilità di dilatare questi termini, per una sola volta e su richiesta dell'imputato, che dichiari di avere gravi motivi per il differimento. Tra questi ci sono certamente i problemi di salute. A fronte dunque di un giudizio prognostico positivo e dell'idoneità del programma, il giudice non può tout court negare l'accesso alla messa alla prova. Il legislatore, infatti, prevedendo, le gravi ragioni ha voluto preservare il valore rieducativo dell'istituto. Per un giusto bilanciamento tra gli interessi in gioco,il giudice avrebbe dunque dovuto valutare gli impedimenti di salute, senza respingere a priori la domanda e approfondire la situazione, anche attraverso i servizi dedicati, correggendo poi il programma per renderlo compatibile con le necessità dell'imputato. Senza pregiudicare la sua possibilità di reinserirsi nella società.
Corte di cassazione – Sezione IV penale – Sentenza 30 marzo 2020 n.10787