Penale

Messa alla prova solo per reati di minore allarme sociale

L’assenza di abitualità e la riparazione del danno, come l’adegutezza del programma elaborato non bastano se il reato è considerato grave

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di Patrizia Maciocchi

L’assenza di abitualità nel reato, la sua riparazione e l’adeguatezza del programma elaborato non bastano per ottenere la messa alla prova, se il crimine non rientra tra quelli di minore allarme sociale. La Cassazione (sentenza 37696/20) ha accolto il ricorso del Pm contro l’ordinanza del Gip che aveva sospeso il procedimento penale a carico di un imputato, inserito nel racket criminale delle scommesse, accusato di aver minacciato con una pistola due funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, che ispezionavano una sala giochi. Ad avviso del giudice per indagini preliminari c’erano gli estremi per sospendere il procedimento e accogliere l’istanza di messa alla prova, perché sulla carta era tutto in regola. L’istanza era stata tempestiva, compreso il reato contestato, mancava l’elemento dell’abitualità presunta dalla legge, nel reato e anche nelle contravvenzioni. Non si poteva neppure affermare la professionalità e la tendenza a delinquere. Conclusioni che la Cassazione bolla come mere formule di stile, dando peso ad altri elementi. Dalle informative della polizia giudiziaria e della Direzione distrettuale antimafia emergeva che l’imputato era inserito in un contesto criminale, ed era noto negli ambienti malavitosi. Mentre il Pm ricorrente aveva messo l’accento sulla gravità del reato commesso , trascurata dal Gip in favore di parametri neutri.

I giudici di legittimità, nell’accogliere la tesi della pubblica accusa ricordano le finalità dell’istituto della messa alla prova, introdotto dalla legge 67/2014 con l’inserimento degli articoli 168-bis e 168-quater del Codice penale. Ispirata alla probation inglese, la messa alla prova ha l’obiettivo di offrire ai condannati per reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento alternativo e, al tempo stesso, di deflazionare i procedimenti penali, grazie all’estinzione del reato in caso di percorso con esito positivo.

Alla base del sì alla misura ci sono dunque il reinserimento e lo scarso allarme sociale: due elementi che vanno verificati, al di là dell’esistenza degli astratti presupposti normativi per riconoscere il trattamento di favore. Nello specifico la minaccia con un’arma da fuoco rivolta a due pubblici ufficiali in servizio, per farli desistere dal loro dovere, non si può considerare di ridotto allarme sociale. Né c’erano effettive esigenze di reinserimento sociale dell’imputato che, dalle informative di polizia, risultava già molto ben inserito in contesti sociali deviati.

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