Comunitario e Internazionale

Migranti, la clausola di Standstill non può essere derogata da una norma interna

Per la Corte Ue se la moglie richiede un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, lo Stato non può pretendere il superamento dell'esame di conoscenza della lingua al marito lavoratore straniero residente

di Vittorio Corasaniti

Da Ginevra a Lussemburgo, la Danimarca inciampa ancora una volta sui diritti dei migranti.
Già sotto i riflettori internazionali per l'inottemperanza dell'articolo 7 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici in materia di proibizione della tortura e altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti (Caso Warda Osman Jasin, Comunicazione n. 2360/2014 del Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani), il Paese della Sirenetta non rispetterebbe ora il diritto dell'Unione Europea.
Con la recente sentenza del 22 dicembre 2022 nella causa C- 279/21, infatti, la Seconda Sezione della Corte di Giustizia UE ha dichiarato che l'ottenimento di un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare non può essere sottoposto alla condizione del superamento di un esame di lingua dello Stato ospitante da parte del coniuge che in quello Stato sia già residente.

I fatti
Un cittadino di nazionalità turca è lavoratore residente in Danimarca dal 1979 con permesso di soggiorno permanente dal 1985. La moglie è entrata in Danimarca nell'agosto del 2015, e nel mese di ottobre dello stesso anno ha presentato presso l'ufficio immigrazione danese domanda di permesso di soggiorno a titolo di ricongiungimento familiare con il coniuge.
Con decisione del 1º marzo 2016, l'Ufficio immigrazione danese ha respinto detta richiesta sulla base dell'articolo 9, par. 12, punto 5, della legge sugli stranieri, adducendo che il marito non aveva dimostrato di avere superato l'esame di lingua danese quale condizione prevista da tale disposizione e che non sussistevano ragioni specifiche che giustificassero una deroga in questo senso.
Avverso la decisione dell'Ufficio Immigrazione, la signora presentava un primo ricorso di natura amministrativa presso il ministero degli Stranieri e dell'Integrazione, adducendo la violazione delle clausole di Standstill di cui all'articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell'associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia.
Da parte sua, con decisione del 6 dicembre 2017 il ministero degli Stranieri e dell'Integrazione adduceva che le clausole di Standstill non ostavano al rigetto della domanda di ricongiungimento familiare in forza del diritto nazionale pertinente.
La donna presentava allora un secondo ricorso dinanzi al Tribunale municipale di Copenaghen, richiedendo l'annullamento e il rinvio della decisione del ministero degli Stranieri e dell'Integrazione nella parte in cui adduceva che le clausole di Standstill non ostavano al rigetto della sua domanda di ricongiungimento familiare in forza del diritto nazionale pertinente.
Il giudice adito rimetteva la causa dinanzi al giudice del rinvio, Corte Regionale dell'Est Danimarca che accettando di giudicarla in primo grado richiedeva alla Corte di Giustizia UE l'interpretazione pregiudiziale di cui all'articolo 267 TFUE.

La decisione
La Corte Ue esaminava in primo luogo l'articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell'associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, annoverando detta norma tra le clausole di Standstill, vale a dire quelle clausole mediante le quali le parti di un accordo commerciale si impegnano a mantenere il mercato almeno altrettanto aperto in futuro come al momento della conclusione dell'accordo.
La lettera della norma in parola, infatti, stabilisce che "gli Stati membri della Comunità e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni sulle condizioni d'accesso all'occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all'occupazione".
In secondo luogo, la Corte esaminava la normativa interna danese, più in particolare l'articolo 9, par. 12, punto 5, della legge sugli stranieri, nella parte in cui prevede che il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare può essere rilasciato solo se la persona residente nel territorio danese ha superato l'esame «Prøve i Dansk 1», o un esame di lingua danese di livello equivalente o superiore.
Con sentenza del 22 dicembre 2022, la Corte ha quindi deciso che l'articolo 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell'associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, deve essere interpretato nel senso che "una normativa nazionale, introdotta dopo l'entrata in vigore di tale decisione nello Stato membro interessato, che subordina il ricongiungimento familiare tra un lavoratore turco legalmente residente in tale Stato membro e il suo coniuge alla condizione che tale lavoratore superi un esame attestante un determinato livello di conoscenza della lingua ufficiale di detto Stato membro, costituisce una «nuova restrizione», ai sensi di tale disposizione. Una restrizione del genere non può essere giustificata dall'obiettivo consistente nel garantire un'integrazione riuscita di tale coniuge, dato che tale normativa non consente alle autorità competenti di prendere in considerazione né le capacità di integrazione proprie di quest'ultimo, né fattori diversi dal superamento di tale esame, che dimostrino l'effettiva integrazione di detto lavoratore nello Stato membro interessato e, pertanto, la sua capacità di aiutare il coniuge a integrarvisi".

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©