Monetizzazione dei dati: tra privacy e diritto dei consumatori
Il tema della trasparenza informativa inerente alla monetizzazione dei dati sembra, per alcuni aspetti, poter essere meglio disciplinato richiamando le previsioni del Codice del Consumo
Il tema della trasparenza informativa inerente alla monetizzazione dei dati sembra, per alcuni aspetti, poter essere meglio disciplinato richiamando le previsioni del Codice del Consumo. A differenza della normativa in materia di protezione dei dati personali, infatti, il diritto dei consumatori, con le sue previsioni circa le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive, pare porre limitazioni ad uno sfruttamento indisciplinato dei dati personali.
Il numero di procedimenti avviati nei confronti di società che forniscono servizi di digital advertising è in continuo aumento. Vi sono molteplici aspetti che paiono attirare l'attenzione delle Autorità: tra questi, anche una apparente carenza di trasparenza nei confronti dei consumatori, con riferimento alle modalità di raccolta e utilizzo dei dati, anche personali.Qui è già stato affrontato l'approccio adottato da parte di tre diversi ordinamenti giuridici (quello europeo, quello statunitense e quello cinese) alla monetizzazione dei dati personali. Accanto alla normativa privacy, si pongono le disposizioni a tutela dei diritti dei consumatori. Le due discipline si intersecano, a tratti completandosi.
Il dovere informativo
Il nostro quadro normativo vieta i comportamenti volti a ingannare il consumatore, siano essi realizzati mediante dichiarazioni o mediante omissioni, al fine di influenzare le scelte commerciali. Il consumatore dovrebbe essere informato adeguatamente e immediatamente – tra le altre cose - delle modalità di utilizzo dei dati raccolti: ciò è ancora più vero in caso di dati personali che vengono raccolti a fine di monetizzazione.
Accanto alle disposizioni consumeristiche poc'anzi menzionate, giova ricordare che anche le normative privacy ed e-privacy impongono analoghi obblighi informativi. In altre parole, il consumatore dovrebbe essere posto in condizione di comprendere se i propri dati vengano utilizzati per fini di monetizzazione da parte del provider di servizio cui vengono forniti, evidenziando se i dati costituiscono il costo dell'accesso al servizio stesso e per quali fini potranno essere impiegati, nonché con quali soggetti terzi potranno essere condivisi. Le informazioni, inoltre, dovrebbero essere rese in modo efficace: meri richiami a termini e condizioni potrebbero non essere sufficienti.
La maturità del mercato
Uno dei settori maggiormente interessati dall'utilizzo di grandi quantità di dati – anche personali – per fini commerciali, è quello del digital advertising.
Gli operatori coinvolti sono molteplici: le piattaforme, gli editori che offrono spazi e gli inserzionisti che cercano tali spazi per promuovere i propri prodotti e servizi.
Naturalmente, maggiore è la capacità di offrire contenuti dedicati all'utente, maggiore sarà l'efficacia del messaggio: l'elemento di personalizzazione, basata sulla profilazione dell'utente, è sempre più centrale. Il funzionamento del digital advertising è molto complesso e non è oggetto del presente contenuto. Ciò che interessa in questa sede è considerare che si tratta di un vero e proprio mercato dei dati – anche personali.
Come tale, i consumatori dovrebbero essere opportunamente informati. Tuttavia, pare che le prassi adottate dagli operatori del settore non siano sempre del tutto trasparenti. Le modalità di raccolta dei dati mediante cookie vengono spesso ridotte a mere indicazioni circa la qualificazione dei cookie stessi, senza fornire davvero una visione di insieme in merito a quali informazioni vengano raccolte e a come esse verranno impiegate. D'altra parte, le informative privacy tendono a descrivere finalità quasi scolastiche, senza addentrarsi nei meccanismi di utilizzo di dati per il display di contenuti pubblicitari.
La sensazione è che vi sia uno sforzo di conformità formale con le normative (privacy, e-privacy e consumeristica) che, tuttavia, non pare sufficiente a consentire ai consumatori di ricostruire i reali trattamenti / utilizzi dei dati che vengono raccolti, con conseguente carenza di trasparenza nei loro confronti. A titolo esemplificativo, si rileva il tema inerente alla base giuridica applicabile allo sfruttamento dei dati raccolti. Il consenso, per essere valido, richiede di essere prestato liberamente, eppure pare evidente che ciò non ricorra nel momento in cui l'accesso al servizio è strettamente vincolato all'accettazione di condizioni contrattuali che richiamano la profilazione pubblicitaria quale parte del servizio stesso. E, ancora, sembra difficile poter sostenere che la profilazione dei contenuti sia una componente essenziale dei servizi acceduti (invocando una presunta esecuzione di rapporti contrattuali con l'utente).
Infine, il legittimo interesse. Certamente consente flessibilità nella costruzione del bilanciamento: il problema pare ricondursi alla sua fragilità, legata più che per altre basi giuridiche, ad una componente di discrezionalità molto elevata, nonché alla possibilità che gli interessati si oppongano al trattamento. Infatti, si tratta di profili che molto raramente, come osservato da vari commentatori, trovano una descrizione soddisfacente all'interno dei termini e condizioni forniti all'utente.
Parte della complessità è sicuramente legata alla stratificazione delle operazioni sottostanti, spesso in parte sconosciute agli stessi operatori: si pensi ai meccanismi di profilazione realizzati dalle piattaforme per determinare le audience simili a quelle proposte quali target dagli inserzionisti. E ancora, si pensi alle modalità di display di contenuti pubblicitari all'interno delle piattaforme stesse, secondo il target pre selezionato dagli inserzionisti. Un tratto comune a tali pratiche di digital advertising pare teso a rimettere in capo all'inserzionista l'onere di fornire chiare informazioni ai consumatori circa le modalità con cui potrebbero essere impiegati i loro dati, anche rispetto ai servizi che offrono le piattaforme stesse, con il conseguente aumentare delle complessità che deve affrontare un inserzionista.
D'altra parte, corre l'obbligo di rilevare che il quadro normativo di riferimento, proprio nella sua frammentarietà, non agevola gli operatori del settore. Infatti, si tratta di normative che pongono frequenti profili di sovrapposizione: tuttavia, fintanto che non vi sia un intervento normativo volto a creare i dovuti collegamenti, risulta talvolta difficile determinarne i confini (sul tema, interessante la recente indicazione del Consiglio di Stato, che ha rimarcato come il diritto consumeristico e quello alla tutela dei dati personali siano distinte categorie settoriali, disciplinate da normative non sovrapponibili).
Conclusioni
La normativa richiede trasparenza. Gli operatori sono tenuti a comprendere quali siano le implicazioni di utilizzo dei dati prodotti e raccolti in relazione ai servizi offerti.
Per farlo, paiono porsi maggiori sforzi. Da un lato, editori ed inserzionisti dovrebbero farsi carico di un doveroso approfondimento tecnico delle pratiche di digital advertising, senza asserire che le informazioni non siano chiare o non siano disponibili.
Dall'altro lato, le Autorità competenti (ciascuna nel proprio ambito) dovrebbero assicurare che le piattaforme non si pongano quali soggetti che suppliscono a un quadro normativo poco esaustivo in merito a certi profili. Se è pur vero che non si tratta di decidere se il diritto consumeristico possa o meno sovrapporsi al diritto alla protezione dei dati personali, è evidente che il tema della trasparenza informativa inerente alla monetizzazione dei dati sembra, per alcuni aspetti, poter essere meglio disciplinato richiamando le previsioni del Codice del Consumo.
A differenza della normativa in materia di protezione dei dati personali, infatti, il diritto dei consumatori, con le sue previsioni circa le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive, pare porre limitazioni ad uno sfruttamento indisciplinato dei dati personali.In ogni caso, imponendo entrambe le normative che agli utenti siano date informazioni chiare, trasparenti ed esaustive, in attesa che le Autorità competenti si pronuncino sul tema, non resta che rivedere informative e termini contrattuali, in un continuo sforzo di sempre maggiore trasparenza.
* di Fabia Cairoli e Cecilia Canova del team di TMT di Dentons
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