Penale

Nessuna scriminante per l'avvocato che appella il magistrato con espressioni offensive

Lo ha chiarito la corte di Cassazione con la sentenza 22376/2022

di Pietro Alessio Palumbo

La disciplina penalistica dispone che non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità Giudiziaria quando le offese concernono l'oggetto della causa. Con la recente sentenza 22376/2022 la Corte di Cassazione ha chiarito che, tuttavia, se per un verso è vero che la tutela della libertà della difesa, potrebbe non essere efficiente se non libera dalla preoccupazione di possibili incriminazioni per offese all'altrui onore e decoro; per l'altro non attribuisce affatto all'Avvocato la facoltà di offendere gratuitamente il Magistrato.
Secondo la Corte di Cassazione perché possa ricorrere la scriminante in argomento è necessario che le espressioni ingiuriose siano adoperate in scritti o discorsi dinanzi all'autorità giudiziaria e concernano, in modo diretto ed immediato l'oggetto della controversia, ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l'accoglimento della domanda proposta, quand'anche non necessarie o decisive. In altre parole l'espressione oggettivamente ingiuriosa non può essere "gratuita", ma deve essere funzionale all'esercizio del diritto di difesa; non potendo costituire il mero richiamo ad asserite esigenze difensive il pretesto per "svillaneggiare" impunemente parti e giudici.

Il diritto di difesa
A ben vedere il diritto di difesa trova il suo limite quando trasmodi in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale; si manifesti in condotte palesemente contrarie alle finalità per la quale il diritto è riconosciuto, ostacolando il buon funzionamento dell'autorità giudicante, o il sano svolgimento del procedimento dinanzi ad essa, facendo valere un diritto che confligge con gli scopi di questo. Muovendo dagli arresti della Corte di Strasburgo e della Corte di Lussemburgo, la Suprema Corte ha enucleato la nozione di abuso del processo, quale vizio, per sviamento, della funzione, che si realizza quando l'imputato realizza uno "sviamento" della funzione dei diritti o delle facoltà che l'ordinamento processuale astrattamente gli riconosce; esercitandoli per fini e scopi diversi da quelli per i quali gli sono riconosciuti.

Il caso esaminato
Nel caso sottoposto al suo esame secondo la Suprema Corte le offese pronunciate dall'imputato nei confronti del Magistrato giudicante esulavano dall'ambito scriminato dalla normativa penalistica di specie. In primis il ricorrente non aveva dimostrato di aver presentato un formale atto di ricusazione; e la normativa prevede che la dichiarazione di ricusazione sia proposta anche personalmente dall'imputato con atto scritto alla cancelleria del giudice competente a decidere. È ammessa la possibilità di formulare la dichiarazione in udienza per evitare di abbandonare la stessa, restando fermo tuttavia l'onere della parte di "formalizzare" tale dichiarazione nel termine di tre giorni rispettando le modalità previste dal codice. Senza la formalizzazione dell'atto di ricusazione la dichiarazione resa in udienza finisce per essere soltanto il volano per gratuite ed abusive offese, prive di un aggancio a reali ed effettive esigenze difensive.
Dalle evidenze processuali emergeva che le offese rivolte al Giudicante erano fuoriuscite dalla stessa possibilità di giustificare un atto di ricusazione. Le argomentazioni poste a sostegno della dichiarazione resa in udienza si erano risolte infatti in un attacco arbitrario e oltraggioso alla professionalità del magistrato nella conduzione dei processi – accusato di "preparazione .... quantomeno approssimativa o in mala fede", di "ignoranza evidente" e di "professionalità assolutamente carente". Ed inoltre ipotizzando una "conclamata inimicizia grave" a giustificazione delle affermazioni prodotte in udienza.
Ebbene secondo la Corte di Cassazione non costituiscono motivo di ricusazione, asserite violazioni di legge o anche scelte discutibili operate dal giudice nella gestione del procedimento: riguardano aspetti interni al processo, risolvibili con il ricorso ai rimedi ordinariamente apprestati dall'ordinamento processuale. In altri termini anche il sentimento di grave inimicizia, rilevante per la ricusazione, deve essere reciproco e deve trarre origine da rapporti di carattere privato, estranei al processo, non potendosi desumere dal mero trattamento riservato alla parte; a meno che presenti aspetti talmente atipici, anomali o "settari" da costituire evidenza dimostrativa di una inimicizia maturata all'esterno. E quanto a questo richiamato carattere anomalo o settario, secondo la Corte di Cassazione è necessario che la condotta processuale si manifesti di per sé eccentrica o dalla connotazione innegabilmente discriminatoria. Un sentimento gravemente negativo in pregiudizio della parte processuale, tale da rivelare l'esistenza di una autentica avversione personale maturata in conseguenza di fatti estranei al processo; e di cui il medesimo processo costituisca mera occasione di esternazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©