Penale

Nessuna violazione del ne bis in idem se all'identità della condotta non corrisponde l'idem factum

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con la recente sentenza n.1363 del 18 gennaio

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di Pietro Alessio Palumbo

In caso di duplice condanna per il reato di lesioni personali e successivamente per il reato di omicidio preterintenzionale conseguenti alla stessa condotta di aggressione fisica posta in essere da un imputato ai danni della medesima persona offesa, premesso che ai fini della preclusione connessa al principio del ne bis in idem l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della basilare triade "condotta - nesso causale – evento", e non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta, non ricorre l'idem factum tra le lesioni personali e l'omicidio preterintenzionale. Ciò in quanto – ha precisato la Corte di Cassazione con la recente sentenza n.1363 del 18 gennaio scorso - il fatto concreto disciplinato dalla normativa inerente all'omicidio preterintenzionale è caratterizzato dall'evento-morte, che è invece assente nel delitto di lesioni personali, la cui tipicità è integrata da un diverso e meno grave evento.

Ne bis in idem sostanziale e ne bis in idem processuale
La Suprema Corte ha innanzitutto evidenziato che il principio del ne bis in idem sostanziale e il principio del ne bis in idem processuale hanno confini ed ambiti applicativi parzialmente diversi. Il bis in idem sostanziale concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e mediante il criterio regolativo della "specialità" fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato due volte alla stessa persona. Il bis in idem processuale concerne invece non il rapporto astratto tra norme penali, ma il rapporto tra il fatto ed il giudizio, vietando l'esercizio di una nuova azione penale dopo la formazione del giudicato. L'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto cioè dall'idem legale, ha comportato la riaffermazione della dimensione esclusivamente processuale del divieto di bis in idem, che preclude non la trattazione congiunta per distinti reati commessi con il medesimo fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo. La sterzata interpretativa si è avuta nel punto di convergenza tra il bis in idem sostanziale e processuale: secondo la Corte delle leggi, il diritto vivente, pur in presenza di un identico fatto storico oggetto di precedente giudizio, aveva saldato il profilo sostanziale implicato dal concorso formale dei reati con quello processuale recato dal divieto di bis in idem, sterilizzando la garanzia processuale in ragione della qualificazione normativa multipla consentita dall'inoperatività del principio del bis in idem sostanziale. L'estensione del bis in idem processuale è diversa, e di regola più ampia, rispetto al bis in idem sostanziale e concerne rapporti diversi: la disciplina penalistica sul divieto di un secondo giudizio riguarda infatti il rapporto tra il fatto storico oggetto di giudicato ed il nuovo giudizio; e nella sua dimensione storico-naturalistica prescinde dalle diverse qualificazioni giuridiche; il bis in idem sostanziale, invece, concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte, e prescinde dal raffronto con il fatto storico.

La declinazione del divieto ad opera della Corte di Strasburgo
Un fondamentale contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem proviene dalla Corte di Strasburgo. Con riferimento alla nozione rilevante di idem factum, la Corte europea ha adottato nel tempo diverse interpretazioni riconducibili, prima del 2009, a tre filoni principali. Secondo un primo orientamento, occorre valorizzare la nozione di identico comportamento del ricorrente inteso in senso storico-naturalistico,
indipendentemente dalla qualificazione giuridica che ne viene data. Un secondo orientamento pur partendo dall'identità della condotta materiale da cui scaturiscono le varie sanzioni, legittima il fatto che l'identico comportamento possa fondare plurime infrazioni con l'apertura di procedimenti distinti, nonché l'applicazione di più sanzioni. Un terzo orientamento, infine, pone l'accento sugli elementi essenziali delle fattispecie: il concorso formale non viola il divieto di bis in idem solo se gli elementi costitutivi essenziali dei reati sono diversi.
Solo nel 2009 la Corte europea è giunta ad un approdo definitivo e più organico. Nell'esaminare i trattati internazionali che sanciscono il divieto del bis in idem, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha constatato che tutti usano gli stessi termini ed ha affermato che la distinzione tra stessi atti o stessi fatti, da un lato, e stesso reato dall'altro, è stata ritenuta sia dalla Corte di giustizia europea sia dalla Corte interamericana, elemento importante a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica di tali atti come criterio di verifica della violazione giudicata come irrilevante. Un tale approccio interpretativo è evidentemente favorevole al "reo" perché l'autore del reato saprebbe che, una volta condannato o assolto, non deve temere ulteriori procedimenti penali per la medesima condotta o il medesimo fatto. Dal momento che la normativa eurounitaria deve essere interpretata ed applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori i diritti in essa riconosciuti, il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesimo fatto rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che per la medesima condotta una persona possa essere processata o condannata due volte. Per conseguenza il reato va considerato medesimo se i fatti che lo integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi; dovendosi intendere per fatto l'insieme di circostanze concrete che coinvolgono lo stesso imputato e che sono legate tra loro nel tempo e nello spazio, e la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale.

L'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto e il "principio di detrazione"
Nell'affermare il criterio dell'idem factum, ai fini della valutazione della corrispondenza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio, la Corte Costituzionale nel 2016 ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Sul rilievo secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità, la Consulta ha affermato che il fatto storico-naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gli conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è quindi l'accadimento materiale pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi.
In altri termini non vi è alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione, e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente. Ed è chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Ma – si badi - questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Ciò posto ha chiosato la Corte di Cassazione rievocando anche la Corte di Strasburgo, deve altresì essere considerato il "principio di detrazione" secondo cui il giudice del secondo procedimento deve assicurare
che l'importo complessivo delle sanzioni irrogate sia proporzionato alla gravità dei reati "complessivamente" considerati.

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